Ultimo aggiornamento: 12 aprile 2023
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In questo articolo risponderemo alle domande:
Le ricerche sulla vitamina D e il suo ruolo nella salute umana sono iniziate oltre un secolo fa e nel corso del tempo hanno permesso di scoprire legami inaspettati tra carenze di questo composto nel nostro organismo e lo sviluppo di numerose patologie. Inoltre, l’interesse dei ricercatori e dei media si è ulteriormente concentrato su questo argomento durante la pandemia di coronavirus.
Con il termine vitamina D si identifica in realtà un gruppo di molecole (pro-ormoni), presenti soprattutto sotto forma di ergocalciferolo (vitamina D2) e colecalciferolo (vitamina D3). La forma attiva della vitamina (calcitriolo o 1,25-diidrossivitamina D) si lega a un recettore specifico presente sulla superficie delle cellule e può così svolgere la propria azione, collegata soprattutto – ma non solo – al buon funzionamento del metabolismo delle ossa.
Il recettore non si trova solo a livello delle cellule dell’apparato scheletrico, ma anche in molti altri tipi cellulari, da quelli del sistema immunitario a quelli di stomaco, rene, prostata e cervello. Non c’è quindi da stupirsi se i potenziali effetti della vitamina D interessano così tanti aspetti della salute umana.
Le differenze con le altre vitamine emergono però quando si pensa alla fonte primaria della molecola. La quantità di vitamina D contenuta negli alimenti è infatti scarsa, mentre secondo le stime dell’Istituto superiore di sanità, il 90 per cento circa del fabbisogno di questo composto si ottiene grazie all’esposizione al sole.
Su questo punto restano però ancora molti dubbi da chiarire. Innanzitutto bisogna tener conto del fatto che l’effetto benefico dell’esposizione al sole, e di conseguenza la sintesi di vitamina D da parte dell’organismo, non è sempre uguale, ma dipende da numerose variabili, come l’ora in cui ci si espone, la latitudine, l’età, il colore della pelle, l’uso di creme solari – sempre fondamentale per aiutare a prevenire eventuali malattie dell’epidermide – e molto altro ancora. Inoltre lo stile di vita moderno, che prevede sempre meno ore trascorse all’aperto anche per i bambini, non stimola la formazione della vitamina D e rende la carenza piuttosto comune.
A complicare il quadro c’è il fatto che non tutte le società scientifiche concordano sulle soglie di vitamina D da considerare minimamente “ottimali”. Con un’analisi su un prelievo di sangue è possibile dedurre la concentrazione di vitamina D, misurando i livelli della molecola 25(OH)D). In Italia i valori comunemente valutati come ideali sono quelli compresi tra 12 e 40 ng/mL. La soglia minima che consente la rimborsabilità è stata abbassata dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) a febbraio 2023, portandola da 20 a 12 ng/mL. Al di sotto di tale soglia si pensa infatti sia opportuno correre ai ripari, cambiando le proprie abitudini quotidiane e alimentari e, come ultima risorsa, facendo ricorso a eventuali integratori.
Dalla dieta invece possiamo ottenere solo un piccolo aiuto per aumentare i livelli di vitamina D: tra i cibi che ne sono più ricchi ci sono alcuni pesci con elevato contenuto di grassi (come il salmone), l’olio di pesce, il tuorlo d’uovo o alcuni alimenti addizionati, come latte e cereali.
Assumere una quantità maggiore di questi prodotti, all’interno sempre di un’alimentazione varia ed equilibrata, è in genere privo di rischi. Invece prima di ricorrere all’uso di integratori è fondamentale parlare con il medico: non solo sono raramente necessari, ma possono anche interferire con l’effetto di alcuni farmaci piuttosto comuni (alcuni diuretici o farmaci per ridurre il colesterolo).
La vitamina D è essenziale per la salute dell’apparato scheletrico, poiché serve ad assorbire il calcio, elemento prezioso per avere ossa forti. Negli anni molti studi hanno dimostrato che la vitamina D di origine naturale e, in alcuni casi, la supplementazione, migliora la densità minerale delle ossa, aiuta a prevenire le fratture negli anziani e nelle donne dopo la menopausa ed è anche fondamentale per sostenere uno sviluppo armonico nei più piccoli. Tuttavia evidenze più recenti mostrano che la densità ossea ottimale si costruisce soprattutto durante l’arco dell’intera vita, anche attraverso l’esercizio fisico, per cui il ricorso a integratori resta un argomento controverso tra i medici e i ricercatori.
Inoltre i risultati di studi recenti hanno contribuito a ribaltare l’idea che assumere supplementi di vitamina D aiuti a prevenire l’osteoporosi, una patologia legata alla perdita di calcio dalle ossa che avviene normalmente con l’avanzare dell’età e in particolare, nelle donne, dopo la menopausa.
A febbraio 2023 l’AIFA ha recepito i risultati di due studi che dimostrano l’inutilità di dare supplementi di vitamina D per prevenire l’osteoporosi. Di conseguenza è cambiata anche la regola per la rimborsabilità a carico del Servizio sanitario nazionale.
AIFA ha fatto riferimento ai risultati dello studio americano VITAL, pubblicati sul New England Journal of Medicine, e dello studio europeo DO-HEALTH, pubblicati sulla rivista JAMA. Entrambi hanno concluso che i supplementi di vitamina D, anche quando protratti per molti anni (oltre 5 anni nel primo studio e 3 anni nel secondo) non modificano il rischio di fratture negli anziani sani che non hanno altri fattori di rischio per osteoporosi. I risultati sono stati confermati anche per il gruppo con livelli molto bassi di vitamina 25(OH)D.
