La malattia del legionario

Ultimo aggiornamento: 10 marzo 2025

Tempo di lettura: 17 minuti

Nel luglio del 1976 un gruppo di veterani dell’esercito statunitense si ammalò di una strana polmonite dopo aver risieduto nello stesso albergo. La causa era un batterio rimasto fino a quel momento sconosciuto, perché si sviluppava in alcuni condizionatori d’aria molto recenti per l’epoca.

Il capitano di aviazione Ray Brennan, 61 anni, fu il primo ad ammalarsi. Era appena tornato da Philadelphia, dove l’American Legion della Pennsylvania si era riunita dal 21 al 24 luglio 1976. Secondo la sorella era già affaticato al ritorno, ma del resto il raduno di quell’anno era stato impegnativo. L’associazione dei veterani, alla quale appartengono anche molti Presidenti americani, aveva celebrato il bicentenario della Dichiarazione di indipendenza nella stessa città dove essa era stata scritta e firmata. E all’Hotel Bellevue-Stratford si erano riuniti 2.000 legionari dello Stato.

Brennan aveva la febbre alta e faticava a respirare. Ciò nonostante non volle farsi ricoverare e morì il successivo 27 luglio nella sua casa a Towanda, sempre in Pennsylvania. Nel giro di pochi giorni numerosi altri legionari cominciarono a sentirsi male. Il 2 agosto Edward T. Hoak, uno dei leader dell’associazione, fu contattato da un medico che gli chiese quanti dei membri presentassero gli stessi sintomi. A quel punto Hoak era venuto a sapere di 8 vittime e di decine di persone che stavano male.

La caccia al patogeno

All’inizio dello stesso anno a Fort Dix, nel New Jersey, 13 persone si erano ammalate (e una di loro era morta) a causa di un nuovo ceppo influenzale che secondo gli esperti era simile a quello che aveva provocato la famosa influenza Spagnola, la pandemia che tra il 1918 e il 1920 aveva ucciso molte decine di milioni di persone. La stagione influenzale passò tuttavia senza che si verificassero nuovi casi. Ciò nonostante, le autorità sanitarie erano rimaste all’erta, come mostra un memorandum dell’epoca dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS). Così, quando si diffuse la notizia della “malattia della legione”, come all’inizio era stata battezzata, si temeva il peggio: si sospettava una nuova influenza che avrebbe rischiato di estendersi ben oltre la Pennsylvania.

Il Public Health Service, i Centers for Disease Control and Prevention (CDCs) e altre agenzie di salute pubblica si mobilitarono subito per scoprire la causa dell’epidemia che stava facendo ammalare, a volte uccidendoli, i veterani che si erano riuniti a Philadelphia. A metà agosto, mentre l’ondata di casi si arrestava, non era ancora stata trovata una risposta. L’ipotesi influenzale era stata esclusa ed era chiaro che il contagio non passava da un individuo all’altro. In tutto si erano ammalate 182 persone, di cui 29 morirono, e tutti i casi furono ricollegati dagli epidemiologi alla riunione all’Hotel Bellevue-Stratford.

Le 750 stanze dell’albergo furono ispezionate palmo a palmo, gli ospiti interrogati. Qualcuno giurava di aver sentito dei pappagalli e si ipotizzò una ornitosi, una malattia che può trasmettersi dagli uccelli agli esseri umani. Si andò a caccia di tossine in grado di provocare sintomi compatibili con quelli riportati dalle vittime, come il cadmio. Un giovane confessò di aver gettato nell’impianto di aerazione una spezia fumigante durante una convention di maghi. Ma ogni strada si rivelò essere un vicolo cieco. Nel frattempo, nell’opinione pubblica e tra i politici si erano diffuse le ipotesi di un avvelenamento da radiazioni o di un attacco terroristico.

L’isolamento di Legionella pneumophila

La svolta nelle indagini arrivò a fine anno. I tentativi di isolare un patogeno nei tessuti delle vittime non avevano dato risultati, ma il microbiologo Joseph McDade, dei CDCs, ci riprovò coinvolgendo negli esperimenti le proprie cavie. McDade le impiegava per studiare i batteri della rickettsia, il patogeno di cui si occupava, ma gli animali si rivelarono molto suscettibili anche a un altro microbo. Dopo alcuni esperimenti McDade riuscì a provare che nei polmoni dei veterani si era sviluppato un batterio che venne chiamato Legionella pneumophila.

