Da dicembre 2020 a oggi, diversi vaccini anti-Covid-19 sono stati approvati dall’Agenzia europea per i medicinali (EMA) nell’Unione europea con la cosiddetta “autorizzazione condizionata all'immissione in commercio”, una procedura di autorizzazione usata in casi particolari come nelle situazioni di emergenza quali la pandemia di Covid-19.
Il primo a essere approvato è stato il vaccino Comirnaty, prodotto da Pfizer/BioNTech. Successivamente sono stati approvati anche il vaccino Spikevax, prodotto da Moderna, (noto anche come mRNA-1273); il vaccino Vaxzevria, prodotto dalla casa farmaceutica AstraZeneca in collaborazione con l’Università di Oxford; il vaccino Jcovden (ex vaccino COVID-19 Janssen), prodotto da Johnson & Johnson; e il vaccino Nuvaxovid, prodotto da Novavax.
Nel 2022 altre due aziende farmaceutiche hanno presentato all’EMA la domanda per l’autorizzazione al commercio nell’Unione europea dei loro vaccini: si tratta di Valneva, con il vaccino COVID-19 Valneva, anche noto come VLA2001, e di Sanofi-Pasteur, con il vaccino Vidprevtyn Beta. Attualmente l'autorizzazione all'immissione in commercio di tali vaccini è stata revocata su istanza del titolare per motivi commerciali.
In Paesi al di fuori dell’Unione europea sono stati approvati anche altri vaccini e per alcuni di essi è in corso una revisione da parte di EMA al fine di valutarne il possibile utilizzo. Si tratta, in particolare, dei vaccini prodotti da Sinovac Life Sciences e da HIPRA Human Health S.L.U e il Centro nazionale di ricerca in epidemiologia e microbiologia Gamaleya di Mosca (quest’ultimo produttore del vaccino Sputnik V).
Per la campagna vaccinale anti Covid-19 nel 2024 e nel 2025, l’unico vaccino commercializzato in Italia è Comirnaty JN.1, prodotto da Pfizer/Biontech.
I vaccini Covid-19 hanno inizialmente ottenuto un'approvazione all'immissione in commercio con autorizzazione condizionata, che si basa su dati meno completi di quanto richiesto normalmente. Questi dati, anche se non completi, devono comunque dimostrare che i benefici del prodotto siano maggiori dei rischi. In seguito, l’azienda farmaceutica deve essere in grado di fornire tutti i dati, in modo da ottenere l’approvazione completa. Per questo motivo, le autorizzazioni condizionate sono riesaminate annualmente.
Questo processo ha imposto alle aziende farmaceutiche l'obbligo di presentare i risultati delle sperimentazioni cliniche in corso e di fornire dati aggiuntivi sull’efficacia dei vaccini, in vista dell’aumento previsto della produzione di vaccini.
Tali sperimentazioni e studi aggiuntivi, compresi gli studi osservazionali, hanno fornito dati rassicuranti su aspetti chiave come la capacità dei vaccini di prevenire l’infezione da Covid-19 o di ridurre l’impatto delle eventuali infezioni sulla salute.
Visti i numerosi dati oggi disponibili sull'efficacia e la sicurezza dei vaccini anti-Covid-19, gli obblighi specifici non sono più considerati essenziali per confermare il rapporto tra rischi e benefici, il che ha consentito di passare a un'autorizzazione all'immissione in commercio completa e non più condizionata.
Da settembre 2022, l’EMA ha raccomandato di convertire le autorizzazioni condizionate dei vaccini anti-COVID-19 Comirnaty (vaccino di BioNTech/Pfizer) e Spikevax (vaccino di Moderna) in autorizzazioni all'immissione in commercio standard. Tali autorizzazioni, una volta concesse, non dovranno più essere rinnovate annualmente. Restano in vigore tutti gli altri obblighi in capo alle aziende titolari.
In genere, e per legge, per sviluppare un vaccino sono necessari molti anni di studi in laboratorio e di sperimentazioni prima negli animali e poi negli esseri umani. Nel caso del virus SARS-CoV-2, la ricerca di base è stata avvantaggiata da numerosi studi condotti in precedenza per vaccini contro altri virus. Tra questi, le prove di principio per vaccini antinfluenzali, per le tecniche di biologia sintetica ad acidi nucleici modificati, e le prove sui vettori adenovirali per ottenere un vaccino contro la SARS, la malattia da coronavirus all’origine di un’epidemia in Asia tra il 2002 e il 2004.
