Ultimo aggiornamento: 25 ottobre 2019
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Il tumore di Ewing è un tipo di cancro dei tessuti molli e delle ossa. Descritto per la prima volta all’inizio del secolo scorso dal patologo statunitense James Ewing, che notò differenze tra le cellule di queste patologie e quelle del più classico tumore alle ossa, oggi sappiamo che esistono tre tipi di tumori di Ewing, con diverse localizzazioni possibili nell’organismo, tra cui le più comuni sono la tibia, il femore, il bacino e le costole. La malattia può insorgere a tutte le età, ma si presenta soprattutto nei bambini e negli adolescenti.
La ricercatrice Katia Scotlandi parla del tumore di Ewing e dei progressi della ricerca su questa malattia.
Secondo i dati dell’Associazione italiana registri tumori (AIRTUM), i sarcomi di Ewing rappresentano il 2 per cento circa di tutti i tumori nella fascia di età compresa tra 0 e 19 anni. L’incidenza della malattia è più elevata nei maschi (4,3 casi per milione) rispetto alle femmine (2,6 casi per milione) e cresce con l’aumentare dell’età: il picco di casi si osserva tra i 5 e i 15 anni, seguito da una diminuzione tra i 15 e i 19 anni.
Età e genere sono due fattori di rischio per il tumore di Ewing, che si manifesta prevalentemente in età pediatrica e adolescenziale ed è più comune tra i maschi rispetto alle femmine. Si tratta di fattori non modificabili, sui quali cioè non è possibile intervenire. Anche se le cause del tumore di Ewing non sono state ancora identificate con certezza, alcune mutazioni genetiche potrebbero avere un ruolo chiave nell’insorgenza della malattia. Si tratta in genere di mutazioni che non vengono ereditate dai genitori, ma che si presentano in modo sporadico nel corso della vita e solitamente sono dovute a rotture e cambi di materiale tra di cromosomi, in gergo traslocazioni, che possono dare luogo a proteine anomale. Nella maggior parte dei casi (85 per cento circa) i tumori presentano la traslocazione cromosomica 11; 22 che porta alla formazione di una proteina aberrante che coinvolge il gene EWSR1, sul cromosoma 22, e il gene FLI1, situato sul cromosoma 11. Tale proteina anomala stimola la crescita incontrollata delle cellule a essa sensibili e porta alla formazione del tumore. La presenza di molecole di RNA trascritte dal gene anomalo EWS-FLI è utile per la diagnosi, permettendo di identificare in modo specifico l’origine del tumore.
Si distinguono tre tipi di tumore di Ewing che vengono trattati con le stesse terapie, date le caratteristiche molto simili a livello cellulare e cromosomico.
Il tumore di Ewing osseo è la forma più comune, e insorge soprattutto a livello delle ossa pelviche, del torace o degli arti inferiori (tibia e femore). Il tumore di Ewing extra-osseo prende invece origine dai tessuti molli posti vicino all’osso. Infine i tumori neuroectodermici primitivi periferici sono forme rare che, come gli altri tumori di Ewing, si sviluppano nelle ossa e nei tessuti molli adiacenti all’osso. Se si originano nel torace, queste neoplasie prendono il nome di tumori di Askin.
Il dolore localizzato è il sintomo principale del tumore di Ewing, in particolare quando questo si trova a livello dell’osso. Anche fratture causate da traumi lievi potrebbero essere un sintomo di malattia, dal momento che il tumore indebolisce la struttura dell’osso. In molti casi – soprattutto nel caso di tumore extra-osseo – possono essere presenti gonfiore e tumefazioni visibili.
Si riscontrano a volte anche sintomi più generici come febbre, stanchezza e malessere o aumento degli indici di infiammazione.
Non essendo stati identificati fattori di rischio modificabili per la malattia, non esistono attualmente strategie mirate per la prevenzione dei tumori di Ewing.
In caso di sospetto di un tumore di Ewing, solitamente il medico visita il paziente per valutare segni, sintomi e la storia medica personale e familiare, quindi potrà prescrivere esami di approfondimento basati sulla cosiddetta diagnostica per immagini. Risonanza magnetica, tomografia computerizzata (TC) e tomografia a emissione di positroni (PET) sono utili per capire se il tumore è presente e quanto è diffuso. La scintigrafia ossea aiuta a valutare la diffusione e il danno a livello dell’osso, mentre la biopsia è l’esame fondamentale per arrivare alla diagnosi definitiva di tumore di Ewing. Sui campioni prelevati mediante biopsia vengono in genere effettuate analisi di immunoistochimica per valutare i marcatori caratteristici delle cellule del sarcoma di Ewing (per esempio CD99 e caveolina 1) e analisi molecolari per rilevare la presenza del RNA trascritto ibrido che si forma in seguito alla traslocazione cromosomica di cui si è detto sopra. Esami del sangue completi sono utili per stabilire le condizioni di salute generale del paziente e anche per ottenere informazioni sulla malattia: per esempio, una conta anomala delle cellule del sangue potrebbe indicare che il tumore ha coinvolto anche il midollo osseo, mentre livelli elevati di lattato deidrogenasi (LDH) sembrano associati a una evoluzione più aggressiva della malattia.
