Ultimo aggiornamento: 16 marzo 2023
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La leucemia linfoblastica acuta (LLA) è un tumore del sangue che prende origine dai progenitori dei linfociti, un tipo particolare di globuli bianchi. È caratterizzata da un accumulo di queste cellule (blasti) nel midollo osseo, nel sangue e in altri organi. Il termine “acuta” indica che la malattia progredisce velocemente.
I linfociti sono cellule del sistema immunitario che sorvegliano l’organismo e attivano le difese contro agenti esterni come i microorganismi o interni come le cellule tumorali. Si distinguono in B o T anche in base al tipo di risposta che sono in grado di attivare.
Nella LLA un linfocita B o T immaturo va incontro a una trasformazione tumorale: i processi di maturazione che portano al linfocita “adulto” si bloccano e la cellula comincia a riprodursi più velocemente invadendo il midollo osseo e poi il sangue. Tale cellula e la sua progenie possono raggiungere i linfonodi, la milza, il fegato e il sistema nervoso centrale.
L'oncologo pediatra Andrea Biondi parla della leucemia linfoblastica acuta e dei progressi della ricerca su questa malattia.
La LLA è una malattia relativamente rara: in Italia si registrano circa 1,6 casi ogni 100.000 maschi e 1,2 casi ogni 100.000 femmine, che corrispondono ogni anno a circa 450 nuovi casi nel sesso maschile e 320 in quello femminile.
Per quanto raro, è il tumore più frequente in età pediatrica: rappresenta l’80 per cento circa delle leucemie e il 25 per cento di tutti i tumori diagnosticati tra 0 e 14 anni. L’incidenza raggiunge il picco tra i 2 e i 5 anni, poi cala con l’aumentare dell’età. Il 50 per cento circa di tutti i casi viene diagnosticato entro i 29 anni.
Sono pochi i fattori di rischio noti per la LLA. Tra quelli ambientali si possono citare l’esposizione a radiazioni, dovuta anche a cure mediche come la radioterapia, e a certe sostanze chimiche come il benzene, un componente naturale del petrolio, contenuto anche in alcuni pesticidi e nel fumo di sigaretta.
Tra i fattori non modificabili che aumentano il rischio relativo per questa malattia vi sono l’età pediatrica, il sesso maschile, e alcune sindromi ereditarie legate ad anomalie genetiche, come le sindromi di Down, di Klinefelter e di Bloom, l’anemia di Fanconi, l’atassia-teleangiectasia e la neurofibromatosi. Non ci sono invece prove che la malattia sia trasmissibile per via ereditaria.
Le diverse forme di LLA sono classificate in base alle caratteristiche dei linfociti malati, allo scopo di stabilire al meglio la diagnosi, la prognosi e il percorso terapeutico.
Oggi si usa il sistema di classificazione proposto dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) che distingue due grandi gruppi di LLA, quelle che prendono origine dai linfociti B (LLA-B) e quelle che invece hanno inizio dai linfociti T (LLA-T). All’interno di questi gruppi si identificano diversi sottogruppi in base alle anomalie genetiche che caratterizzano le cellule leucemiche. Circa l’80 per cento delle LLA origina dai linfociti B, mentre il restante 20 per cento dai linfociti T.
I sintomi della LLA si manifestano rapidamente e di solito la diagnosi segue a breve. I sintomi iniziali sono spesso poco specifici e comprendono stanchezza, perdita di appetito e febbre. Possono essere presenti spossatezza e pallore legati all’anemia, infezioni dovute alla riduzione dei globuli bianchi normali e sanguinamenti (anche a naso e gengive) legati alla carenza di piastrine. Se la malattia si è diffusa in altri organi, si notano ingrossamento di milza, fegato e linfonodi, e, se è stato raggiunto anche il sistema nervoso, possono verificarsi mal di testa e altri segni e sintomi neurologici.
Non è possibile definire strategie di prevenzione per la LLA, dal momento che non si conoscono in dettaglio le cause della malattia. L’unica raccomandazione utile è evitare, nel limite del possibile, l’esposizione a radiazioni e a sostanze chimiche dannose come il benzene.
Una visita medica completa è il punto di partenza obbligato per arrivare a una diagnosi di LLA. Il medico valuterà i sintomi e i segni clinici, per esempio organi e linfonodi ingrossati, e deciderà se prescrivere esami di approfondimento. Un prelievo di sangue venoso consente di valutare, attraverso un semplice emocromo, se ci sono alterazioni a carico dei globuli rossi, dell’emoglobina, dei globuli bianchi e delle piastrine. Eventuali alterazioni nell’emocromo devono indirizzare verso una visita ematologica. L’ematologo confermerà o escluderà il sospetto diagnostico rifacendo un emocromo e considerando la morfologia delle cellule su uno striscio di sangue periferico esaminato al microscopio. Per arrivare a una diagnosi precisa va effettuata una valutazione del midollo osseo e uno studio dell’immunofenotipo, che fornisce informazioni cruciali sul tipo di cellule del sistema immunitario presenti e sul loro stadio di maturazione.