Inoltre, è stato fatto un enorme sforzo finanziario internazionale, con ingenti investimenti soprattutto pubblici, che hanno portato a sviluppare con estrema rapidità oltre 190 tipi di vaccini.
Le risorse finanziarie hanno permesso di effettuare in parallelo fasi della ricerca che risorse più limitate avrebbero imposto di percorrere una dopo l’altra. Non si è però presa alcuna scorciatoia sulla valutazione di sicurezza e di efficacia: tutti i vaccini approvati sono stati testati su decine di migliaia di volontari, da 10 a 30 volte il numero di persone coinvolte nelle sperimentazioni sui vaccini in condizioni normali. Questi grandi numeri sono stati possibili grazie alle immense risorse messe a disposizione da molti governi nel mondo. Inoltre, le sperimentazioni hanno raggiunto prima del previsto il numero di casi prefissati di infezione, fra i volontari vaccinati e quelli che hanno ricevuto un placebo, nel “braccio” di controllo.
Grazie agli investimenti soprattutto pubblici, le aziende farmaceutiche hanno potuto assumere il rischio imprenditoriale di iniziare a produrre i vaccini prima ancora che arrivasse l’autorizzazione definitiva da parte delle agenzie regolatorie. Questo ha permesso di giocare d’anticipo e di poter immettere sul mercato i vaccini immediatamente dopo l’arrivo dell’approvazione, senza attendere i lunghi tempi di produzione, come succede in genere per i vaccini approvati non in emergenza.
I dati ottenuti nelle sperimentazioni dei vaccini prodotti da Pfizer/BioNTech e da Moderna – tra i primi a essere approvati da EMA – sono stati considerati sufficienti a dimostrarne la sicurezza e l’efficacia, tanto da far sì che le autorità regolatorie che li hanno valutati decidessero di approvare la messa in commercio dei vaccini più rapidamente del normale, proprio per via dell’emergenza. Per quel che riguarda il vaccino Oxford-AstraZeneca, dopo una prima richiesta di approvazione respinta da EMA per la mancanza di alcuni dati, l’azienda produttrice ha fornito ulteriori informazioni sufficienti a ottenere un parere positivo. Il vaccino Johnson & Johnson è stato infine approvato negli Stati Uniti il 27 febbraio 2021 e l’11 marzo 2021 dall’EMA.
Possiamo quindi dire che i vaccini approvati con questo sistema sono sufficientemente sicuri ed efficaci, e a mano a mano che aumenta il numero dei vaccinati siamo sempre più certi del fatto che i casi che presentano effetti collaterali gravi in seguito alla vaccinazione sono rari e sostanzialmente paragonabili a quelli riscontrati somministrando vaccini contro altre malattie. Per questo è comunque sempre attiva la farmacovigilanza, ossia il monitoraggio delle segnalazioni degli effetti collaterali e la valutazione se siano o meno imputabili ai vaccini.
Per sviluppare vaccini contro SARS-CoV-2, il virus che provoca Covid-19, sono state utilizzate diverse tecnologie.
I vaccini prodotti da Pfizer/BioNTech e da Moderna sono i più innovativi e utilizzano un filamento sintetico di RNA messaggero (mRNA), la molecola che nelle cellule trasporta le informazioni per la costruzione delle proteine. Nello specifico, l’mRNA contenuto nel vaccino permette alle nostre cellule di costruire da sole l’antigene, ossia una parte della proteina Spike (S) del virus, in grado di stimolare il sistema immunitario dell’ospite. Una volta incontrato l’antigene, il sistema immunitario della persona vaccinata impara a produrre anticorpi contro di esso, mentre il filamento di mRNA sintetico si degrada dopo qualche tempo e viene eliminato. Con questa tecnica si evitano i rischi che si corrono usando, per esempio, vaccini che contengono tutto il virus attenuato, non approvati in Europa. Inoltre, è possibile produrre abbastanza rapidamente nuovi vaccini con mRNA differenti, nel caso di varianti del virus in grado di rendere inefficaci i vaccini già disponibili.
I vaccini Vaxzevria e Jcovden contengono vettori virali modificati che trasportano alcuni geni modificati del coronavirus utili a produrre l’antigene necessario ad addestrare il sistema immunitario. Il vettore virale più comunemente utilizzato è un adenovirus modificato da uno che in natura infetta gli scimpanzé. Tali adenovirus, innocui per gli esseri umani, sono stati geneticamente modificati per introdurre il gene che permette alle nostre cellule di produrre una parte della proteina S. Si tratta di una tecnologia già sperimentata in altri tipi di vaccini.
