Ultimo aggiornamento: 2 ottobre 2023
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I telefoni cellulari sono entrati in commercio alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, ma si sono diffusi in modo esponenziale negli ultimi vent’anni, al punto che è sempre più raro trovare persone che non ne fanno uso. Non solo è aumentato il numero di individui che utilizzano i cellulari (sia adulti, sia bambini) ma anche il tempo che ciascuno passa a contatto con l’apparecchio. Lo smartphone, che ha ormai praticamente soppiantato il telefono cellulare tradizionale, è senza dubbio lo strumento tecnologico maggiormente usato dalla stragrande maggioranza della popolazione.
L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) ha classificato le onde a radiofrequenza tra i “possibili carcinogeni umani” sulla base delle prove ancora limitate di una relazione con i tumori cerebrali e della mancanza di prove di un legame con altri tipi di tumori. Altre agenzie come le statunitensi Environmental Protection Agency (EPA) e il National Toxicology Program (NTP) hanno scelto di non classificare i cellulari tra i carcinogeni potenziali. Allo stesso modo si sono comportati finora la Food and Drug Administration (FDA) e i Centers for Disease Control di Atlanta (CDC). Il National Cancer Institute statunitense (NCI) e Cancer Research UK (CRUK) ritengono che ulteriori ricerche siano necessarie per valutare complessivamente gli effetti dei cambiamenti tecnologici; in attesa di sviluppi si considerano i cellulari sicuri se utilizzati con gli auricolari.
Vi sono tre motivi principali per cui è nata la preoccupazione che i telefoni cellulari possano avere effetti nocivi per la salute:
I telefoni cellulari funzionano ricevendo e inviando segnali ai ripetitori di segnale più vicini. Per questo utilizzano onde a radiofrequenza (RF), una forma di energia elettromagnetica che si situa tra le onde radio a media frequenza e le microonde. Si tratta di una forma di radiazione non ionizzante, quindi incapace di indurre mutazioni cancerogene in maniera diretta.
Le onde a radiofrequenza, però, se intense, possono scaldare i tessuti, come accade con le microonde utilizzate per cucinare. Le onde RF sono generate dall’antenna del cellulare, dove sono più intense, mentre la loro energia decresce man mano che ci si allontana dall’apparecchio. Più l’antenna è vicina alla testa della persona, maggiore è l’esposizione alle onde RF e l’assorbimento di energia da parte dei tessuti. Questo fenomeno si può facilmente verificare utilizzando il cellulare per qualche minuto vicino all’orecchio, ma senza appoggiarlo, e valutando come i tessuti si scaldano anche in assenza di un contatto diretto.
Alcuni scienziati hanno ipotizzato che le onde a radiofrequenza possano interferire con il metabolismo del glucosio. Sono stati condotti due piccoli studi sul metabolismo cerebrale del glucosio negli utilizzatori di cellulare e i risultati sono stati contradditori: uno di essi ha mostrato un aumentato consumo di glucosio nella parte di cervello più vicina all’antenna, l’altro ha mostrato una riduzione. Gli stessi autori degli studi hanno tuttavia segnalato la necessità di ulteriori approfondimenti.
Alcuni fattori possono diminuire la quantità di onde RF assorbite dal corpo, per esempio l’uso di auricolari e la vicinanza a un ripetitore nel momento in cui si usa l’apparecchio. La massima emissione di onde RF avviene infatti quando il cellulare cerca la linea, per esempio durante una chiamata effettuata dal treno o dall’auto, in cui il cellulare deve agganciare diversi ripetitori man mano che il mezzo di trasporto si sposta.
La quantità di onde RF assorbite da un’unità di tessuto biologico per unità di tempo è nota col nome di tasso specifico di assorbimento o SAR (acronimo di specific absorption rate). I diversi modelli di cellulare hanno anche diversi SAR: il limite massimo autorizzato in Europa è di 2 watt per kg misurati su 10 grammi di tessuto. Il valore di SAR è in genere indicato sull’apparecchio o sul sito del produttore e tra i modelli più recenti non mancano quelli che si collocano a livelli di SAR inferiori a 0,5 watt per kg.