Negli anni, però, gli esperti hanno tenuto conto anche di altre funzioni di questa vitamina. “La carenza di vitamina D non ha solo un impatto negativo sulla salute dello scheletro, ma secondo alcuni potrebbe anche facilitare lo sviluppo e la progressione di molte cosiddette ‘malattie della civilizzazione’, come disturbi cardiovascolari, diabete, malattie autoimmuni e cancro” si legge in un articolo pubblicato sull’International Journal of Molecular Sciences.
Altri studi hanno suggerito invece un legame tra bassi livelli di vitamina D e sviluppo di problemi cardiovascolari o aumento del rischio di sclerosi multipla nelle donne. I ricercatori stanno valutando il potenziale ruolo della vitamina D anche nella prevenzione e cura dell’influenza stagionale, anche se una recente metanalisi in merito, pubblicata su Frontiers in Nutrition a gennaio 2022, afferma che non ci sono prove conclusive di benefici. Per quanto riguarda invece lo sviluppo di alcune malattie autoimmuni (diabete di tipo 1, lupus eritematoso sistemico) e neurologiche (Parkinson, Alzheimer), gli studi sul possibile ruolo della vitamina D sono ancora in corso.
Infine, ma non certo meno importante, si sta studiando il legame tra vitamina D e microbiota intestinale, l’insieme dei microbi che popolano l’intestino.
In tutti questi casi, però, è bene sottolineare ancora che non vi sono prove scientifiche sufficienti per sostenere l’uso regolare di integratori.
“La luce del sole e la vitamina D riducono la probabilità di ammalarsi di tumore del colon?” Sono passati 40 anni da quando due ricercatori si sono posti questa domanda sulle pagine dell’International Journal of Epidemiology. Da allora le ricerche sul legame tra vitamina D e cancro non si sono fermate ma, nonostante il grande lavoro svolto dai ricercatori, in quasi tutti i casi non è ancora possibile giungere a conclusioni affidabili.
Studi di laboratorio hanno dimostrato che la vitamina D è coinvolta in processi importanti anche per lo sviluppo e la progressione di tumori, come l’infiammazione, la crescita cellulare, il metabolismo del glucosio e il funzionamento del sistema immunitario. Inoltre molti geni che regolano la proliferazione, la differenziazione e la morte programmata (o apoptosi) delle cellule sono regolati almeno in parte dalla vitamina D.
Ma se in laboratorio e negli animali di laboratorio il ruolo positivo di questo composto nella prevenzione e nel controllo dei tumori è sembrato piuttosto evidente, negli esseri umani gli studi intrapresi hanno prodotto risultati contrastanti.
Un articolo pubblicato su Seminars in Cancer Biology ricorda che in generale bassi livelli di vitamina D sono legati a una maggiore incidenza di cancro e i dati più convincenti sono quelli che riguardano il tumore del colon-retto. A novembre 2020 sono stati pubblicati sulla rivista JAMA Network Open i risultati della prima fase dello studio VITAL, dai quali emerge che assumere supplementi a base di vitamina D riduce l’incidenza di tumori in stadio avanzato e che questo effetto è più forte in chi non è obeso. Ancora una volta, l’uso di integratori in persone già malate, e con malattia in stadi avanzati, non dice nulla sugli effetti nelle persone sane. Come si legge in un articolo pubblicato su Epidemiologic Reviews, per la maggior parte dei tumori restano ancora molti punti da chiarire prima di poter arrivare a prescrivere la vitamina D come strategia di prevenzione o per migliorare la sopravvivenza.
La pandemia di Covid-19 ha ulteriormente rafforzato l’interesse dei medici e dei ricercatori nei confronti della vitamina D. In un commento pubblicato ad agosto 2020 sulla rivista Lancet Diabetes and Endocrinology si sottolineava infatti come le categorie di persone maggiormente a rischio di sviluppare forme gravi di Covid-19 (quelle obese o in età avanzata) siano in molti casi le stesse in cui di solito si registra una carenza di vitamina D.
In effetti, le conoscenze attuali sui meccanismi d’azione della vitamina D potrebbero sostenere l’ipotesi che la molecola sia coinvolta nelle reazioni immunitarie contro i virus e che inoltre potrebbe regolare le risposte antinfiammatorie in caso di malattie respiratorie. “È possibile che aumentare i livelli di vitamina D possa ridurre l’impatto del Covid-19, soprattutto nelle popolazioni dove i livelli sono in genere scarsi”, hanno concluso gli autori, sottolineando che la raccomandazione varrebbe per chi ha un livello di vitamina D particolarmente basso.
Dall’inizio della pandemia sono stati condotti numerosi studi, molti dei quali (come lo studio pubblicato sulla rivista Nature a novembre 2022) hanno confermato una relazione tra uso di vitamina D, riduzione del rischio di infezione e minore gravità della malattia. Come però evidenziano molti commentatori, sono necessarie ulteriori indagini poiché tutti gli studi condotti su fattori protettivi contro Covid-19 devono tenere conto di molte variabili, come l’evoluzione del virus, la crescente copertura vaccinale della popolazione e le infezioni precedenti che hanno a loro volta una funzione protettiva.
Quindi al momento non ci sono dati sufficienti per raccomandare l’uso di supplementi di vitamina D per prevenire o trattare il Covid-19, come gli esperti del National Institute for Health and Care Excellence (NICE), nel Regno Unito, hanno ribadito nel 2022, nelle loro linee guida.
Agenzia Zoe