Il vaccino di produzione russa, Sputnik V, messo a punto dal Centro nazionale di ricerca in epidemiologia e microbiologia Gamaleya di Mosca, utilizza anch’esso vettori adenovirali che trasportano, in un frammento di DNA, le informazioni per la produzione di proteine virali. La caratteristica di questo vaccino è di utilizzare 2 adenovirus diversi per la prima e la seconda dose: nella prima dose è contenuto l’adenovirus 26 (lo stesso del vaccino Jcovden), mentre nella seconda si trova l’adenovirus 5. In questo modo i ricercatori che hanno ideato il vaccino hanno impedito al sistema immunitario di eliminare il virus vettore nel momento del richiamo con la seconda dose.
Esistono poi vaccini che non contengono materiale genetico, ma solo le proteine virali, trasportate nell’organismo avvolte in nanoparticelle. A questa categoria appartengono i vaccini Nuvaxovid e VidPrevtyn Beta.
Infine, alcuni Paesi, in particolare la Cina, hanno scelto di sviluppare vaccini con la tecnologia più antica, utilizzando virus inattivati o attenuati (cioè resi incapaci di replicarsi tramite diversi passaggi in coltura e l’uso di sostanze chimiche). Per uno di questi vaccini a virus inattivato, CoronaVac, sviluppato da Sinovac, è stata riportata un’efficacia a 14 giorni dalla seconda dose del 5% circa contro l’infezione sintomatica da SARS-CoV-2, ma del 100% contro le forme più gravi di Covid-19 che determinano la necessità di un ricovero in ospedale. Tra i vantaggi di questa tecnologia vi è il basso costo del vaccino e la facilità di distribuzione e somministrazione.
Nel caso di vaccini che utilizzano virus solo attenuati, è possibile, in rari casi, che in seguito alla somministrazione si sviluppi la malattia che si vorrebbe prevenire, un’evenienza impossibile con le altre tecnologie vaccinali. Per questa ragione sono sconsigliati nei pazienti con un sistema immunitario inefficiente.
I vaccini Comirnaty e Spikevax (vaccini a mRNA), quando sono stati sperimentati, hanno dimostrato di avere un’efficacia sovrapponibile, pari al 95% circa a 2 settimane dalla seconda dose, ma già dopo la prima dose riducono in modo importante il rischio di ammalarsi. Entrambi questi vaccini hanno ridotto fortemente il rischio di incorrere in forme gravi della malattia e il rischio di morte.
Il vaccino Vaxzevria, quando è stato sperimentato, ha dimostrato un’efficacia contro malattia grave e morte pari al 72% circa, che tende ad aumentare se l’intervallo tra le due dosi (tra 4 e 12 settimane negli studi iniziali) viene prolungato.
Il vaccino Jcovden ha mostrato di avere un’efficacia analoga a quella di Vaxzevria dopo una sola dose, e un’efficacia del 94% dopo 2 dosi (la seconda a 2 mesi di distanza dalla prima).
Il vaccino Sputnik V è stato ampiamente usato in Russia e in Argentina. Ai primi di febbraio 2021, i ricercatori che hanno sviluppato questo vaccino hanno pubblicato sulla rivista medica Lancet i dati di efficacia del vaccino, che garantirebbe una protezione fino al 91,6% dall’infezione dopo una singola somministrazione e al 100% dalle forme gravi della malattia. Lo stesso gruppo di ricerca ha prodotto anche il vaccino “Sputnik Light”, che prevede la somministrazione di una sola dose, destinato alle aree con focolai acuti e utilizzato come dose di richiamo per coloro che hanno ricevuto Sputnik V.
Per il primo ciclo di vaccinazione, avvenuto nel 2020, sono stati previsti schemi di somministrazione diversi a seconda del tipo di vaccino. Nel caso dei vaccini a mRNA, sono raccomandate 2 somministrazioni intramuscolo a distanza di almeno 3 settimane per Comirnaty (Pfizer) e almeno 4 settimane per Spikevax (Moderna) l’una dall’altra. Per il vaccino Vaxzevria è raccomandata la somministrazione della seconda dose dopo almeno 4 settimane dalla prima. Per il vaccino Jcovden è prevista invece la somministrazione di una sola dose. Infine, per il vaccino Nuvaxovid, sono previste 2 somministrazioni intramuscolo a distanza di almeno 3 settimane l’una dall’altra.
