Virus: perché li usiamo in medicina?

Ultimo aggiornamento: 26 novembre 2025

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In vaccini, nanotecnologie e terapie geniche sono spesso presenti virus, resi innocui ed efficaci grazie a modificazioni genetiche. Il loro contributo alla prevenzione e alla cura di alcune malattie è notevole.

“C’è un virus che circola”. È un’espressione che si sente di frequente quando capita di avere la tosse, la febbre, il mal di pancia o altre forme che si sospetta possano essere di origine infettiva. Giusto per fare un esempio recente, di un’infezione che si è diffusa in tutto il pianeta, medici e scienziati hanno dovuto studiare a fondo il virus SARS-CoV-2 per trovare vaccini e cure efficaci per prevenire e trattare la malattia. Oggi, nel 2025, molto è stato fatto per ridurre la prevalenza e la mortalità di Covid-19, anche grazie a nuove tecnologie come i vaccini a mRNA.

I virus però non sono sempre pericolosi per la nostra salute. Se adeguatamente sfruttati, possono infatti essere nostri alleati in medicina. Nello sviluppo dei vaccini, per esempio, si utilizzano da oltre un secolo virus depotenziati. Nel campo della terapia genica i virus vengono modificati in laboratorio in modo che siano innocui, pur mantenendo la capacità di raggiungere il DNA di specifiche cellule umane. In tali virus vengono inoltre inserite istruzioni, scritte nel linguaggio della genetica, affinché la cellula che le riceve possa utilizzarle per curare l’organismo. Anche lo sviluppo di nanotecnologie combinate a virus opportunamente modificati può essere utile nella messa a punto di soluzioni preventive o terapeutiche contro alcune patologie. Alcuni virus poi, tra quelli presenti in natura, riconoscono ed eliminano i batteri: sono i cosiddetti batteriofagi e potrebbero rappresentare un’arma efficace per contrastare per esempio la resistenza agli antibiotici. Altri tipi di virus potrebbero invece essere usati per curare alcuni tumori.

Nel cuore dei vaccini

Solitamente, quando si sviluppa un vaccino contro una malattia virale, si parte dal virus stesso, anche se le strategie utilizzate per produrli possono essere diverse a seconda del tipo di patogeno in questione.

I vaccini sviluppati contro il virus SARS-CoV-2, approvati già alla fine del 2020, non contengono al loro interno materiale virale, ma piuttosto una molecola di mRNA con le istruzioni per permettere alle cellule del nostro organismo di produrre autonomamente l’antigene virale contro il quale attivare le cellule del sistema immunitario. Anche se lo sviluppo e le sperimentazioni di questi vaccini sono stati molto rapidi, data l’emergenza sanitaria, le ricerche che hanno portato ai primi vaccini a base di mRNA contro SARS-CoV-2 sono basate su tecnologie studiate da almeno trent’anni.

Altri approcci più tradizionali nello sviluppo di vaccini includono l’uso di virus inattivati o indeboliti, o soltanto di loro parti. Nei primi due casi il vaccino può contenere un virus intero inattivato, dunque incapace di moltiplicarsi e generare la malattia, oppure un virus ancora attivo, ma indebolito. Nel terzo caso, invece, si parla di vaccini a subunità, in cui si utilizza soltanto una parte dell’agente patogeno, di solito una struttura della superficie del virus come per esempio una glicoproteina. Si tratta di strategie da tempo consolidate e sicure. In questi casi la risposta del sistema immunitario si attiva non appena incontra le componenti, intere o a “pezzi”, del virus presente nel vaccino iniettato. In risposta all’incontro con gli antigeni virali, vengono prodotti, in notevoli quantità, gli anticorpi in grado di riconoscere la struttura del patogeno e dunque a intervenire quando sarà in corso un’infezione con il virus attivo.

Le tecnologie alla base di questi vaccini, che prevedono l’uso di virus o di loro parti, sono oggetto di studi per stimolare la risposta immunitaria anche contro minacce diverse da quelle infettive. Un esempio è l’uso di tecniche di ingegneria genetica applicate alle cosiddette virus-like particles (VLPs). Si tratta di particelle simili a virus, ingegnerizzate per trasportare informazioni genetiche nei tessuti, stimolando la produzione di anticorpi.