Per saperne di più sugli effetti biologici dei campi elettromagnetici generati dai ripetitori e da altri strumenti che funzionano in modalità wireless si rimanda all’articolo sui campi elettromagnetici.
Dato che i cellulari vengono tenuti vicino alla testa, i ricercatori hanno concentrato i loro studi sulla possibile relazione tra il loro utilizzo e la comparsa di tumori cerebrali maligni come i gliomi, tumori cerebrali non maligni come i meningiomi, tumori benigni del nervo che collega l’orecchio al cervello (neurinomi del nervo acustico o schwannomi vestibolari). Altri piccoli studi con risultati poco significativi hanno valutato il rapporto con il cancro della pelle, dei testicoli e delle ovaie, per via dell’abitudine di tenere il cellulare nelle tasche dei pantaloni.
Per valutare una eventuale relazione sono stati effettuati sia esperimenti di laboratorio, esponendo colture cellulari o animali a onde RF per osservarne gli effetti, sia studi epidemiologici che hanno quantificato l’utilizzo del cellulare nelle persone che si sono ammalate di uno dei tumori in esame. Ambedue i tipi di studi hanno pregi e difetti: gli studi di laboratorio permettono di controllare meglio le variabili sperimentali, ma non sempre i risultati possono essere traslati tali e quali all’organismo umano e ai suoi livelli di esposizione. Gli studi epidemiologici sono complessi, richiedono molto tempo e il reclutamento di tantissime persone, devono fare i conti con numerose variabili confondenti, come abitudini, comportamenti e luoghi di abitazione, e soprattutto sono nella maggior parte dei casi retrospettivi, ossia riguardano il passato. In pratica queste indagini avvengono chiedendo a molte persone di rispondere a domande contenute in questionari. In base ai dati raccolti i ricercatori stimano l’utilizzo del cellulare da parte di moltissime persone negli anni precedenti l’indagine, con tutti i limiti di affidabilità dei ricordi. Infine, dato il numero grandissimo di persone che usa il cellulare, è sempre più difficile trovare persone che non lo usano e che possano essere dunque un controllo negativo per questo tipo di studi.
Per quanto riguarda gli studi di laboratorio, in un’ampia indagine condotta nell’ambito del National Toxicology Program (NTP), negli Stati Uniti, un gran numero di roditori è stato esposto a onde a RF per 9 ore al giorno, fin da prima della nascita e per oltre due anni. L’NTP ha verificato gli effetti in relazione allo sviluppo di gliomi e schwannomi del cuore, dimostrando un lieve incremento degli schwannomi nei ratti maschi, ma non nelle femmine. Il metodo usato nello studio rende difficile capire se e come i risultati possano essere estesi agli esseri umani, perché sia le dosi sia il tempo di esposizione sono estremi e radicalmente diversi dal normale uso dei cellulari da parte delle persone. La ricerca dimostrerebbe, però, che le onde a RF possono, in condizioni di esposizione intensa ed elevata, interferire in qualche modo con i tessuti, anche se a oggi i risultati sono disponibili solo nella forma di un rapporto tecnico in bozza, che deve essere ancora valutato dagli esperti prima di essere accettato per la pubblicazione definitiva.
Uno studio guidato dai ricercatori dell’Istituto Ramazzini di Bologna descrive gli effetti in animali di laboratorio dell’esposizione a CRF simili a quelli ambientali che tutti sperimentiamo nella vita quotidiana, generati dai ripetitori dei telefoni cellulari. In questo caso gli autori hanno seguito per tutta la vita circa 2.500 roditori esposti a tali campi elettromagnetici, constatando l’aumento significativo di Schwannomi del cuore nei ratti maschi. Sono aumentati anche i gliomi e l’iperplasia di Schwann, ma in modo non significativo dal punto di vista statistico. Proprio sulla base di questi risultati, gli autori suggeriscono la necessità di ulteriori studi e di una nuova valutazione da parte della IARC sul legame tra campi elettromagnetici a radiofrequenza e insorgenza di tumori.