Attualmente una singola dose di vaccino adattato alla nuova variante di Covid-19 è sufficiente per ottenere un’adeguata protezione dall’infezione anche in chi non si è mai vaccinato.
La durata della copertura vaccinale dipende da molteplici fattori, ma è noto che la protezione conferita dal vaccino tenda a ridursi nel corso del tempo.
Per questa ragione sono state introdotte le cosiddette dosi di richiamo (booster), che si sono dimostrate efficaci nel ripristinare le difese contro il virus.
In Italia a fine settembre 2021 le autorità sanitarie hanno raccomandato la terza dose (il primo richiamo) per le persone fragili (per esempio, ultraottantenni, ospiti RSA, personale sanitario, persone con malattie preesistenti). La raccomandazione è stata poi estesa al resto della popolazione.
Da aprile 2022 il Ministero della salute raccomanda anche la quarta dose (secondo richiamo) dopo almeno 4 mesi dalla terza dose per alcune categorie di persone: per esempio ultraottantenni, ospiti delle RSA e persone anziane fragili con patologie preesistenti.
Attualmente, un’ulteriore dose di richiamo è consigliata alle categorie a maggior rischio, come per esempio persone anziane fragili ospiti delle RSA, donne in gravidanza o nel periodo dopo il parto, il personale sanitario e persone con patologie che aumentano il rischio di infezione da Covid-19 grave.
La vaccinazione è consigliata anche a familiari, conviventi e caregiver di persone con gravi fragilità. Il richiamo, di norma, ha una valenza di 12 mesi. La distanza tra l’ultima dose di vaccino anti-COVID-19 ricevuta e il richiamo deve essere di almeno 3 mesi.
I dati disponibili riguardano i vaccini a mRNA e il vaccino Vaxzevria (Oxford-AstraZeneca). Nel caso dei vaccini a mRNA gli effetti collaterali più comuni sono lievi e comprendono dolore, arrossamento e gonfiore nel punto di somministrazione. Possono inoltre comparire nausea, febbre, affaticamento, mal di testa, dolori muscolari e articolari. La maggior parte di questi effetti si verifica durante le 24-48 ore successive alla vaccinazione e si risolve in qualche giorno.
Si sono verificati, in tutto il mondo, alcuni casi di grave reazione allergica, anche se la frequenza di questi eventi è analoga a quella relativa ad altri vaccini già in uso. Nella maggior parte dei casi le reazioni allergiche sono trattabili se il vaccino viene somministrato in un ambiente attrezzato e da personale formato a reagire, come accade in Italia.
Altri eventi avversi che, seppur molto rari, hanno suscitato interesse sono alcuni casi di una rara forma di trombosi cerebrale e trombocitopenia immune indotta dai vaccini a vettore virale Vaxzevria e Jcovden, in particolare in donne giovani, e casi di miocardite e pericardite correlate alla somministrazione dei vaccini a mRNA (Comirnaty e Spikevax), Tali eventi avversi, sebbene riscontrati, sono molto rari, e sono stati inseriti nell’elenco dei possibili effetti collaterali sui foglietti illustrativi.
La vaccinazione è offerta, anche attualmente, a tutta la popolazione generale. Tra le categorie prioritarie sono stati individuatigli operatori sanitari e sociosanitari, il personale e gli ospiti dei presidi residenziali per anziani, gli anziani con più di 80 anni, le persone dai 60 ai 79 anni, la popolazione con almeno una comorbidità cronica (tra i quali i pazienti oncologici), oltre ad altre categorie di popolazione, tra cui quelle appartenenti ai servizi essenziali, come gli insegnanti e il personale scolastico, le forze dell’ordine, il personale delle carceri e dei luoghi di comunità eccetera.