Virus contro batteri

Un altro filone di ricerca prevede di utilizzare i virus per contrastare i batteri patogeni. A rendersi conto per primo di questa possibilità fu, attorno al 1917, il medico franco-canadese Félix d’Herelle, al lavoro presso l’Istituto Pasteur di Parigi. In particolare, lo scienziato stava portando avanti alcune indagini su pazienti affetti da problemi del tratto intestinale causati da un batterio. Analizzando le feci dei pazienti, individuò alcune aree dell’intestino in cui il batterio non proliferava, scoprendo così che il batterio era stato eliminato da una sorta di virus antibatterico. Oggi ne conosciamo parecchi e a questa famiglia è stato dato il nome di batteriofagi, letteralmente “mangiatori di batteri (dal greco phágos, mangiatore).

Si apriva così la strada alle terapie fagiche, che consistono nell’inoculare nel corpo del paziente uno specifico tipo di batteriofago in grado di contrastare in maniera mirata il batterio patogeno responsabile dell’infezione. Il fago può agire, per esempio, dissolvendo la parete esterna dei batteri e debellandoli. Le scoperte di d’Herelle furono applicate al trattamento di malattie come la dissenteria o il colera. Tuttavia, con lo sviluppo negli anni Quaranta degli antibiotici, più semplici e sicuri da utilizzare, le terapie a base di fagi rimasero ai margini della pratica clinica. Oggi stanno tornando in auge come possibile soluzione alla perdita di efficacia degli antibiotici, causata dalle molteplici resistenze antimicrobiche. Nonostante i notevoli e rapidi progressi biotecnologici nel loro sviluppo, restano però importanti ostacoli da superare prima che possano essere utilizzati in sicurezza nei pazienti.

Innanzitutto, ogni batteriofago è altamente specifico per un particolare ceppo batterico. Ciò implica che ogni terapia fagica debba essere messa a punto su misura per ciascun paziente. Inoltre, data la grande varietà di batteri patogeni nel mondo, immense banche biologiche di fagi diversi dovrebbero essere mantenute e aggiornate regolarmente. Sia i batteri sia i fagi possono, peraltro, andare incontro a mutazioni prima o durante il trattamento, impedendo un’eliminazione completa dei batteri patogeni. Infine, i fagi potrebbero portare con sé tossine e altre molecole incontrate durante infezioni batteriche precedenti, che possono essere pericolose.

Nonostante i limiti, i progressi delle biotecnologie stanno permettendo di migliorare sia l’efficacia sia la sicurezza dei fagi e dunque la possibilità di utilizzarli, in futuro, su ampia scala.

Un esempio di come si potrebbe superare la resistenza agli antibiotici con i fagi viene dai risultati di una ricerca dell’Università di Yale, pubblicati nel 2016 sulla rivista Scientific reports. Nello studio un batteriofago si è dimostrato in grado di contrastare la diffusione del batterio Pseudomonas aeruginosa, potenzialmente letale per persone con fibrosi cistica, ustioni estese, ferite chirurgiche e un sistema immunitario compromesso.

Virus contro le malattie genetiche

L’idea di usare un virus come strategia terapeutica per le malattie genetiche nasce dal fatto che alcuni di essi, i retrovirus, hanno una naturale capacità di entrare nelle cellule e inserire materiale genetico nel DNA dell’ospite. Se opportunamente ingegnerizzati, questi virus possono essere indirizzati al DNA per correggere i difetti genetici che causano le malattie stesse. Attualmente rappresentano un’opportunità terapeutica soprattutto per le malattie genetiche monogeniche, nelle quali il gene mutato da correggere è soltanto uno. Tra i retrovirus più studiati a questo scopo ci sono i lentivirus che, a differenza di altri retrovirus, possono integrare il proprio genoma anche nelle cellule non in divisione, garantendo una correzione stabile nel tempo.

La terapia genica mediante vettori lentivirali si fonda su un processo consolidato. Si prelevano cellule staminali ematopoietiche dal paziente, le si modificano in laboratorio introducendo, tramite vettori lentivirali, una copia corretta del gene difettoso (un passaggio detto trasduzione). Infine, si reinfondono le cellule così modificate nel paziente, soltanto dopo che quest’ultimo è stato sottoposto a un trattamento chemioterapico che facilita l’impianto delle cellule infuse nel midollo osseo.