Una volta effettuate le analisi sulle caratteristiche morfologiche e immunofenotipiche, se viene diagnosticata una LLA occorre definire il sottogruppo a cui la malattia appartiene. Ciò avviene tramite una caratterizzazione genetico-molecolare delle cellule tumorali. In seguito si può verificare se la malattia ha raggiunto anche il sistema nervoso centrale mediante la rachicentesi, una puntura lombare utile a esaminare lo stato del fluido cerebrospinale.
Un’ulteriore classificazione della malattia può essere fatta in base all’evoluzione della malattia dopo il trattamento:
Malattia in remissione:
completa: non ci sono più segni di malattia e la conta dei blasti (cellule immature) nel midollo è inferiore al 5 per cento;
molecolare completa: nemmeno con le più moderne tecniche di indagine molecolare si notano segni di malattia.
Malattia minima residua: segni della malattia sono osservabili solo con le moderne tecniche di indagine, ma non con i test standard di laboratorio.
Malattia attiva: la malattia è ancora presente durante il trattamento o è ritornata (recidiva) dopo la terapia.
La scelta del trattamento della LLA dipende dalle caratteristiche dei pazienti e delle malattie, ma in linea generale la cura va iniziata subito dopo la diagnosi, dato il carattere acuto di questa leucemia.
La chemioterapia rappresenta uno dei principali trattamenti per la LLA. I tipi di farmaci e le dosi sono definiti caso per caso dopo aver attentamente valutato molti fattori; nei bambini, per esempio, si utilizzano spesso regimi più intensivi.
In generale il percorso chemioterapico può essere suddiviso in quattro fasi della durata totale di circa due anni:
Induzione: per eliminare le cellule tumorali da sangue e midollo osseo con lo scopo di raggiungere la remissione completa. Questa fase dura 1 mese o poco più.
Consolidamento: per rafforzare i risultati ottenuti nella fase di induzione. In questa fase, che dura pochi mesi, si utilizza una chemioterapia ad alte dosi.
Re-induzione: si basa sugli stessi farmaci dell'induzione, usati secondo schemi diversi.
Mantenimento: in questa fase possono essere somministrati farmaci come 6-mercaptopurina e metotressato.
Nel corso di tutte le fasi di chemioterapia, per evitare che le cellule leucemiche invadano il sistema nervoso centrale, è necessario somministrare la chemioterapia direttamente nel liquido cerebrospinale mediante punture lombari.
Nei casi più difficili da curare, specialmente bambini e pazienti ad alto rischio che non rispondono alla chemioterapia di induzione o che vanno incontro a recidiva poco dopo il trattamento, è possibile effettuare anche un trapianto di cellule staminali emopoietiche. Il trapianto permette di sostituire le cellule malate del midollo, prima distrutte con radiazioni o chemioterapia a dosi molto elevate. La sostituzione avviene con cellule sane che daranno poi origine a cellule del sangue del tutto normali. In genere nella LLA si predilige il trapianto di cellule staminali allogenico, cioè proveniente da un familiare o da un donatore non consanguineo ad alta affinità.
Negli ultimi anni i cosiddetti farmaci a bersaglio molecolare, o mirati, hanno dato buoni risultati nel trattamento della LLA, permettendo ad alcuni pazienti di ricorrere sempre meno alla chemioterapia. In particolare, i farmaci della classe degli inibitori delle tirosin-chinasi (imatinib, dasatinib, ponatinib) si sono dimostrati di fondamentale importanza contro la malattia caratterizzata dal cromosoma Philadelphia (Ph), nato dalla fusione anomala di parti dei cromosomi 9 e 22 e tipica dell’età più avanzata. Questa anomalia cromosomica dà origine a un gene chiamato BCR-ABL che è il bersaglio specifico contro il quale agiscono imatinib e i farmaci della stessa famiglia.
Inoltre, per il trattamento di pazienti di LLA che non hanno risposto ad altre terapie o in cui la leucemia si è ripresentata, sono stati approvati l’anticorpo monoclonale blinatumomab, che favorisce l’aggressione delle cellule leucemiche da parte dei linfociti sani del paziente stesso; e l’inotuzumab ozogamicina, che danneggia il DNA delle cellule tumorali uccidendole. Il blinatumomab è approvato anche per il trattamento di pazienti con LLA-B con malattia residua minima.
Recentemente per i pazienti con LLA-B avanzata è stata introdotta una nuova strategia terapeutica in cui non si somministrano farmaci, ma cellule: la terapia con le cosiddette cellule CAR-T (Chimeric Antigen Receptor – Lymphocyte T). I linfociti T dei pazienti vengono geneticamente modificati in laboratorio affinché siano capaci di riconoscere e distruggere le cellule tumorali, una volta reinfuse.
Grazie all’avanzamento delle conoscenze e alle cure disponibili, oggi la prognosi di pazienti con LLA di tutte le età è molto migliorata rispetto al passato, anche se varia a seconda dell’età, dei sottotipi genetici e della malattia residua minima. Il tasso di remissione a lungo termine può raggiungere oggi il 55-70 per cento negli adulti, mentre nei bambini si ottiene una guarigione nell’80-85 per cento dei casi. Grazie alle terapie mirate, queste percentuali si osservano anche nei pazienti anziani con LLA Ph+.
Le informazioni di questa pagina non sostituiscono il parere del medico.
Agenzia Zoe