Perché non è stata ancora trovata “la cura contro il cancro”?

Il cancro non è una sola malattia, ma centinaia di patologie diverse che evolvono nel tempo. Inoltre, ogni tipo di tumore richiede cure specifiche e differenti a seconda delle caratteristiche del tumore stesso e del paziente.

Ultimo aggiornamento: 31 maggio 2024

Tempo di lettura: 11 minuti

In sintesi

  • Esistono almeno 200 forme di tumore in base all’organo o al tessuto colpito; inoltre, ogni tumore anche dello stesso tipo può comportarsi in maniera diversa in ciascun malato.
  • Non esisterà mai un’unica cura per tutti i tipi di tumore, ma esistono già tante cure diverse per tumori e pazienti diversi.
  • Il tumore si modifica nel tempo e a volte sfugge alle terapie.
  • Le terapie mirate possono essere molto efficaci, però solo in casi specifici di tumore in cui il farmaco trova una corrispondenza molecolare nel cancro da curare e dove non insorgono resistenze.
  • Servono molto tempo e grandi investimenti per portare all’approvazione e all’utilizzo di ogni nuovo farmaco o cura.
  • Anche la prevenzione e le nuove tecnologie aiutano a trovare cure per i tumori.

Malattie diverse e in evoluzione

È impreciso parlare di cancro al singolare. Esistono, infatti, almeno 200 tipi diversi di tumore, classificati dal punto di vista clinico secondo diversi criteri: in base all’organo di origine (tumore del seno, del polmone, del colon eccetera) e al tipo di cellule da cui derivano (come i carcinomi che derivano da cellule epiteliali o dei tessuti che rivestono gli organi interni, o i linfomi che derivano da cellule del sistema immunitario). Per molti di questi, con la ricerca è stato possibile mettere a punto delle cure, ma non ancora per tutti. Con il progredire degli studi e con conoscenze sempre più approfondite della biologia del cancro, i ricercatori hanno arricchito gli elementi distintivi attribuiti ai tumori di molte caratteristiche molecolari. Se si utilizzano anche queste per classificare i tumori, le centinaia di malattie diverse diventano migliaia. Sempre dalla ricerca arriva anche la consapevolezza che le cellule tumorali evolvono nel tempo e a volte diventano resistenti a terapie inizialmente efficaci. Il cancro è dunque un insieme di malattie complesse e in evoluzione, per le quali difficilmente sarà possibile trovare una singola cura definitiva e universale.

Geni, molecole e persone

Un esempio pratico delle difficoltà che affrontano i ricercatori e i medici può essere rappresentato dal cancro del seno. Tra i tumori del seno si possono identificare quelli ER-positivi (ovvero che presentano sulla superficie delle cellule uno specifico recettore per gli estrogeni), quelli PR-positivi (con il recettore per il progesterone) o quelli HER2-positivi (che presentano la proteina HER2 sulla superficie cellulare). Ma il 15-20 per cento dei tumori al seno è rappresentato dai tumori del seno cosiddetti “tripli negativi”, che non presentano nessuna di queste caratteristiche molecolari.

Come affrontare le diverse malattie? In molti casi i ricercatori sono già riusciti a trovare terapie efficaci e mirate contro bersagli molecolari specifici delle cellule tumorali, ma non si tratta di una cura “universale” né tantomeno adatta a qualsiasi tumore al seno. Per esempio, tamoxifene e inibitori delle aromatasi sono  farmaci efficaci nei casi di tumore ER-positivo, ma non hanno alcun effetto se il tumore non esprime il recettore per gli estrogeni. Anche l’immunoterapia, che stimola il sistema immunitario del paziente a combattere il tumore, non è efficace in tutti i casi: ancora una volta dipende dalle caratteristiche delle cellule tumorali, alle quali si aggiungono le enormi differenze nel sistema immunitario, e non solo, dei singoli individui.

In oncologia, un filone di ricerca terapeutica relativamente nuovo è quello dei trattamenti agnostici. Si tratta, in pratica, di scegliere il trattamento da utilizzare sulla base non solo dello specifico organo colpito dal tumore, ma anche del tipo di mutazione presente a livello molecolare nella malattia.