Tra i successi della terapia genica con vettori virali c’è la terapia contro la β-talassemia, in cui cellule staminali contenenti il gene corretto della β-globina hanno permesso ad alcuni pazienti di raggiungere l’indipendenza dalle trasfusioni a lungo termine. Analogamente, in patologie genetiche che causano gravi deficit del sistema immunitario come la SCID-X1 o la sindrome di Wiskott-Aldrich, i vettori lentivirali hanno consentito il recupero di funzioni immunitarie e miglioramenti clinici duraturi.

Nel 2025, poi, sono stati pubblicati i promettenti risultati di una sperimentazione clinica di fase I/II di AMT-130, una terapia genica a base di vettori virali sviluppata per rallentare la progressione della malattia di Huntington, una grave malattia neurologica ereditaria per cui finora non esistevano opzioni terapeutiche.

Virus contro i tumori

La ricerca sugli agenti patogeni combinata con l’ingegneria genetica sta consentendo di sfruttare alcune caratteristiche dei virus per distruggere le cellule tumorali. Per esempio, il virus oncolitico T-Vec (talimogene laherparepvec), una versione attenuata dell’herpes simplex virus di tipo 1, è stato approvato nel 2015 per il trattamento del melanoma non operabile, diventando il primo virus oncolitico disponibile nella pratica clinica. T-Vec è in grado di infettare le cellule del melanoma ed eliminarle senza intaccare le cellule sane.

Un altro esempio emerge dai risultati di una ricerca dell’Università del Surrey, pubblicati sulla rivista Clinical Cancer Research. Gli scienziati hanno in particolare dimostrato i possibili benefici di un ceppo del virus del comunissimo raffreddore, CVA21, contro il tumore alla vescica. Il virus CVA21 sarebbe in grado di attaccare selettivamente le cellule tumorali e replicarsi, lasciando intatte le cellule sane e stimolando la risposta immunitaria in grado di contrastare il tumore. Ulteriori studi sono tuttavia necessari per comprendere se questa sia una strada davvero promettente.

Un altro esempio è il vettore virale Pexa-Vec, sviluppato da scienziati dell’Università della California a San Francisco, negli Stati Uniti, la cui attività è stata descritta in uno articolo pubblicato sulla rivista Cancer Research nel 2018. In esperimenti di laboratorio, il virus è stato ingegnerizzato in modo da riconoscere soltanto le cellule tumorali. Negli studi condotti finora il virus così modificato è riuscito a infettare e distruggere solo il 5% delle cellule tumorali, ma, allo stesso tempo, ha attivato una forte risposta immunitaria, grazie alla quale, nei giorni seguenti, il numero di cellule cancerose uccise è stato oltre 10 volte superiore.

Più recentemente, CF33-hNIS, un virus ingegnerizzato con il gene hNIS (human Sodium-Iodide Symporter) ha mostrato risultati promettenti in uno studio di fase I in cui è stato somministrato a pazienti con tumori solidi, principalmente del tratto gastrointestinale. I risultati, pubblicati nel 2024 sul Journal of Clinical Oncology da un gruppo di ricerca internazionale, sono ancora preliminari. La fase I è infatti utile soltanto a valutare la sicurezza e stabilire la dose minima efficace e massima tollerata di un trattamento in pochissimi volontari. Dai risultati di una fase I non è infatti possibile né previsto ottenere risultati statisticamente significativi sull’efficacia. Gli autori hanno tuttavia sottolineato che, seppure in fase I, CF33-hNIS è stato in grado di replicarsi anche all’interno del colangiocarcinoma, un tumore raro e aggressivo contro il quale non esistono finora trattamenti efficaci.

I virus possono dunque essere molto utili in medicina. Dai numerosi studi e sviluppi in corso ci si aspetta, dunque, importanti novità in futuro.

  • Sofia Corradin

    Divulgatrice scientifica e medical writer freelance, scrive di medicina e ricerca clinica per testate giornalistiche indirizzate a medici e personale sanitario. Cura il progetto di divulgazione social @lamedicinageniale