5 cose da sapere sull'anosmia

Ultimo aggiornamento: 1 novembre 2025

Tempo di lettura: 106 minuti

Molte persone soffrono di perdita dell’olfatto. L’impatto sulla qualità della vita e su aspetti emotivi e sociali non è da sottovalutare.

Un’analisi dei dati sulle ricerche effettuate su Google ha mostrato che nel 2020 c’è stato un picco senza precedenti per termini come “anosmia” e “perdita dell’olfatto”, in relazione alle prime ondate dei casi di Covid-19. Infatti, uno dei sintomi considerati più caratteristici dell’infezione è la scomparsa totale (anosmia) o parziale (iposmia) della capacità di percepire gli odori. Questo ha acceso i riflettori su una condizione che, sebbene a volte transitoria nel caso di Covid-19 e di altre malattie infettive, rappresenta una realtà permanente con cui convivere per una parte significativa della popolazione, stimata intorno al 5% a livello globale.

Ecco 5 cose da sapere sull’anosmia, tra cause, conseguenze e cura. 

1. Che cos’è l’anosmia e quali sono le sue forme

L’anosmia è un disturbo dell’olfatto che comporta la totale incapacità di percepire gli odori, diversamente dall’iposmia, che consiste invece in una riduzione della sensibilità olfattiva. La perdita dell’olfatto può essere temporanea o permanente, e può presentarsi come completa oppure specifica, quando riguarda soltanto particolari sostanze odorose. Oltre a queste forme, esistono altri disturbi correlati, come la parosmia, in cui gli odori vengono percepiti in modo distorto, e la fantosmia, caratterizzata dalla percezione di odori inesistenti.

L’anosmia può essere congenita, ossia presente sin dalla nascita a causa di fattori genetici o di anomalie nello sviluppo del sistema olfattivo, anche se si tratta di una condizione molto rara. Più frequentemente, l’anosmia e gli altri disturbi dell’olfatto sono acquisiti, cioè si sviluppano nel corso della vita. Per la forma congenita a oggi non esistono rimedi. L’anosmia acquisita può invece essere trattabile e avere un decorso molto variabile a seconda delle circostanze che l’hanno determinata.

2. Anosmia: un sintomo, molte cause

Tra le cause più comuni di perdita dell’olfatto vi sono le infezioni delle alte vie respiratorie, in particolare quelle di origine virale. Queste infezioni, che includono patologie comuni come il raffreddore o l’influenza, possono essere causate da diversi agenti patogeni. Tra i principali troviamo i rinovirus, i virus influenzali e parainfluenzali, diversi coronavirus (incluso il SARS-CoV-2), gli adenovirus, gli enterovirus, il virus di Epstein-Barr e gli herpes virus. L’infezione può danneggiare, in modo temporaneo o permanente, l’epitelio olfattivo, il tessuto che contiene i neuroni sensoriali responsabili della percezione degli odori.

 

L’anosmia, però, può manifestarsi anche in assenza di un’infezione. In patologie come la rinosinusite cronica o la rinite allergica, l’accumulo di muco e il gonfiore della mucosa dovuti all’infiammazione impediscono il contatto delle molecole odorose con i recettori. Lo stesso problema può essere dovuto anche all’eventuale presenza di polipi nasali o di turbinati cresciuti eccessivamente.

 

Un’altra categoria di cause dell’anosmia comprende i traumi cranici, che possono danneggiare le fibre del nervo olfattivo o le aree cerebrali dedicate all’elaborazione degli odori.

 

Tra le scoperte significative degli ultimi decenni, vi è l’osservazione di un legame tra l’anosmia e alcune malattie neurodegenerative come il morbo di Parkinson e l’Alzheimer. Sembra che durante il loro sviluppo queste malattie possano danneggiare il bulbo olfattivo e la corteccia olfattiva, che ricevono e interpretano le informazioni raccolte dai recettori dell’epitelio. La disfunzione olfattiva può manifestarsi prima dei sintomi più avanzati e tipici, e quindi è riconosciuta come un campanello d’allarme precoce per tali patologie.

Anche l’invecchiamento contribuisce di per sé allo sviluppo dei disturbi dell’olfatto. Infatti, l’anosmia è una condizione comune negli anziani a causa di una generale degenerazione delle strutture neurali, tra cui la perdita di neuroni sensoriali.

L’elenco delle possibili cause dell’anosmia non termina qui. L’esposizione a sostanze tossiche, come benzene, formaldeide, cadmio e fumo di sigaretta, può danneggiare l’epitelio in cui si trovano i neuroni olfattivi, a volte in modo permanente.

 

L’assunzione di alcuni farmaci (antibiotici, chemioterapici o psicofarmaci) può talvolta interferire con le vie nervose dell’olfatto o causare effetti indiretti come la congestione nasale. Anche altri trattamenti medici possono avere come conseguenza la perdita dell’olfatto. Per esempio, la radioterapia per tumori nella zona testa-collo può danneggiare in modo irrecuperabile i neuroni olfattivi. Gli interventi chirurgici al naso o al cervello possono invece danneggiare le strutture nervose o le aree cerebrali che elaborano gli stimoli olfattivi.