Il pembrolizumab è stato il primo farmaco approvato con una indicazione di tipo “agnostico” nel 2017. La Food and Drug Administration (FDA) statunitense ha allora autorizzato l’uso del farmaco in bambini e adulti, per tutti i tumori solidi metastatici o che non possono essere rimossi chirurgicamente e che hanno una particolare alterazione molecolare, detta “alta instabilità dei microsatelliti” (MSI-H), o che mancano del cosiddetto “DNA mismatch repair” (dMMR).

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Dal laboratorio al letto del paziente

Un’altra ragione per cui non si dispone ancora di terapie efficaci contro tutti i tumori è il lungo tempo necessario allo sviluppo di un nuovo farmaco e al suo ingresso in clinica. Un esempio è il caso di imatinib, un farmaco introdotto nel 2001 che ha rivoluzionato il trattamento della leucemia mieloide cronica (LMC). Oggi nella maggior parte dei casi si riesce a guarire da questa malattia, che prima dell’introduzione del farmaco era letale per quasi tutti i pazienti. La storia di imatinib ha però avuto inizio negli anni Sessanta del secolo scorso, quando alcuni ricercatori avevano scoperto che le cellule della LMC presentavano un cromosoma anomalo, chiamato “Philadelphia” in onore della città dove fu individuato. Su questo cromosoma si è poi concentrata l’attenzione di molti studiosi nei decenni a seguire. Nel 1993 fu identificato un composto chiamato STI571 (imatinib), estremamente efficace in laboratorio e in seguito sperimentato a lungo anche nei pazienti, a partire dal 1998. Solo nel 2001 il farmaco è stato approvato dalle autorità regolatorie per l’uso clinico.

Le attuali conoscenze genetiche e molecolari velocizzano notevolmente la prima parte del lavoro, quelle che si svolgono in laboratorio, mentre le sperimentazioni cliniche nei pazienti richiedono anni prima che un nuovo farmaco possa essere approvato.

L’intelligenza artificiale e le simulazioni al computer permettono di accorciare ulteriormente i tempi o comunque di utilizzare nuovi approcci alla scoperta di nuovi farmaci. Grazie a questi strumenti, i ricercatori sono oggi in grado di identificare potenziali nuovi farmaci tra migliaia di composti già disponibili e di sperimentare un numero molto elevato di composti contemporaneamente in diversi tipi di cellule tumorali in coltura. Si possono così scoprire anche nuove funzioni per farmaci “vecchi” (e per questo già approvati per l’uso umano per altre indicazioni), una strategia chiamata “riposizionamento dei farmaci”.

I tempi della ricerca

Nell’emergenza causata dalla pandemia di Covid-19, gli scienziati sono riusciti in tempi molto brevi a sviluppare vaccini contro il virus SARS-CoV-2. Tali vaccini sono poi stati ampiamente sperimentati per uso umano, prodotti in quantità enormi e senza precedenti e somministrati nelle campagne vaccinali di massa a miliardi di persone in tutto il mondo, soprattutto nei Paesi a reddito più alto. Questi risultati, ottenuti in un anno circa dall’inizio della pandemia, in condizioni non di emergenza richiedono anni se non decenni di lavoro. Questo può far pensare che basti concentrare gli sforzi di tutti gli scienziati e i fondi disponibili su un unico problema per trovare rapidamente la soluzione. In realtà non è così per tutte le malattie.

Il coronavirus che ha causato questa pandemia fa parte di una categoria di virus piuttosto studiati da diversi anni. Per esempio, per via di precedenti epidemie di malattie come la SARS e la MERS si sapeva già che la proteina detta “spike” presente sulla superficie esterna del virus è una delle principali caratteristiche che rendono il virus riconoscibile da parte del sistema immunitario. Infatti, contro tale proteina sono prodotti specifici anticorpi. Grazie a queste e ad altre scoperte, che non avevano ancora trovato applicazione in un’emergenza, è stato possibile mettere subito a punto sia i test diagnostici sia i vaccini.