Anche i pazienti oncologici sono stati vaccinati con priorità in quanto possono avere un sistema immunitario compromesso dalla malattia (nel caso delle forme ematologiche) o dalle cure (in caso di pazienti in chemioterapia). In questo caso, oltre ai pazienti oncologici, è raccomandata la vaccinazione anche ai loro conviventi, per ridurre ulteriormente il rischio di contagio, dato che i vaccini possono essere meno efficaci della media in persone che hanno difese immunitarie ridotte. Non sono stati inclusi nella categoria dei fragili i cosiddetti “survivor”, ovvero coloro che non sono più in terapia da diversi mesi e il cui sistema immunitario ha ripreso a funzionare, anche se non sono trascorsi 5 anni dalla fine delle cure (il termine dei 5 anni è generalmente considerato necessario, per molti tipi di tumore, per dichiarare un paziente oncologico completamente guarito). Tale scelta deriva da studi i cui risultati hanno dimostrato che il rischio di sviluppare forme gravi di Covid-19 è assimilabile a quello dei coetanei sani, nella maggior parte delle persone che hanno ricevuto una diagnosi di cancro.
Molti virus mutano e SARS-CoV-2, responsabile della pandemia di Covid-19, non fa eccezione. Non è quindi strano che siano comparse e continuino a emergere nuove varianti del virus originale ed è importante sottolineare che non tutte le varianti sono importanti dal punto di vista clinico ed epidemiologico. In particolare, l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) definisce varianti di interesse (in inglese, variant of concern) quelle che aumentano la trasmissibilità del virus, ne aumentano la virulenza o diminuiscono l’efficacia delle misure adottate per la prevenzione e delle terapie.
Al momento i vaccini autorizzati rimangono efficaci nel prevenire le forme gravi di Covid-19 provocate dalle varianti predominanti, ma è importante ricordare che la protezione nei confronti dell’infezione diminuisce con il passare del tempo, soprattutto man mano che il virus circolante evolve in nuove varianti non coperte dai vaccini somministrati in precedenza. Diversi studi hanno infatti dimostrato che l’adattamento della composizione dei vaccini alle nuove varianti in circolo migliora la protezione contro la malattia.
La vaccinazione anti-Covid-19 si avvale dei vaccini monovalenti, la cui composizione è stata aggiornata per contrastare la variante predominante nella stagione autunnale e invernale e garantirne la reattività anche contro le varianti emergenti.
Il richiamo con il vaccino adattato alla variante stagionale, di norma, ha una durata di 12 mesi e può essere effettuato se l’ultima dose è stata somministrata da almeno 3 mesi.
I malati di cancro, presi nel loro insieme, sono una delle categorie di individui a maggior rischio di sviluppare forme gravi di Covid-19. Secondo gli studi disponibili, la probabilità è più alta nei pazienti con malattie oncoematologiche, cancro del polmone o forme già metastatiche, mentre gli altri malati con tumori solidi hanno un rischio maggiore di sviluppare forme gravi in particolare nell’anno successivo alla diagnosi di cancro. La probabilità diminuisce di anno in anno e a 5 anni dalla diagnosi è pari a quella di una persona della stessa età e condizione che non si è ammalata di cancro.
In tutti i casi, il maggior rischio si corre se la malattia è attiva e sembra che nelle persone con meno di 65 anni gli effetti del tumore sul rischio di sviluppare forme gravi di Covid-19 sia particolarmente elevato. Come ribadito dalle linee guida emesse dalla European Society of Medical Oncology (ESMO) e da altre analisi presenti in letteratura, molte delle valutazioni relative ai malati di cancro colpiti da Covid-19 sono spesso frutto di studi osservazionali, cioè di calcoli fatti a posteriori osservando ciò che è accaduto nel primo anno di pandemia e cambiano costantemente con il passare del tempo e l’aggiunta di nuovi dati.
I dati censiti nel registro “Covid-19 and Cancer Consortium” (CCC19) e ottenuti in altri studi mostrano percentuali di mortalità tra i malati oncologici colpiti dal virus che variano dal 5 al 61%, molto più alta di quella che si misura nella popolazione generale. Un articolo di revisione, pubblicato sulla rivista Nature Reviews nel 2022, riporta che la mortalità risultava particolarmente elevata nei pazienti oncologici con malattia attiva nel corso della prima ondata di Covid-19 (circa 40%), per poi passare al 25% circa nelle successive ondate nei paesi europei. Vi sono però molti fattori che potrebbero confondere la lettura e l’interpretazione dei dati, non ultimo il fatto che i pazienti oncologici sono generalmente più anziani della media della popolazione, ed è noto che l’età rimane il fattore di rischio più importante per la mortalità da Covid-19, insieme alla compresenza di altre malattie.