La stadiazione di un tumore serve a rilevare quanto la malattia è diffusa ed è fondamentale per scegliere il trattamento più adatto. Per assegnare uno stadio ai tumori di Ewing si utilizza il sistema TNM, nel quale si valuta l’estensione della malattia (T), il coinvolgimento dei linfonodi (N) e la presenza di metastasi (M). È possibile inoltre aggiungere a queste informazioni anche il grado di malattia (G): più alto è il grado, più aggressivo è il tumore.
Spesso nella pratica clinica si utilizza una classificazione semplificata dei tumori di Ewing, che distingue solo due tipi: malattia localizzata, ovvero confinata all’organo di origine, e malattia metastatica, già diffusa in altre aree dell’organismo oltre a quella primitiva. La presenza di metastasi al momento della diagnosi è un segnale di un’evoluzione più veloce della malattia e richiede terapie differenziate e più aggressive rispetto a quelle utilizzate per i pazienti con malattia localizzata. Secondo studi più recenti, diversi marcatori molecolari e biologici permetterebbero di prevedere la possibile evoluzione della malattia, ma per nessuno di questi vi è ancora un generale consenso.
Per la diagnosi e il trattamento dei tumori di Ewing è importante rivolgersi a centri specializzati: si tratta infatti di tumori piuttosto rari e che colpiscono la popolazione pediatrica, due caratteristiche che rendono più che mai necessaria la valutazione da parte di personale esperto e aggiornato.
I tumori di Ewing in genere rispondono bene ai trattamenti, ma la scelta dell’approccio terapeutico più adatto dipende dalle caratteristiche del paziente e della malattia. Spesso per questi tumori la terapia comprende chirurgia, chiemioterapia e radioterapia.
La chemioterapia viene spesso somministrata prima dell’intervento chirurgico e della radioterapia (chemioterapia neoadiuvante), per ridurre la massa tumorale e renderne più semplice la successiva eliminazione. Il trattamento chemioterapico può però anche essere effettuato dopo la chirurgia (e in questo caso è definito adiuvante) per rimuovere le eventuali cellule tumorali che non è stato possibile eliminare con il bisturi. Infine, nei casi in cui il tumore non risponde al trattamento standard o ritorna dopo le terapie iniziali, si utilizza la chemioterapia ad alte dosi seguita da un trapianto di cellule staminali del midollo, per sostituire quelle intaccate dalla malattia.
La radioterapia può essere effettuata prima dell’intervento chirurgico con lo scopo di ridurre la massa tumorale, ma è efficace anche da sola, soprattutto nei casi in cui la chirurgia non è indicata o la sede del tumore rende particolarmente difficile l’asportazione.
L’intervento chirurgico resta l’opzione di prima scelta per il trattamento di bambini e ragazzi con tumori di Ewing e oggi, grazie agli enormi progressi delle tecniche e dei materiali disponibili, permette in molti casi di non lasciare conseguenze troppo pesanti nei pazienti. Si tende infatti a effettuare interventi conservativi, che eliminino il tumore completamente (o comunque quanto più possibile) senza compromettere troppo la funzionalità dell’area coinvolta. Il chirurgo procede quindi con l’asportazione della massa tumorale e con l’impianto di porzioni di osso sano o di protesi artificiali.
Il fatto che questi tumori siano tipici dell’età pediatrica e adolescenziale pone alcuni problemi di trattamento che non si verificano nei pazienti adulti o anziani. Nel caso dell’intervento chirurgico e della successiva applicazione di una protesi, per esempio, è fondamentale tenere conto del fatto che la struttura ossea del paziente è in fase di crescita e di conseguenza sarà probabilmente necessario effettuare nuovi interventi per sostituire la protesi con una più in linea con l’aumento delle dimensioni dell’osso. I progressi della ricerca in questo settore hanno permesso di creare protesi estensibili, riducendo rispetto al passato il numero degli interventi chirurgici di sostituzione.
L’infertilità, potenzialmente causata dalle terapie, è un altro effetto collaterale da considerare per i pazienti pediatrici con tumori di Ewing. Esperti e centri specializzati possono consigliare le strategie migliori, tra cui la crioconservazione del liquido seminale o degli ovociti.
Per questo tipo di tumori non sono ancora disponibili farmaci a bersaglio molecolare. Tuttavia numerose ricerche sono in corso: un gruppo di ricercatori bolognesi ha per esempio identificato nella proteina CD99 una molecola con un ruolo chiave nella trasformazione tumorale delle cellule di queste neoplasie e di conseguenza un potenziale bersaglio di terapie mirate; altri ricercatori stanno cercando il modo di bloccare l’azione di EWS-FLI, l’RNA trascritto di cui si parlava sopra. Inoltre è molto attiva la ricerca per mettere a punto farmaci diretti contro enzimi coinvolti nella regolazione epigenetica (per esempio inibitori di SIRT1, DNMT ecc.). Si tratta di ricerche di laboratorio i cui risultati dovranno essere confermati in studi clinici.
Le informazioni presenti in questa pagina non sostituiscono il parere del medico.
Agenzia Zoe