Ultimo aggiornamento: 7 maggio 2025
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Abbiamo sentito molto parlare di questi efficaci strumenti di prevenzione nel corso della pandemia di Covid-19. L’assegnazione nel 2023 del premio Nobel per la fisiologia o la medicina a Katalin Karikó e Drew Weissman, che insieme ad altri scienziati hanno permesso lo sviluppo dei primi vaccini a mRNA, ci mostra che la storia di questi vaccini è iniziata molto tempo fa e potrebbe avere ulteriori sviluppi.
“Messaggeri di speranza”: così la rivista Nature Biotecnology ha chiamato i vaccini a mRNA, messi a punto dalle aziende BioNTech/Pfizer e Moderna e approvati per uso d’emergenza contro la pandemia di Covid-19. Si tratta di preparati che verosimilmente segnano l’inizio di una nuova era per l’intera medicina e non solo per la vaccinologia.
Dietro questi vaccini c’è una tecnologia innovativa. A differenza dei vaccini di concezione precedente, non contengono il virus attenuato o inattivato, né le sue proteine purificate, ma soltanto un frammento di mRNA sintetico. Tale frammento contiene le istruzioni utili alle cellule umane per costruire copie di una porzione della cosiddetta proteina “spike”, ossia quella che il virus SARS-Cov-2 usa come una sorta di uncino per agganciarsi alle nostre cellule e penetrarvi per poi moltiplicarsi. Sfruttato il processo con cui le nostre cellule producono le proteine, questi vaccini di nuova generazione riescono a stimolare le difese del nostro sistema immunitario.
Che cos’è l’RNA messaggero
Se il DNA che si trova nel nucleo della cellula è una specie di libretto di istruzioni per assemblare le molecole utili a far funzionare il nostro organismo, gli mRNA ne sono i suoi messaggeri. In pratica una molecola di mRNA contiene la ricetta, copiata fedelmente dal DNA, con cui le cellule possono costruire una specifica proteina. L’mRNA è infatti detto messaggero proprio perché veicola le istruzioni copiate dal DNA, nel nucleo, ai ribosomi nel citoplasma. I ribosomi sono una componente su cui la cellula assembla le nuove proteine nascenti. È qui, dunque, che le informazioni genetiche presenti nel DNA vengono tradotte in quelle straordinarie macchine molecolari che sono le componenti proteiche, per dire, dei muscoli, delle reazioni chimiche e della maggior parte delle funzioni vitali dell’organismo.
Una volta assolto il proprio compito, la molecola di mRNA può essere eliminata e infatti viene degradata da alcuni enzimi. Alla stessa sorte va incontro l’mRNA introdotto con il vaccino.
La molecola di mRNA sintetico che si trova nel vaccino è stata realizzata in laboratorio. Qui è stata anche avvolta in una capsula di lipidi, al fine di permetterne l’ingresso nelle cellule. Una volta penetrato dentro una cellula, istruisce il macchinario di sintesi a produrre copie della proteina spike, che viene assemblata dai ribosomi. Questa è per noi innocua perché è solo una piccola parte del virus, non in grado di provocare la malattia. È però sufficiente a innescare la risposta immunitaria: riconoscendo la proteina spike come estranea, il sistema immunitario attiva infatti le opportune difese, tramite la produzione di anticorpi e di cellule T.
In altre parole il riconoscimento delle proteine spike fa “scattare l’allarme” in modo che il nostro sistema immunitario, in caso di futuri incontri ravvicinati con il coronavirus, sia già pronto a impedirne l’ingresso nelle cellule. Come già detto in precedenza, il mRNA sintetico introdotto con il vaccino non rimane a lungo nell’organismo, ma viene degradato poco dopo la vaccinazione, una volta prodotta la proteina spike.
Il frutto di trent’anni di ricerca
Dietro questo risultato straordinario – una corsa contro il tempo che, in meno di un anno, ha portato allo sviluppo dei primi vaccini contro SARS-CoV-2 – ci sono almeno trent’anni di ricerche. I primi studi sul possibile uso di molecole di mRNA, per esempio per attivare l’espressione di proteine in cellule di topo e di indurre immunità cellulare, risalgono agli anni Novanta.