Sebbene entrambi gli studi abbiano dei punti di forza, presentano anche delle limitazioni che rendono difficile capire come applicarne i risultati agli esseri umani esposti alle onde a radiofrequenza dei telefoni cellulari. Una revisione del 2019 di questi due studi da parte della Commissione internazionale per la protezione dalle radiazioni non ionizzanti (ICNIRP) ha stabilito che i limiti degli studi non consentono di trarre conclusioni sulla capacità dell’energia a RF di causare il cancro. Allo stesso tempo però ribadiscono che i risultati non possono escludere la possibilità che le onde dei telefoni cellulari abbiano in qualche modo un impatto sulla salute umana.
Cosa dicono gli studi epidemiologici negli esseri umani?
Nel corso degli anni sono state condotte diverse decine di indagini sulla relazione tra cellulari e tumori, in particolare tumori cerebrali. Vediamo quali sono le conclusioni generali:
Vi sono alcuni grandi studi che meritano di essere menzionati.
Lo studio INTERPHONE ha coinvolto 13 Paesi e oltre 5.000 persone che hanno sviluppato gliomi o meningiomi. Un nesso con l’uso del cellulare è stato rilevato soltanto nel 10 per cento circa dei pazienti che facevano un uso davvero intensivo del telefono mobile (molte ore al giorno). Un secondo ramo dello studio INTERPHONE si è concentrato sul neurinoma del nervo acustico, dimostrando un possibile aumento del rischio nel 10 per cento di utilizzatori intensivi del cellulare. Gli stessi autori di INTERPHONE hanno ammesso la difficoltà di interpretare dati raccolti a molti anni di distanza dall’effettivo uso del cellulare.
Il Danish Cohort Study ha valutato l’incidenza dei tumori in 400.000 possessori di telefonino dal 1982 al 1995 e altrettante persone che non lo possedevano. Lo studio è importante perché fornisce un’indicazione riguardo ai modelli più vecchi, oggi considerati i più a rischio, mentre i modelli più moderni espongono a dosi molto basse di onde a RF. Lo studio danese non ha trovato correlazioni tra l’uso del cellulare e la comparsa di tumori cerebrali. Il maggiore problema di questo studio sta nel fatto che l’uso del cellulare è stato valutato sulla base del puro possesso e non dell’utilizzo effettivo.
Il Million Women Study è uno studio prospettico, cioè uno studio in cui è stato analizzato ciò che accadeva da un dato momento in poi e non quello che era accaduto nel passato. Ha coinvolto circa 800.000 donne britanniche e ha valutato il rischio di sviluppare un tumore cerebrale in un periodo di sette anni di utilizzo del cellulare. Anche questo studio non ha trovato relazioni di causa ed effetto tra tumori e cellulari, tranne che per un possibile legame con il neurinoma del nervo acustico.
Lo studio MOBI-KIDS ha coinvolto 14 Paesi con l’obiettivo di valutare la relazione tra esposizione a radiofrequenze che derivano da tecnologie di comunicazione – inclusi i telefoni cellulari – e il rischio di tumori cerebrali in bambini e giovani adulti (10-24 anni), per comprendere meglio i meccanismi alla base di queste neoplasie nei più giovani. Sono stati presi in esame 899 pazienti con tumore e 1.910 controlli. Gli autori hanno concluso che non vi sono prove di una relazione di causa ed effetto tra l’uso del telefono cellulare e l’insorgenza di tumori cerebrali. Tuttavia precisano che alcuni limiti intrinseci dello studio impediscono di escludere con assoluta certezza un possibile piccolo aumento di rischio.
Tutti gli studi negli esseri umani, quindi, sono rassicuranti con qualche eccezione, come l’aumentato rischio di neurinomi dell’acustico, e con qualche limite metodologico di cui gli stessi autori sono consapevoli.
Altri studi attualmente in corso o i cui risultati sono in fase di elaborazione potrebbero a breve aggiungere informazioni utili a chiarire i tanti dubbi ancora presenti sull’argomento. Tra questi vi è lo studio prospettico COSMOS che ha preso il via in Europa nel marzo 2010, coinvolgendo circa 250.000 utilizzatori adulti di telefono cellulare, di età uguale o superiore a 18 anni. L’obiettivo è valutare gli effetti a lungo termine dell’uso dei cellulari sulla salute. La sfida maggiore – che rappresenta anche il punto di forza della ricerca – è riuscire a seguire i partecipanti per un periodo di tempo compreso tra 20 e 30 anni. Bisognerà quindi aspettare per valutarne i risultati.