 

Anche alcuni problemi endocrinologici come l’ipotiroidismo e la sindrome di Cushing sono associati ad alterazioni della percezione degli odori, anche se il meccanismo esatto non è stato del tutto chiarito. Infine, persino tumori nasali o cerebrali possono portare alla perdita dell’olfatto.

3. Vivere senza odori: le conseguenze nella vita quotidiana

Vivere senza olfatto ha un impatto sulla qualità della vita che va oltre l’incapacità di godere di un profumo. In primo luogo, l’olfatto è un formidabile “sistema di allarme”. Chi soffre di anosmia non può percepire una fuga di gas, il fumo di un incendio o il cattivo odore del cibo avariato. Ciò può incidere anche sulla percezione dei sapori, oltre che degli odori. Infatti – a proposito di cibo – il sapore è una sensazione complessa, a cui contribuiscono sia il gusto (percepito attraverso i recettori sulla lingua) sia l’olfatto. Senza l’olfatto, il cibo non è più lo stesso, e questo può portare a perdita di appetito, malnutrizione e calo di peso. O può spingere alcune persone a un consumo eccessivo di sale e zuccheri per compensare la ridotta percezione dei sapori. Le conseguenze si estendono al benessere psicologico e sociale: la perdita di un senso così fondamentale è associata a depressione, ansia e isolamento sociale.

Non c’è bisogno di tirare in ballo Proust e la sua “madeleine” per sapere che gli odori sono fortemente associati a ricordi e a emozioni. Per questo l’incapacità di percepire gli odori può ridurre molto le capacità di formare e recuperare memorie, con un importante impatto negativo sull’efficacia personale nelle attività quotidiane, nella relazioni interpersonali e così via.

4. Le strategie di cura dell’anosmia

Il trattamento delle anosmie acquisite dipende dalle loro cause. Se il problema è un’ostruzione, come nel caso di polipi nasali o di una crescita eccessiva dei turbinati, a volte l’intervento chirurgico può essere risolutivo o migliorare la situazione. Se c’è di mezzo un’infiammazione, come nella rinosinusite, i corticosteroidi e altre sostanze antiinfiammatorie possono ridurre il gonfiore della mucosa e migliorare la funzione olfattiva.

Per le perdite di tipo neurosensoriale, come quelle post-virali o post-traumatiche, si può ricorrere anche al cosiddetto “training olfattivo” (o riabilitazione olfattoria). La tecnica è una specie di “fisioterapia per il naso”: due volte al giorno il paziente deve annusare in modo consapevole e concentrato un set di odori molto intensi, per diversi mesi. L’obiettivo è stimolare la neuroplasticità del sistema olfattivo, ovvero la capacità dei nervi di riorganizzarsi e rigenerarsi.

ll training olfattivo è particolarmente raccomandato nei casi di anosmia post-Covid, ma è bene ricordare che non tutti gli esperti concordano sulla sua reale efficacia. Le evidenze disponibili sono incoraggianti, tuttavia il meccanismo d’azione non è ancora del tutto chiaro e mancano studi condotti su ampi numeri di pazienti. Inoltre, i protocolli utilizzati non sono uniformi, il che rende difficile confrontare i risultati delle ricerche, e l’entità del miglioramento osservato varia sensibilmente da persona a persona.

Purtroppo, per le forme congenite o quelle causate da un danno permanente e grave ai nervi o al cervello, spesso non esiste possibilità di trattamento. In questi casi, e in tutti quelli dove il disturbo si rivela permanente, la gestione si concentra su strategie di adattamento, a partire da buone pratiche per la sicurezza come installare rilevatori di fumo, e supporto psicologico.

5. Le terapie di domani

La ricerca sta esplorando nuove possibili terapie. Sembrano incoraggianti i primi studi sulle iniezioni di plasma ricco di piastrine (PRP): il plasma del paziente, ricco di fattori di crescita, può essere iniettato nella regione olfattiva per stimolare la rigenerazione nervosa. In una fase ancora più sperimentale troviamo le terapie cellulari e geniche, al momento allo studio in animali di laboratorio: le cellule staminali potrebbero essere usate per rigenerare i neuroni danneggiati e la terapia genica per correggere i difetti alla base di alcune forme congenite. Infine, in analogia con gli impianti cocleari per l’udito, i ricercatori stanno sviluppando impianti olfattivi, neuroprotesi in grado di rilevare le molecole odorose e tradurle in segnali elettrici per stimolare direttamente il bulbo olfattivo. Tutti questi sistemi, se avranno successo, non potranno restaurare le eventuali memorie olfattive perdute, ma potrebbero aiutare a percepire gli odori dal momento della terapia o dell’impianto in poi.

  • Stefano Dalla Casa

    Giornalista e comunicatore scientifico, si è formato all’Università di Bologna e alla Sissa di Trieste. Scrive o ha scritto per le seguenti testate o siti: Il Tascabile, Wonder Why, Aula di Scienze Zanichelli, Chiara.eco, Wired.it, OggiScienza, Le Scienze, Focus, SapereAmbiente, Rivista Micron, Treccani Scuola. Cura la collana di divulgazione scientifica Zanichelli Chiavi di Lettura. Collabora dalla fondazione con Pikaia, il portale dell’evoluzione diretto da Telmo Pievani, dal 2021 ne è il caporedattore.