A lungo l’eventualità di sviluppare terapie e vaccini a mRNA è stata accompagnata da un diffuso scetticismo. Le cause della perplessità risiedevano sia nelle reazioni infiammatorie che possono essere innescate dall’mRNA stesso, sia nella ben nota instabilità dell’mRNA che viene facilmente degradato dagli enzimi cellulari. Un primo punto di svolta, come ricorda anche l’editoriale di Nature Biotechnology citato prima, è avvenuto nel 2005, quando Katalin Karikó e Drew Weissman all’Università della Pennsylvania hanno dimostrato la possibilità di inibire la forte reazione immunitaria grazie all’uso di nucleotidi sintetici modificati. I due ricercatori hanno così trovato così una soluzione per quello che costituiva uno dei “talloni di Achille” dell’uso della tecnologia a mRNA. Katalin Karikó, biochimica di origine ungherese, è la ex vicepresidente di BioNTech e docente da oltre 30 anni presso l’Università della Pennsylvania. Drew Weissman è l’immunologo con cui negli anni Novanta Katalin Karikó ha stretto una proficua collaborazione, grazie alla quale i due ricercatori sono stati in grado di superare alcuni ostacoli all’implementazione di questa nuova biotecnologia. Il professore Weissman al tempo si occupava proprio di studio alle cellule dendritiche che hanno un ruolo chiave nella sorveglianza immunitaria e nell’attivazione della risposta indotta dal vaccino.
Tuttavia c’era ancora da superare il problema della vulnerabilità dell’mRNA alle difese naturali dell’organismo, che potevano distruggere la molecola prima che raggiungesse le cellule bersaglio. Proprio per questo, dopo aver valutato diversi sistemi di rilascio, l’mRNA sintetico nei vaccini contro Covid-19 si trova incapsulato in nanoparticelle lipidiche che ne aumentano la stabilità.
Una nuova frontiera
L’assegnazione del premio Nobel per fisiologia o la medicina ai due scienziati, nel 2023, è stato il riconoscimento per avere creato una nuova biotecnologia, necessaria allo sviluppo dei vaccini che hanno salvato milioni di vite umane durante la pandemia. Oggi la tecnologia a mRNA è considerata un metodo promettente per lo sviluppo su larga scala, rapido e relativamente economico, sia di vaccini sia di farmaci. Si punta infatti a creare, attraverso un processo standardizzato, mRNA sintetico per istruire le cellule a produrre quelle proteine che, se mancanti o mal funzionanti, possono causare malattie. Per questo potrebbe essere sufficiente variare di volta in volta la sequenza di mRNA da introdurre nelle cellule per indurle a produrre la proteina desiderata.
Per SARS-CoV-2 i tempi sono stati da record: una volta nota la sequenza genetica del virus, le società Moderna e BioNTech sono riuscite a creare il prototipo del loro vaccino in poche settimane, a cui sono seguite le sperimentazioni in laboratorio e quindi nei volontari umani. È iniziata dunque una nuova era per la produzione di vaccini.
La versatilità di questa tecnologia potrebbe anche permettere di sviluppare altri strumenti all’avanguardia, per esempio per attivare il sistema immunitario contro diverse malattie anche oncologiche, soprattutto. Si spera di riuscire presto a mettere a punto anticorpi per combattere le infezioni, enzimi per curare malattie rare o fattori di crescita per riparare per esempio il tessuto cardiaco danneggiato.
Nell’ambito del progetto Merit (che sta per “Mutanome engineered RNA immunotherapy”), BioNTech sta lavorando per mettere a punto vaccini terapeutici mirati per il trattamento del cancro al seno. Basati sulla tecnologia dell’RNA messaggero, questi vaccini, se funzioneranno, potranno addestrare il sistema immunitario a eliminare le cellule cancerogene. Sono inoltre in sperimentazione clinica i primi farmaci a base di mRNA per il trattamento del melanoma.
Moderna, dal canto suo, prosegue la sperimentazione di vaccini a RNA messaggero contro il citomegalovirus, per prevenire l’infezione congenita e ridurre le malattie associate nei pazienti sottoposti a trapianto. Un buon sistema immunitario è in genere in grado di tenere sotto controllo questo virus, che appartiene alla famiglia degli Herpesvirus. L’infezione può tuttavia portare a gravi complicanze nelle persone immunodepresse e danni permanenti se contratta durante la gravidanza e trasmessa al feto. I risultati di uno studio clinico, pubblicati nel 2024 sul Journal of Infectious Diseases hanno mostrato un’efficacia del 50% circa su 23 pazienti coinvolti. Occorrerà vedere se i dati si confermeranno in studi clinici più ampi.
Autore originale: Simona Regina (1 agosto 2021)
Revisione di Denise Cerrone in data 08/01/2025
Simona Regina