Ultimo aggiornamento: 26 settembre 2025
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In questo articolo risponderemo alle domande:
“Il modo più fruttuoso per scoprire un nuovo farmaco è partire da un vecchio farmaco.” Le parole di James Black, farmacologo e premio Nobel per la fisiologia o la medicina 1988, sono senza dubbio incoraggianti per chi si occupa di riposizionamento di farmaci e che in inglese è detto drug repurposing o drug repositioning.
In pratica ciò significa cercare e testare nuovi utilizzi per farmaci già approvati dalle autorità regolatorie, per l’Italia l’Agenzia europea per i medicinali (EMA) e l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA). Il riposizionamento può essere considerato anche per molecole non ancora in commercio, ma già utilizzate in studi clinici, ovvero le cosiddette investigational drugs
Gli esempi di riposizionamento sono tanti e alcuni anche piuttosto famosi. Basti pensare al sildenafil, molto più noto come la “pillola blu” o con il suo nome commerciale, Viagra. Sviluppato in origine per trattare un problema cardiaco, l’angina pectoris, è oggi utilizzato e conosciuto anche e soprattutto per trattare la disfunzione erettile.
Un altro caso è quello del minoxidil, usato inizialmente contro l’ipertensione, ma oggi utilizzato anche contro la perdita dei capelli perché tra gli effetti collaterali dà irsutismo, ovvero fa crescere i peli.
In oncologia si è scoperta l’efficacia contro il mieloma multiplo della talidomide. Il farmaco, usato in passato contro numerosi problemi, tra cui la nausea in gravidanza, era stato ritirato dal mercato per i gravi danni alla salute che causava ai feti di madri che ne avevano fatto uso. Come farmaco oncologico può essere utilizzato in pazienti che non sono in gravidanza, dato che la grave tossicità riguardava il feto e non l’organismo adulto.
Uno dei possibili vantaggi del riposizionamento è che questo approccio permette di ridurre i tempi necessari per portare un farmaco al letto del paziente. Come si legge in un articolo pubblicato su Signal Transduction and Targeted Therapy, una rivista del gruppo Nature, lo sviluppo di un nuovo farmaco richiede in media 10-15 anni. Con i tentativi di riposizionamento, gli studi sulla sicurezza della nuova molecola sono già stati effettuati e non è necessario ripeterli. Si può così passare direttamente alla valutazione clinica dell’efficacia per le nuove indicazioni (fasi II e III). Ecco allora che, in caso di riposizionamento, per lo sviluppo di un nuovo farmaco i tempi si riducono a circa 3-9 anni. Ciò permette a sua volta di contenere fortemente anche i costi di sperimentazione e sviluppo.
Sempre secondo l’articolo già citato in precedenza, soltanto l’1% circa dei composti sperimentali supera la fase preclinica, passando alle fasi cliniche. Le fasi iniziali dello sviluppo di un farmaco, tra cui la scoperta di nuove molecole, sono responsabili di più di un terzo dei costi e dei tempi necessari allo sviluppo di un farmaco.
Fino a qualche tempo fa il riposizionamento di un farmaco era frutto più di un caso fortuito che di una vera e propria analisi mirata. Si notava per esempio – come nel caso del minoxidil – un effetto collaterale che poteva diventare un vantaggio per alcuni pazienti con altri problemi.
Oggi il riposizionamento è piuttosto il risultato di una ricerca attenta che si avvale delle più sofisticate tecnologie di biologia, chimica, informatica e intelligenza artificiale.
In genere, parte da raccolte di migliaia di molecole, incluse alcune già approvate per l’uso clinico, che le aziende farmaceutiche e gli istituti di ricerca conservano con cura. Nel caso degli studi di ricerca oncologica, numerosi scienziati valutano in modo sistematico quali di questi composti potrebbero essere candidati per un futuro utilizzo contro i tumori. In alcuni casi si procede con un approccio computazionale, con il quale analizzare grandi quantità di dati riguardanti il problema da risolvere. Si possono così valutare caratteristiche come l’espressione genica di alcune molecole che si trovano sulla superficie delle cellule tumorali e che potrebbero essere il bersaglio di farmaci, insieme alla forma tridimensionale di tali molecole. Una volta individuati i bersagli più promettenti, si può studiare con quali composti, tra le molecole disponibili nelle collezioni, tali bersagli potrebbero interagire. Una volta completata questa fase, si può procedere con tecniche che permettono di valutare contemporaneamente l’azione di centinaia di composti su cellule in coltura. L’attività delle molecole che superano queste prove è poi studiata in animali di laboratorio con il tipo di tumore di interesse. In uno studio i cui risultati sono stati pubblicati su Nature Cancer, utilizzando un approccio di questo tipo, i ricercatori hanno studiato l’effetto di circa 4.500 molecole in quasi 600 tipi diversi di cellule tumorali umane, scoprendo così nuovi potenziali composti per future terapie. Tra le molecole considerate promettenti, alcune sono attualmente in uso per trattare malattie come il diabete, la dipendenza da alcol e persino l’artrosi del cane, patologie che non hanno nulla a che vedere con il cancro.
Il metodo sembra semplice e lineare, ma molti sono gli ostacoli che si possono presentare lungo il percorso di riposizionamento.
Innanzitutto, non è semplice avere a disposizione tecnologie, competenze e risorse per programmi sistematici e su larga scala di riposizionamento, che per questo non sono alla portata di tutti i laboratori di ricerca. Ci sono inoltre problemi clinici e biologici non trascurabili: un farmaco che funziona bene a un certo dosaggio, per la sua indicazione originale, può richiedere “aggiustamenti” notevoli in termini di modalità e tipo di somministrazione prima di poter essere utilizzato in modo efficace per un’altra indicazione.
Il fatto poi di partire da una solida base – ovvero da studi già completati sulla sicurezza – riducono i tempi, ma non il rischio di fallimento. Un’eventualità di cui ricercatori e aziende tengono conto.
Infine, è necessario fare i conti con aspetti burocratici e con i brevetti da cui possono essere coperte alcune delle molecole che si intende riproporre per una nuova indicazione. Anche questi fattori potrebbero complicare il processo di riposizionamento, allungando i tempi necessari e, in alcuni casi, aumentando anche i costi o semplicemente rendendo impossibile il tentativo. Il fattore dei costi è tenuto particolarmente in considerazione dalle aziende che devono finanziare la ricerca, le quali a volte decidono di rinunciare a investire su farmaci anche con un buon potenziale se si prospetta l’ipotesi di aumento dei costi o di importanti problemi burocratici.
Autore originale: Agenzia Zoe
Revisione di Sofia Corradin in data 26/09/2025
Agenzia Zoe