Ultimo aggiornamento: 25 settembre 2025
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Ci sono davvero differenze tra l’acqua del rubinetto e quella in bottiglia? E il calcare è un pericolo per i reni? Alcune informazioni utili per scegliere con più consapevolezza quale acqua versare nel bicchiere.
Siamo poco consapevoli della qualità dell’acqua che beviamo e, nel dubbio, molti preferiscono acquistare quella confezionata piuttosto che bere quella di rubinetto. In Italia il consumo annuale di acqua in bottiglia negli ultimi anni è stimato in circa 250 litri a persona, quasi 3 volte la media europea, secondo il rapporto “Libro Bianco 2025 - Valore Acqua per l’Italia” a cura di The European House – Ambrosetti. Si tratta di un primato che ci porta in cima alla classifica dei Paesi UE e che è un punto debole per la sostenibilità – non solo ambientale – del nostro Paese.
Non è soltanto la preferenza per l’acqua frizzante a spiegare questo comportamento, dato che solo il 30% circa degli acquirenti sceglie le bollicine. Molto più spesso l’acqua del rubinetto non piace o c’è sfiducia nella sua sicurezza, nonostante le analisi dell’Istituto superiore di sanità indichino che la qualità dell’acqua potabile in Italia è elevata in tutte le Regioni. Eppure, una famiglia su 3 non si fida pienamente dei controlli su ciò che scorre in acquedotti e tubature. La sfiducia è minore nel Nord-est (18,4%) e più diffusa al Sud e nelle isole: stando agli ultimi aggiornamenti ISTAT, si arriva al 50% in Sicilia, al 48% in Sardegna e al 40% in Calabria. Curiosamente, le preoccupazioni più diffuse non sono tanto per eventuali sostanze tossiche, ma per il calcare, che molti ritengono che possa “rovinare” i reni.
Il calcare, il cui nome scientifico è carbonato di calcio, è tra i composti più impopolari quando si parla di acqua del rubinetto. Molti pensano che favorisca la formazione di calcoli renali o che possa depositarsi negli organi come accade nelle tubature. La paura riguarda soprattutto le acque con un elevato residuo fisso, cioè con un alto contenuto di minerali disciolti al suo interno. Si tratta principalmente di sali di calcio e magnesio, che altro non sono che il lascito delle rocce porose con cui le acque vengono a contatto nel corso del lungo viaggio sotterraneo che le fa arrivare fino a noi.
Sappiamo che è opportuno proteggere gli elettrodomestici, come la caldaia e la lavatrice, dal deposito di queste sostanze. Ma il nostro corpo è un “macchinario” del tutto diverso, nel quale le concentrazioni di minerali presenti nell’acqua potabile di casa non provocano le temute “incrostazioni” o, appunto, i calcoli renali. La grande maggioranza degli studi scientifici non ha infatti riscontrato alcuna correlazione tra la durezza dell’acqua (una misura della concentrazione di calcare) e la formazione di calcoli renali. “Il consiglio di utilizzare acque leggere o oligominerali al posto dell’acqua del rubinetto per evitare la calcolosi renale non è giustificato da evidenze scientifiche” ricordano gli esperti dell’Istituto superiore di sanità.
Se assumere calcare non fa affatto male, una sua carenza può costituire un problema di salute. Al pari degli altri sali minerali che introduciamo quotidianamente con gli alimenti, anche quelli assunti con l’acqua del rubinetto sono essenziali affinché i processi fisiologici del corpo umano procedano correttamente. L’acqua e le sue componenti sono utili per lo sviluppo di organi e tessuti, per la regolazione dell’ambiente in cui avvengono gli scambi cellulari e dei cicli metabolici e molto altro. Il calcio in particolare è essenziale per la nostra salute, non solo delle ossa e dei denti, ma anche per quella cardiaca e nervosa. La sua assunzione andrebbe ridotta solamente se a prescriverlo è il medico (può accadere per esempio in caso di pazienti a cui è stato rimosso un rene). Lo stesso discorso vale per il magnesio, un elemento cruciale per molte funzioni, per esempio la sintesi proteica.
Se la paura è che i sali dell’acqua corrente siano in concentrazione troppo alta, va tenuto conto che i livelli sono monitorati e che, nel mondo occidentale, l’acqua potabile non è la principale fonte di elementi essenziali per gli esseri umani. Il loro apporto da tale fonte contribuisce infatti a una quota stimata tra l’1 e il 20% del fabbisogno totale, a seconda degli elementi. Anche per questo è davvero improbabile che una persona assuma in eccesso queste sostanze soltanto consumando acqua.
I calcoli renali hanno poco a che fare con il calcare. I più comuni sono composti da ossalato o fosfato di calcio, altri da acido urico o struvite: sostanze chimicamente diverse dal carbonato di calcio. La loro formazione dipende soprattutto dalla predisposizione individuale o familiare, da condizioni mediche pregresse e dallo stile di vita. Uno dei principali fattori di rischio è la disidratazione: bere troppo poco, in particolare quando fa caldo, riduce l’efficienza dei reni e predispone ai calcoli. Questo indipendentemente dal fatto che si beva acqua di rubinetto o di bottiglia: il fattore chiave è il volume totale di liquido assunto nell’arco della giornata e non la “conta” esatta dei suoi minerali. Così come, d’altronde, la prevenzione per ridurre il rischio di numerose malattie passa per l’alimentazione nel suo complesso, e non è mai strettamente dipendente da singoli alimenti.
Al di là dello “scoglio” del calcare, molti diffidano dall’acqua di rubinetto per ragioni generiche di purezza e sicurezza. Ma in realtà l’Italia vanta un’acqua corrente di ottima qualità: l’85% della nostra acqua potabile proviene da falde sotterranee, che sono naturalmente protette e incontaminate e richiedono trattamenti minimi. Inoltre, l’acqua potabile viene sottoposta regolarmente a controlli capillari e a eventuali processi di purificazione.
L’ultimo rapporto del Centro nazionale per la sicurezza delle acque (CeNSiA) dell’Istituto superiore di sanità, pubblicato a luglio 2024, è basato sui risultati di oltre 2,5 milioni di analisi chimiche, chimico-fisiche e microbiologiche condotte tra il 2020 e il 2022. I risultati di tali campionamenti hanno mostrato che più del 99% dell’acqua di rete è conforme ai parametri sanitari. “Per quanto riguarda le limitate non conformità rilevate a livello nazionale, si tratta di alcune tracce episodiche e circostanziate a livello locale di contaminazioni microbiologiche (enterococchi, Escherichia coli) e indicatori di contaminazioni ambientali (coliformi), mentre in alcune limitate aree territoriali si rilevano elementi naturali come fluoro e arsenico, associate a gestioni idriche non efficienti di sistemi in economia, come è dichiarato nel documento.
I controlli, infatti, riguardano principalmente possibili contaminazioni microbiche o di sostanze tossiche note da tempo. Un problema più recente, e tutt’ora aperto, riguarda le microplastiche. Ormai si trovano ovunque, anche nel ciclo dell’acqua, e sono state rilevate sia nell’acqua in bottiglia sia in quella del rubinetto. Tuttavia i dati disponibili sono ancora limitati e sono pochi gli studi affidabili sull’esposizione. Quel che è certo è che l’uso massiccio di bottiglie e tappi di plastica non fa che aggravare il problema, dato che non sono sempre smaltite in maniera corretta. Una volta dispersa nell’ambiente, la plastica dà origine a questo insidioso inquinante, i cui effetti sulla salute, in via di esplorazione, potrebbero essere molteplici e importanti.
Alice Pace