La pandemia ha inoltre influito sulla frequenza e accuratezza dei programmi di screening e di diagnosi, talvolta con ritardi nell’identificazione dei tumori che sono di per sé causa di aumentata mortalità. Da non dimenticare infine i cambiamenti nei programmi terapeutici provocati dalla pandemia, con modifiche nei tempi di somministrazione di alcuni farmaci, ritardi nell’inizio delle terapie o nell’esecuzione di interventi chirurgici. Tutti fattori che possono influire sui tassi di mortalità.
Le linee guida internazionali prodotte dalle società scientifiche di oncologia medica internazionali (ESMO, ASCO) e italiane (AIOM) sono concordi sul fatto che i vaccini anti-Covid-19 sono raccomandati a tutti i pazienti che verranno sottoposti o si stanno sottoponendo a un trattamento oncologico, in quanto i rischi che corrono in caso di infezione sono molto elevati.
In particolare, secondo le linee guida ESMO, vi sono sufficienti prove a sostegno dell’efficacia dei vaccini (a eccezione dei vaccini a base di virus attenuato, non approvati in Europa) anche in pazienti oncologici sottoposti a terapie immunosoppressive, un tipo di cure che potrebbe limitare la risposta dell’organismo alla vaccinazione. In caso di trapianto di midollo, il tempo di attesa consigliato prima della vaccinazione è simile a quello già suggerito per tutte le altre vaccinazioni (circa 6 mesi dal trapianto stesso).
Preferibilmente, la vaccinazione dovrebbe essere programmata almeno 2 settimane prima dell'inizio dei trattamenti o comunque sarebbe meglio evitare di effettuarlo nella fase di leucopenia, quando il numero di globuli bianchi nel sangue diminuisce a causa delle terapie stesse. Recenti studi hanno però dimostrato l’efficacia e la sicurezza di tali vaccini anche se somministrati nel corso dei trattamenti oncologici.
Tuttavia, non ha senso aspettare di essere vaccinati prima di cominciare a sottoporsi a chemioterapia, perché si rischierebbe di perdere tempo prezioso per la cura del tumore.
Anche i pazienti vaccinati devono in ogni caso continuare ad assumere tutte le precauzioni possibili per evitare di ammalarsi di Covid-19, proprio perché potrebbero rispondere meno bene delle altre persone alla vaccinazione e quindi non essere altrettanto protetti. L’uso di mascherine ffp2, di gel disinfettante e il distanziamento sociale devono rimanere indispensabili misure di prevenzione per i malati di cancro. Con la vaccinazione di massa del personale sanitario, che ha contribuito a ridurre la circolazione del virus in ambiente ospedaliero, i malati di cancro hanno potuto inoltre contare su un ulteriore scudo protettivo.
I dati più aggiornati mostrano che la sicurezza dei vaccini contro Covid-19 nei pazienti con cancro è del tutto simile a quella che si osserva nella popolazione generale. E come per la popolazione generale, anche per i malati oncologici i benefici della vaccinazione superano di gran lunga i rischi.
Inizialmente si pensava che l’uso dell’immunoterapia potesse essere associato a un aumento degli effetti avversi gravi di tipo immunitario, ma i risultati di diversi studi hanno smentito questa ipotesi.
Un noto effetto dei vaccini anti-Covid-19 è la linfoadenopatia, ossia il rigonfiamento dei linfonodi. Chi soffre di linfedema al braccio o alla gamba a causa di una terapia oncologica è invitato, quindi, a fare il vaccino nel braccio o nella coscia opposte a quelle colpite.
La British Lymphology Society ha anche consigliato per coloro che stanno ricevendo trattamenti che coinvolgono i linfonodi, per esempio radioterapia o chirurgia dei linfonodi per il cancro del seno o della pelle, di farsi iniettare il vaccino nel braccio o nella gamba opposte. Se sono stati trattati da entrambi i lati, dovrebbero ricevere il vaccino nella coscia.
L’ingrossamento dei linfonodi in seguito alle vaccinazioni potrebbe portare a un’interpretazione errata del risultato di alcuni esami diagnostici per immagini, come per esempio la mammografia. Per questa ragione si raccomanda di aspettare almeno un mese dalla vaccinazione prima di sottoporsi a questo tipo di esame o di segnalare al medico la data recente in cui è avvenuta la vaccinazione.
Prima della pandemia, la maggior parte delle informazioni disponibili sulla risposta ai vaccini nei pazienti oncologici proveniva da studi sulla vaccinazione antinfluenzale. Sappiamo che i pazienti oncologici sviluppano anticorpi contro l’influenza quando vengono vaccinati, anche se il livello della risposta immunitaria può variare in base al tipo di terapia a cui sono stati sottoposti o, ancora di più, al tipo di terapia che stanno assumendo se sono ancora in cura.
