Ultimo aggiornamento: 29 luglio 2025
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L'uso di strumenti in grado di filtrare le rare cellule che si sono staccate dai vari organi o tessuti e che sono riuscite a entrare nel circolo sanguigno è una tecnica utilizzata in molti laboratori di ricerca. Esistono diverse tecnologie capaci di eseguire questo tipo di test. In genere, i ricercatori scelgono il tipo di macchinario sulla base delle necessità sperimentali, dei costi o della semplicità di utilizzo.
In passato, i media italiani hanno dato un certo risalto a un test eseguito grazie a uno di questi macchinari, il cosiddetto test ISET (la sigla sta per l’inglese Isolation by Size of Tumor Cells). Tale test è stato in particolare descritto con molta enfasi da una delle ricercatrici coinvolte nella sua messa a punto, l'italo-francese Patrizia Paterlini-Bréchot, in un libro autobiografico. Secondo quanto ha più volte affermato in pubblico e in televisione la ricercatrice, con questo test sarebbe possibile diagnosticare la presenza di un tumore prima che questo sia localizzabile con i comuni strumenti di diagnostica per immagini (imaging).
L'idea alla base di questo esame è che i tumori, specie i più aggressivi, rilascino nel sangue alcune cellule maligne in fase molto precoce, ancora prima che la malattia sia sufficientemente grande da poter risultare identificabile con i comuni esami diagnostici.
Grazie al filtro presente nella macchina, le cellule che non appartengono normalmente al sangue (cioè tutte le cellule che non sono globuli rossi, globuli bianchi e piastrine) vengono isolate attraverso una sorta di setaccio. Possono quindi essere osservate al microscopio da un esperto citologo, ossia da un patologo in grado di valutare la forma e l'aspetto della cellula, e di decretare se si tratta di una cellula maligna o meno. Inoltre, è possibile aumentare l’attendibilità di questo test ricorrendo a esami più specifici, come l’analisi molecolare, che permette di analizzare le proteine di superficie della cellula e i geni in essa contenuti.
Ciò che né le macchine né gli esperti sono però in grado di stabilire con certezza è da dove provenga la cellula maligna filtrata, ovvero in quale organo si stia eventualmente sviluppando un tumore. Inoltre, non è ancora possibile predire se tale cellula avrebbe potuto lasciare il circolo sanguigno e attecchire in altri tessuti o organi, dando origine a metastasi. Si tratta infatti di informazioni che oggi non si possono ancora dedurre né dall'aspetto delle cellule (in gergo dalla cosiddetta morfologia), né tramite esami molecolari.
No, non necessariamente. Le cellule del nostro corpo subiscono mutazioni continue, che spesso vengono riparate rapidamente. Oltre ai sistemi di riparazione interni alla cellula, disponiamo del sistema immunitario, che in genere attacca e distrugge le cellule mutate o maligne. Una cellula tumorale circolante nel sangue di una persona sana e priva di sintomi potrebbe essere soltanto sfuggita a questi controlli, ma non significa necessariamente che ci sia un tumore in fase di sviluppo. In tal caso, si tratterebbe di un risultato falso positivo.
Ma è possibile anche il contrario: molti tumori, prima di dare origine a cellule circolanti, hanno bisogno di raggiungere una discreta dimensione e aggressività; quindi il test potrebbe risultare negativo nonostante la presenza di un tumore già identificabile con i classici strumenti diagnostici (TC, risonanze, ecografie eccetera). In tal caso si tratterebbe di un risultato falso negativo.
In pratica, anche se si riuscisse a identificare con certezza la presenza di cellule tumorali maligne circolanti in una persona sana, tale accertamento non sarebbe sufficiente a una diagnosi di tumore. Bisognerebbe infatti sottoporre la persona ad altri esami per confermare l’ipotesi e l’eventuale diagnosi.
Sì, ciò può essere utile per alcuni tipi di tumore, per un uso ancora perlopiù sperimentale o limitato ad alcuni tipi di cancro, come per esempio per alcuni casi di tumore del seno. In particolare, sono stati pubblicati i risultati di alcuni studi che hanno dimostrato una relazione tra l'aggressività di un tumore e il numero o le caratteristiche delle cellule tumorali circolanti identificate con test simili a quelli che stiamo descrivendo. Con alcuni di questi test, e solo limitatamente ad alcune indicazioni (per esempio. in certi casi di tumore mammario) è possibile stimare la prognosi delle persone già ammalate. In alcuni centri i ricercatori stanno sperimentando l'uso di un test per verificare, in laboratorio, la sensibilità delle cellule maligne, ottenute in questo modo, a determinati farmaci chemioterapici, nella speranza di scegliere per ciascun paziente una terapia con buone probabilità di riuscita. In ambito oncologico, esclusivamente per persone già malate, L’Agenzia regolatoria statunitense FDA ha approvato per fini prognostici la tecnologia CellSearch, che ha anche ricevuto il marchio CE-IVD come test diagnostico in vitro.