In anni passati, alcuni tribunali italiani hanno riconosciuto un indennizzo a pazienti che si sono ammalati di neurinoma del nervo acustico dopo aver usato per molti anni, in modo intensivo, cellulari di vecchia generazione. In uno dei casi la perizia a favore del paziente è stata compilata da Paolo Crosignani, per molti anni direttore dell’Unità operativa complessa Registro tumori ed epidemiologia ambientale dell’Istituto nazionale tumori di Milano. Come l’esperto ha più volte ribadito pubblicamente, le perizie riguardano un caso singolo e non sono in alcun modo indicative di un rischio generalizzato. Nel caso specifico si trattava di una persona che ha utilizzato i cellulari di prima generazione (che emettevano molte più onde a RF) per ragioni professionali e per molti anni di seguito. Non solo: ha utilizzato il cellulare nell’abitacolo della propria automobile, dove le onde si disperdono poco, e in un periodo storico in cui i ripetitori erano ancora rari. Come abbiamo detto, più numerosi sono i ripetitori, minore è la quantità di energia emessa dal cellulare e più sicura risulta la tecnologia.
Il perito aveva ritenuto, alla luce della letteratura che dimostra un possibile nesso tra neurinoma dell’acustico e uso intensivo di vecchi cellulari, di poter ravvisare un nesso di causa ed effetto. Di conseguenza il giudice ha stabilito un indennizzo per malattia professionale. È bene ricordare che il neurinoma dell’acustico è un tumore benigno, ma può comunque indurre sordità dal lato in cui insorge. Queste sentenze, quindi, non dicono in alcun modo che i cellulari sono cancerogeni in tutti i casi, ma solo che in un individuo e in particolari circostanze è ragionevole ipotizzare che il neurinoma dell’acustico possa essere stato provocato dall’uso di cellulari di vecchia generazione.
Gli studi condotti finora per esaminare i possibili legami tra l’uso dei telefoni cellulari e il cancro si sono concentrati sui segnali di vecchia generazione, principalmente di tipo 2G e 3G. Al momento sono state condotte pochissime ricerche sulle reti 5G, ma sulla base di studi con animali di laboratorio e sulle conoscenze biologiche disponibili gli esperti non ritengono che debbano suscitare particolari preoccupazioni.
Le reti cellulari di quinta generazione (5G) sono ormai disponibili in molti Paesi inclusa l’Italia. Sono in grado di trasmettere quantità di dati molto maggiori in tempi più brevi rispetto alle generazioni precedenti (4G, 3G, ecc). Le reti 5G e i telefoni che le utilizzano operano su alcune lunghezze d’onda a più alta frequenza e maggiore energia rispetto alle reti di vecchia generazione. Anche se i telefoni più nuovi possono continuare a utilizzare anche le reti più vecchie. Tuttavia i segnali 5G più recenti utilizzano ancora la radiofrequenza, quindi forme di radiazioni non ionizzanti che non hanno la capacità di danneggiare direttamente il DNA.
I cellulari di moderna concezione sono generalmente più sicuri di quelli vecchi e inoltre l’aumento dei ripetitori sul territorio rende la tecnologia meno rischiosa. Nonostante ciò, è bene prendere qualche precauzione, come evitare di utilizzare il cellulare per molte ore di seguito a diretto contatto con l’orecchio e preferire l’uso di auricolari. Inoltre è bene non tenere l’apparecchio sul corpo (per esempio nella tasca dei pantaloni) ma riporlo nella borsa o nella giacca.
Sarebbe anche meglio evitare di usare il cellulare senza auricolari mentre ci si sposta, per esempio in treno, o quando lo si usa in aree ad alta densità di persone con cellulare, perché la massima emissione di onde a radiofrequenza avviene quando l’apparecchio cerca la linea e si collega a un nuovo ripetitore oppure quando deve mantenere il collegamento in un’area affollata.
Agenzia Zoe