Per quanto riguarda la vaccinazione contro Covid-19, i dati oggi disponibili mostrano che, in genere, la risposta immunitaria dopo la vaccinazione è inferiore nelle persone con tumore rispetto alla popolazione generale. In particolare, un ampio studio, condotto prima che la variante Omicron fosse dominante, ha mostrato per i vaccini a mRNA un’efficacia del 75% circa nel prevenire i ricoveri da Covid nei pazienti oncologici, contro il 90% registrato nella popolazione non oncologica.
La maggior parte dei pazienti con tumore solido (90-100%) mostra una risposta dopo la seconda dose di vaccino, anche se, in caso di presenza di malattia metastatica, età avanzata o pazienti di sesso maschile, la risposta immunitaria alla vaccinazione si riduce. Anche in caso di tumori del sangue la risposta alla vaccinazione è ridotta, soprattutto in caso di malattia in fase attiva, età avanzata e sesso maschile, mentre nel caso di trapianto allogenico di cellule staminali i fattori che riducono la risposta alla vaccinazione sono, oltre all’età avanzata, anche la presenza di malattia trapianto-verso-ospite e la linfopenia (riduzione dei linfociti nel sangue).
Infine, alcuni trattamenti oncologici possono influenzare la risposta alla vaccinazione. Con la chemioterapia la risposta immunitaria legata al vaccino si può ridurre. Molti centri hanno preferito non somministrare contemporaneamente chemioterapia e vaccino soprattutto per evitare la sovrapposizione degli effetti collaterali, ma dal punto di vista dell’efficacia vaccinale il momento della somministrazione è indifferente.
Possibili riduzioni della risposta immunitaria sono state osservate anche in pazienti con tumore ovarico che assumono inibitori di PARP e in individui che assumono inibitori CDK4/6 o fanno uso cronico di steroidi, come spesso succede per i pazienti oncologici.
L’immunoterapia con inibitori dei checkpoint immunitari non sembra avere grande impatto sulla risposta alla vaccinazione a differenza della terapia con CAR-T, che invece ha un effetto negativo sulla risposta immunitaria, la cui durata però non è nota.
La buona notizia è che le dosi di richiamo sono efficaci nel migliorare la risposta e sono in genere ben tollerate dai pazienti oncologici. Sembra inoltre che il beneficio delle dosi di richiamo sia maggiore se si utilizza un vaccino diverso da quello utilizzato per il ciclo iniziale di vaccinazione.
Quella di Covid-19 non è stata certo la prima pandemia nella storia dell’umanità, ma di certo è stata la prima al tempo dei social media. Il ruolo di Facebook, X (in precedenza Twitter), Tik-Tok e altre piattaforme nel diffondere informazioni è risultato infatti centrale sin dall’inizio della pandemia. Tuttavia, l’affidabilità di quanto pubblicato nei social è spesso difficile da verificare e molte notizie false – le cosiddette “fake news” – sul virus e i vaccini si sono diffuse a macchia d’olio. Una tra tutte, quella che sostiene che la vaccinazione aumenti il rischio di sviluppare tumori. Come spiegato da numerosi esperti sia medici, sia di “fact checking”, che lavorano proprio a smontare queste bufale, questa notizia è del tutto falsa. Partita da un post su Twitter di un certo Afzal Niaz, la notizia di un legame tra vaccinazione e cancro è stata smentita dalla stragrande maggioranza degli esperti più autorevoli. Un aumento del rischio di sviluppare un cancro, insieme a un peggioramento delle prognosi oncologiche, sono possibili nel prossimo futuro, ma i vaccini non hanno alcun ruolo in questo incremento. Esso è infatti legato all’invecchiamento della popolazione e inoltre al blocco, nel corso della pandemia, di tanti programmi di screening per la diagnosi precoce o all’interruzione o ritardo nella somministrazione di alcuni trattamenti oncologici. Tutte circostanze che potenzialmente portano a più casi di tumore e a diagnosi in fase più avanzata e quindi più difficili da curare e trattare con successo.
Autore originale: Agenzia Zoe
Revisione di Cristina Da Rold in data 29/08/2025
Agenzia Zoe
Articolo pubblicato il:
29 agosto 2025