Anche le tecniche utilizzate per produrre i vaccini, sia quelli a vettore adenovirale sia quelli a mRNA, erano già state messe a punto (le prime) o quantomeno sperimentate in animali di laboratorio (per quel che riguarda i vaccini a mRNA). Inoltre, SARS-CoV-2 è un virus contro il quale è relativamente facile produrre vaccini, rispetto a virus come l’HIV o altri per cui la faccenda è molto più complessa. Quindi è stato possibile procedere con estrema rapidità, anche grazie all’immensa quantità di fondi pubblici (solo il governo statunitense ha investito almeno 13 miliardi di dollari). La quantità di risorse ha permesso di percorrere le fasi di sviluppo e produzione in parallelo senza però abbreviarne nessuna.

Nell’ambito delle procedure di emergenza stabilite già prima della pandemia, la verifica e l’approvazione dei risultati degli studi sperimentali sui vaccini è avvenuta da parte delle agenzie regolatorie che certificano che i nuovi farmaci siano sicuri ed efficaci. Tra queste, EMA e FDA, rispettivamente in Unione Europea e negli Stati Uniti, hanno utilizzato la cosiddetta “rolling review”: un metodo per valutare l’approvazione dei vaccini via via che sono diventati disponibili i dati di follow-up di circa 8 mesi delle vaccinazioni eseguite nel corso delle sperimentazioni.

L’approvazione fornita, per uso di emergenza o condizionale, non significa che i vaccini non siano sicuri, dato che sono stati sperimentati mediamente in 35.000 volontari, un numero circa 10 volte più alto di quanto si fa in condizioni non di emergenza. Significa solo che le agenzie regolatorie hanno permesso l’uso in emergenza o condizionale dei vaccini, riservandosi di approvare completamente tali vaccini dopo un periodo di follow-up e di farmacovigilanza adeguato. In questo modo è stato possibile intercettare prontamente eventuali effetti collaterali che non erano emersi durante la sperimentazione. Il vaccino a mRNA BioNTech-Pfizer è stato, per esempio, approvato completamente a fine agosto 2021 dalla FDA.

Perché finora contro il cancro non abbiamo ottenuto risultati altrettanto rapidamente? Innanzitutto, il cancro, come detto sopra, non è un tipo solo di malattia, ma diverse centinaia. Inoltre, rispetto all’infezione con un virus, un tumore è qualcosa di molto più complesso dal punto di vista biologico, anche perché non arriva dall’esterno ma si sviluppa dalle nostre stesse cellule. Ogni nuova terapia deve essere dunque efficace contro uno specifico tumore senza però danneggiare i tessuti sani dei pazienti, spesso appena lievemente diversi dal cancro. A parità di urgenza e risorse, dunque, la difficile sfida al cancro è inevitabilmente più lunga e tortuosa di quella per sviluppare vaccini contro un virus come SARS-CoV-2. Anche per questo sono ancora necessari molti anni di studi e scoperte affinché, nel tempo, tutti i tipi di cancro diventino più curabili.

Non solo farmaci

Un aspetto molto importante per il successo di ogni terapia è la diagnosi, che dev’essere precisa e possibilmente precoce. Se oggi sappiamo effettuare diagnosi precoci è anche grazie alle numerose ricerche cliniche ed epidemiologiche, che hanno permesso di conoscere meglio sintomi e fattori di rischio. Numerose tecnologie hanno aiutato da questo punto di vista, mettendo a disposizione dei medici strumenti sempre più raffinati.

Una diagnosi tempestiva può davvero fare la differenza: oltre 9 pazienti con tumore dell’intestino su 10 sopravvivono per più di 5 anni se il tumore è diagnosticato nelle fasi iniziali. Per il tumore del seno la sopravvivenza a 5 anni è di circa il 90 per cento in caso di tumore in fase iniziale rispetto al 15 per cento circa se il tumore è diagnosticato nelle fasi più avanzate. Percentuali non troppo diverse si osservano anche per il tumore ovarico scoperto precocemente, mentre per il tumore al polmone i numeri sono del 70 per cento circa in caso di diagnosi precoce e del 14 per cento circa in caso di diagnosi tardiva.