Rimaneva ancora da capire da dove fosse arrivato. Solo studi successivi dimostrarono che il batterio prospera nell’acqua calda, attraverso la quale può diffondersi nell’aria tramite gli aerosol. Una volta introdotto nell’organismo umano con la respirazione, il batterio può causare una grave polmonite. Le persone più a rischio sono quelle con un sistema immunitario più debole, proprio come gli anziani veterani.

All’Hotel Bellevue-Stratford non è mai stata isolata la fonte del batterio, perché nel frattempo l’impianto era stato ripulito, ma in base alle altre epidemie di legionella si pensa che sia stato diffuso da condizionatori contaminati.

A posteriori altre strane epidemie che si erano verificate negli anni precedenti sono state attribuite alla malattia del legionario, ma nessuna prima degli anni Quaranta. Il batterio, infatti, pur non essendo una specie particolarmente recente, in natura è un semplice parassita dei protozoi e raramente può trovare grandi riserve di acqua stagnante calda dove moltiplicarsi e nuocere. Ancor più improbabile è che tale acqua, all’aperto, sia nebulizzata e possa trasportare la legionella per lunghe distanze. Sono piuttosto alcuni progressi del ventesimo secolo, come quelli che ci hanno regalato potenti impianti di climatizzazione, ad avere creato le condizioni perché il batterio potesse proliferare e infettare gli esseri umani.

I microbi sono severi maestri

Nel 2022 in Italia si sono registrati circa 3.000 casi di legionellosi, come accertava l’Istituto superiore di sanità (ISS) nel bollettino epidemiologico nazionale del 2023. In Europa i dati dell’ultimo rapporto annuale del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), del 2021, riportava in tutta Europa per lo stesso anno quasi 10.000 casi. Per lo più si è trattato di piccoli focolai, in cui l’infezione è stata registrata in pazienti già ricoverati o che presentavano fattori di rischio. Le epidemie di malattia del legionario oggi sono infatti sporadiche, anche perché si adottano numerose precauzioni per minimizzare il rischio.

I normali climatizzatori domestici aria-aria di norma non sono l’habitat ideale per lo sviluppo della legionella (anche se vanno correttamente puliti almeno una volta l’anno prima dell’uso). Il batterio, infatti, necessita di acqua calda, che trova invece nei grandi condizionatori centralizzati, come quelli degli alberghi e degli uffici. Questi raffreddano l’ambiente sfruttando l’evaporazione di una grande massa d’acqua, dove il microbo può proliferare e diffondersi. Oggi sappiamo, a differenza di cinquant’anni fa, che questi sistemi, e tutti gli impianti a rischio vanno periodicamente disinfettati e controllati.

“La pubblicità si è placata. Appena abbiamo capito quale fosse la malattia che colpì i membri della Pennsylvania American Legion, nell’estate del 1976, il mistero è stato quasi del tutto risolto. Siamo stati risparmiati dal ‘killer mostruoso’ che era stato costruito dalla stampa nel 1976, solo per vederlo apparire pochi anni dopo sotto forma di virus della sindrome da immunodeficienza umana acquisita. La legionella e il virus dell’immunodeficienza umana ci hanno insegnato il valore delle vaste risorse mediche e scientifiche che abbiamo sviluppato, ma abbiamo anche imparato a essere umili di fronte a nemici microbici intraprendenti e apparentemente instancabili.” Così nel 1988 il medico e microbiologo Washington C. Winn Jr. come, in una torrida estate di 12 anni prima, il mondo avesse conosciuto un nuovo patogeno, il batterio della legionella. E proprio quando stava tirando un sospiro di sollievo, avendo scoperto che la malattia non era contagiosa, irrompeva sulla scena l’AIDS. Winn, allora, confidava nel fatto che stessimo imparando a non sottovalutare i microbi.

Autore originale: Stefano Dalla Casa (01/06/2022)
Revisione di Denise Cerrone in data 08/01/2025

  • Stefano Dalla Casa

    Giornalista e comunicatore scientifico, si è formato all’Università di Bologna e alla Sissa di Trieste. Scrive o ha scritto per le seguenti testate o siti: Il Tascabile, Wonder Why, Aula di Scienze Zanichelli, Chiara.eco, Wired.it, OggiScienza, Le Scienze, Focus, SapereAmbiente, Rivista Micron, Treccani Scuola. Cura la collana di divulgazione scientifica Zanichelli Chiavi di Lettura. Collabora dalla fondazione con Pikaia, il portale dell’evoluzione diretto da Telmo Pievani, dal 2021 ne è il caporedattore.