I tumori, ancor prima di rilasciare nel sangue eventuali cellule maligne, liberano numerose sostanze dette biomarcatori. Si tratta di molecole (in genere DNA e proteine) che spesso aumentano in presenza della malattia. Già oggi gli oncologi dispongono di diversi biomarcatori proteici la cui analisi e misura sono utilizzate proprio per valutare l'efficacia di una cura antitumorale o, in alcuni casi, per contribuire a una diagnosi precoce. La maggior parte dei marcatori proteici ha, però, un limite: non sono molto specifici e possono aumentare nel sangue in presenza di tumori diversi o addirittura per condizioni non tumorali, come la gravidanza.
Ecco perché il filone ritenuto più promettente è quello che va alla ricerca, nel sangue, del materiale genetico specifico rilasciato dal tumore: il DNA tumorale, ossia frammenti di DNA con mutazioni, fuoriuscito dalle cellule maligne. Ciò potrebbe consentire di identificare con maggiore sicurezza la presenza di un tumore. In Europa e in Italia sono stati avviati diversi studi clinici in questo ambito di ricerca, mentre negli Stati Uniti è stato approvato il primo test basato sulla ricerca di DNA tumorale circolante nel sangue per identificare precocemente il tumore del colon-retto. Questo test non è ancora stato approvato in Italia a fini diagnostici. Rimane dunque prudente aderire alla campagna di screening nazionale per la diagnosi precoce che prevede il test per la ricerca del sangue occulto nelle feci.
Nel 2014 sulla rivista PlosOne sono stati pubblicati i risultati di uno studio condotto dal gruppo di Paul Hofman, dell'Università di Nizza a Sophia Antipolis in Francia. Lo studio ha coinvolto 245 persone senza cancro, di cui 168 forti fumatori colpiti da broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), una patologia legata al fumo. Tutti sono stati sottoposti al test ISET: in 5 pazienti su 168 con BPCO sono state identificate cellule potenzialmente tumorali. Questi individui sono stati quindi indirizzati a un programma di sorveglianza annuale con TC spirale che ha permesso di scoprire, in un periodo che va da 1 a 4 anni dopo il test, la comparsa di noduli polmonari che sono stati rimossi precocemente con un intervento chirurgico. La maggiore critica metodologica a questo studio, al momento della pubblicazione, riguardava il piccolo numero di persone coinvolte: per validare un test diagnostico è necessario portare a termine studi su migliaia e migliaia di individui. Inoltre, un’ulteriore debolezza era il fatto che i forti fumatori, per lo più già malati di BPCO, rientrano già tra le categorie considerate a rischio, che vanno sorvegliate nel tempo anche senza bisogno di ricorrere a un test aggiuntivo.
Nel 2020, lo stesso gruppo di ricerca ha pubblicato su The Lancet Respiratory Medicine i risultati di uno studio controllato e prospettico che smentisce i risultati inizialmente ottenuti, concludendo che il test non è sufficientemente specifico, né abbastanza sensibile per poter essere utilizzato in un eventuale screening di popolazione. In una sperimentazione prospettica condotta su un gruppo di 617 persone ad alto rischio, il test ISET è infatti riuscito a rilevare solo il 26% circa dei casi di tumore, un risultato parecchio al di sotto degli standard diagnostici attualmente adottati dalla pratica clinica per gli screening per la diagnosi precoce.
Nei giorni successivi alla pubblicazione del libro-autobiografia della professoressa Paterlini-Bréchot nel 2017, sono comparse in rete diverse petizioni che chiedevano al Servizio Sanitario Nazionale di introdurre gratuitamente questo test anche in Italia.
È bene chiarire che al momento il test ISET non è disponibile gratuitamente in nessun Paese perché non è considerato sufficientemente affidabile. Inoltre, come abbiamo detto, altri test più specifici e puntuali sono allo studio.
Affinché un test sia considerato utile nella diagnosi precoce di un tumore in una persona sana, e anche per l'identificazione delle recidive in un paziente già malato, deve avere le seguenti caratteristiche:
Per questa ragione nessun Servizio sanitario di nessun Paese ha finora rimborsato questo test, e per la stessa ragione non è utile sottoporvisi a pagamento.
Infine, alcune considerazioni generali:
Autore originale: Agenzia Zoe
Revisione di Cristina Da Rold in data 29/07/2025
Agenzia Zoe