Per la maggior parte dei tumori operabili, dopo una diagnosi tempestiva è cruciale la chirurgia, mentre per tipi di tumore difficili da raggiungere da parte dei farmaci può essere opportuna la radioterapia, in aggiunta o in alternativa ad altri trattamenti.

L’introduzione della biopsia liquida ha rappresentato un grande passo avanti, almeno concettuale e sperimentale, nella gestione dei tumori. L’esame, utilizzato solo nell’ambito di studi clinici, si effettua grazie a un semplice prelievo di sangue, quindi è decisamente meno invasivo di una classica biopsia, che consiste nel prelievo di tessuto tumorale. La tecnica permette quindi di valutare parti di cellule tumorali, in particolare acidi nucleici ma non solo, presenti nel circolo sanguigno. Così facendo si può a volte contribuire a una diagnosi di tumore e seguire la risposta della malattia alle terapie. La biopsia liquida è utilizzata per ora solo sperimentalmente, per anticipare l’eventuale comparsa di una recidiva rispetto ai tempi permessi dalle tecniche di imaging. Oggi la sfida è accumulare dati solidi al punto da rendere la biopsia liquida uno standard clinico e non solo un approccio sperimentale.

Gli aspetti economici

Gli investimenti nella ricerca per la cura del cancro, a livello globale, sono davvero ingenti e da questo punto di vista stupisce che queste malattie non siano ancora debellate. È difficile fare calcoli precisi. Ci hanno provato alcuni ricercatori, con uno studio i cui risultati sono stati pubblicati nel 2023 sulla rivista The Lancet. Nel periodo 2016-2020 si stima che nel mondo, considerando sia i finanziamenti pubblici sia quelli erogati da enti filantropici, nella ricerca oncologica siano stati investiti circa 24,5 miliardi di dollari, con gli Stati Uniti in prima fila tra i Paesi finanziatori. Può sembrare uno sforzo enorme se si pensa al cancro come a una malattia unica, ma se si suddivide l’investimento tra le centinaia se non migliaia di tipi di cancro si scopre che a volte la ricerca su un singolo tipo di tumore può ricevere meno fondi di altre malattie meno gravi e meno letali.

Se la ricerca costa molto, anche i farmaci non scherzano. Il costo dei farmaci oncologici è notevolmente cambiato nel tempo, con aumenti non sempre giustificati, secondo alcuni esperti. Se le chemioterapie tradizionali hanno costi di poche migliaia di euro a trattamento, un unico trattamento con cellule CAR-T, una terapia innovativa e mirata, costava 475.000 dollari statunitensi nel 2017, l’anno in cui tale cura è stata approvata dalla FDA.

Negli ultimi anni l’attenzione verso le malattie non trasmissibili come il cancro è in crescita a livello globale. Solo per citare un esempio, il terzo dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni unite punta a garantire la salute per tutta la popolazione mondiale, con un obiettivo specifico per le malattie non trasmissibili. Entro il 2030 si punta a ridurre di un terzo la mortalità prematura legata a queste patologie attraverso la prevenzione e i trattamenti.

A febbraio 2024 è stato lanciato il Joint Action Prevent Non-communicable diseases (JA PreventNCD), un progetto che riunisce 25 nazioni in uno sforzo collaborativo per ridurre l’impatto del cancro e delle altre malattie non trasmissibili puntando sulla prevenzione. Guidato dalla Norvegia e sostenuto da oltre 100 partner, il progetto è cofinanziato dall’Unione Europea con un budget totale di 95,5 milioni di euro.

In conclusione

Una “pillola magica” in grado di curare tutti i tipi di tumori non esisterà mai perché il cancro non è una malattia, ma un insieme di patologie più o meno simili e in evoluzione che rispondono in maniera diversa e mutevole ai trattamenti. Per questo medici e ricercatori cercano tante soluzioni differenti al complicato e multiforme problema del cancro. Per questa ragione, la prima regola da seguire, quando si incontra un medico o una persona che promette di curare tutti i tipi di cancro con un singolo rimedio, è diffidare.

Contro il cancro o, meglio, contro “i cancri”, bisogna continuare a investire nella migliore ricerca scientifica.

  • Agenzia Zoe

    Agenzia di informazione medica e scientifica