In alcuni casi il test genomico per le pazienti con tumore del seno è un diritto e il costo può essere rimborsato dal sistema sanitario

Gli esperti ne riconoscono l’utilità e lo Stato italiano ha messo a disposizione i fondi per rimborsare i costi di tali test a determinate categorie di pazienti

Ultimo aggiornamento: 18 luglio 2024

Tempo di lettura: 4 minuti

In questo articolo risponderemo alle domande:

  1. Cosa sono i test di espressione genica per tumore del seno?
  2. Per chi sono indicati questi esami?
  3. Quali sono i vantaggi legati all’esecuzione del test?

 

Con la legge di bilancio del 2020 sono stati stanziati 20 milioni di euro in un fondo specifico per il rimborso di test genomici effettuati da pazienti affetti da specifici tipi di tumore della mammella. In un decreto del ministro della salute, pubblicato in Gazzetta ufficiale a luglio 2021, sono state quindi spiegate le modalità e i requisiti necessari per accedere a tali fondi.

Più precisamente, il decreto ha reso i test genomici rimborsabili in tutta Italia per le pazienti con tumore del seno in fase iniziale responsivo alle terapie ormonali e negativo per HER2, visti i benefici degli esiti di tali test per questa categoria di pazienti, dimostrati dai risultati di molti studi scientifici. Ciononostante, numerosi esperti hanno segnalato il fatto che in diverse zone d’Italia ci sono ancora ostacoli per accedere a tali test per tutte le donne che ne avrebbero diritto e potrebbero trarne vantaggio.

Si leggono i geni

In un documento di maggio 2021, gli esperti dell’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM) hanno descritto in dettaglio i test genomici oggetto del fondo recentemente stanziato dallo Stato. Queste analisi consentono di misurare i livelli di espressione di un gruppo di geni che, valutati nel loro insieme, permettono di prevedere un po’ meglio il rischio individuale di recidiva, ovvero di un ritorno della malattia, dopo il primo intervento chirurgico di rimozione del tumore. Come riportato nel documento, attualmente sono 5 i principali test disponibili per il tumore della mammella, già in uso secondo criteri e regolamentazioni differenti in diversi Paesi.

In Italia uno dei più comunemente utilizzati è il test chiamato Oncotype DX, con cui si analizza l’espressione di 21 geni (16 legati al tumore mammario e 5 di controllo) partendo da tessuto tumorale conservato in paraffina. I dati sembrano mostrare che, analizzando l’espressione di una serie ben definita di geni all’interno delle cellule tumorali (diversi per numero e tipo a seconda del test), è possibile prevedere il rischio di recidiva del tumore nelle categorie di pazienti descritte sopra. I risultati possono aiutare gli specialisti, in particolare gli oncologi, a valutare la prognosi nelle donne con carcinoma mammario e a scegliere il percorso terapeutico più adatto.

Per molte ma non per tutte

Il principale beneficio legato a questi test è la possibilità di evitare ad alcune pazienti i trattamenti di chemioterapia dopo l’intervento chirurgico, con tutto ciò che esso comporta dal punto di vista fisico e psicologico. Gli esperti ricordano infatti che a volte le pazienti operate per tumore mammario vengono sottoposte a un trattamento adiuvante (ovvero eseguito dopo la chirurgia) a base di terapie ormonali, terapie a bersaglio molecolare, chemioterapia o a una combinazione di questi approcci, al fine di ridurre il rischio di recidiva e di decesso.

In passato i medici, per determinare il rischio di recidiva di una paziente e scegliere quindi la terapia più adatta, potevano basarsi solo su criteri clinici e su alcune caratteristiche della malattia. Se in certi casi vi erano pochi dubbi, in altri, non potendo stabilire quale trattamento avesse le maggiori probabilità di successo, si optava spesso per somministrare anche la chemioterapia in aggiunta alla terapia ormonale, per non correre rischi. Oggi è noto che nei tumori positivi per HER2 e triplo negativi la chemioterapia è spesso indispensabile, ma non è sempre così per tutte le pazienti. Per i tumori in fase iniziale positivi per i recettori ormonali e negativi per HER2, l’esito dei test genomici può aiutare a chiarire alcuni dubbi e identificare le donne che hanno maggiori probabilità di avere davvero bisogno della chemioterapia. Si possono così risparmiare il trattamento e i suoi effetti collaterali a chi non ne trarrebbe alcun vantaggio.

Importanti per le pazienti e per il sistema sanitario

Dal punto di vista delle pazienti, l’introduzione dei test genomici e la possibilità di effettuarli gratuitamente grazie al fondo messo a disposizione dallo Stato rappresenta senza dubbio un enorme passo avanti.

In Italia ogni anno vengono diagnosticati circa 55.000 nuovi tumori mammari e mediamente una donna su 5 ha le caratteristiche per essere sottoposta ai test. Facendo i conti, si tratta di oltre 10.000 donne per le quali questi test possono significare una terapia più mirata e precisa e in certi casi la possibilità di evitare un lungo e pesante percorso di chemioterapia. Stando però ai dati presentati nel corso del congresso nazionale AIOM 2022, in Italia, dopo oltre un anno dall’introduzione del decreto del 2021, solo 4 donne su 10 avevano usufruito di questi test.

Se con i test è possibile “risparmiare” alle pazienti la chemioterapia, dal punto di vista del sistema sanitario il risparmio è anche economico e quantificabile: basti pensare che un test costa circa 2.000 euro, contro i 7.000-8.000 euro di un solo ciclo di chemioterapia.

I test genomici, che rientrano nell’oncologia di precisione, sono raccomandati per alcune pazienti dalle linee guida sia nazionali sia internazionali. La strada è dunque tracciata, anche se restano ancora ostacoli burocratici e amministrativi da superare affinché l’accesso a questi test sia davvero garantito a tutte le pazienti che ne hanno diritto sul territorio nazionale.

Per superare ostacoli e diseguaglianze, già nell’ottobre 2022 gli oncologi in Italia hanno lanciato un appello alle autorità chiedendo l’inserimento di questi test nei LEA, i livelli essenziali di assistenza, anche in base ai risultati di un sondaggio al quale sono stati sottoposti 212 giovani oncologi: il 60 per cento ha dichiarato che questi test andrebbero appunto inseriti nei LEA.

Testo originale pubblicato in data 25 luglio 2022

Testo aggiornato pubblicato in data 18 luglio 2024

  • Agenzia ZOE