Cos'è il dolore oncologico e come si manifesta? Quali farmaci lo curano e quali sono gli effetti collaterali? Come controllare il dolore e misurarlo? Le risposte alle principali domande.
Il dolore è un meccanismo fisiologico di difesa con cui l'organismo segnala al cervello, tramite stimoli al sistema nervoso, la presenza di una minaccia interna o esterna all'integrità dell'organismo stesso. Scopo della stimolazione è che l'individuo allertato risponda alla minaccia, evitando così eventuali danni maggiori. Tipico è l'esempio della sensazione che si prova a contatto con una fiamma, che istintivamente spinge a spostare la mano; o del dolore di un arto fratturato, che costringe all'immobilità, facilitando così la guarigione. Nel caso del cancro, tuttavia, uno studio condotto una decina di anni fa e pubblicato sulla rivista scientifica Pain ha valutato che solo nel 64% dei casi la comparsa di questo sintomo aiuta a diagnosticare la malattia.
Non tutti i pazienti oncologici infatti provano dolore. Si calcola che, durante la malattia, lo provi dal 30% al 50% dei pazienti; nelle fasi più avanzate, tuttavia, questo sintomo si fa più frequente, colpendo dal 70% al 90% dei pazienti. Nella maggioranza dei casi esiste però la possibilità di controllarlo.
Ognuno avverte il dolore in maniera individuale e non esiste una comune soglia di sopportazione. I medici lo sanno, per cui non si deve temere di chiedere sollievo, anche se altri pazienti con la stessa malattia sembrano tollerare meglio i sintomi dolorosi.
Il dolore dovuto al cancro può essere acuto, per esempio quando è provocato dalle conseguenze immediate di un intervento, o cronico quando il sintomo tende a persistere per mesi, seppure con notevoli fluttuazioni della sua intensità in relazione all'andamento della malattia e delle cure.
Le fluttuazioni di intensità del dolore da cancro sono comuni e il verificarsi di episodi significativi di dolore che sfuggono al controllo di una terapia è stato definito breakthrough pain, o "dolore da sfondamento"; in questo caso il medico aggiungerà alla terapia un ulteriore antidolorifico da prendere al bisogno.
L'intensità del dolore non è necessariamente correlata alla gravità della malattia: piccoli tumori che comprimono un nervo possono farsi sentire molto più di altri di maggiore aggressività ed estensione.
A seconda delle cause che lo provocano, il dolore oncologico può essere avvertito come:
A volte il dolore può essere avvertito in una sede diversa da quella dell'organo colpito (dolore riflesso) oppure nonostante l'organo ammalato sia stato amputato chirurgicamente: è questo il caso della sindrome dell'arto fantasma, che può interessare anche il seno asportato nella mastectomia.
Il dolore oncologico può dipendere dalla malattia o anche dai suoi trattamenti.
La massa tumorale può provocare dolore in vari modi, ostruendo visceri come l'intestino, comprimendo o infiltrando il tessuto nervoso stesso oppure ossa, articolazioni o altri tessuti innervati. Inoltre la sensazione dolorosa può essere evocata dalla distensione della capsula che riveste alcuni organi (è il caso del fegato) o dalla pressione su cavità chiuse come il sistema nervoso centrale, a causa dell'aumento di volume occupato dal tumore che cresce.
Talvolta sono gli stessi trattamenti usati per combattere la malattia a provocare dolore acuto o cronico, di minore o maggiore intensità.
Il dolore post operatorio dopo un intervento chirurgico in genere si può controllare e passa in pochi giorni, ma talvolta può provocare lesioni nervose che si manifestano con sensazioni dolorose e possono permanere anche a distanza di mesi dalla fine delle cure, senza che ciò significhi un ritorno della malattia.
Lo stesso fenomeno può essere provocato dalla radioterapia, che può anche arrossare, irritare e bruciare la pelle oppure provocare cicatrici dolorose.
Alcuni farmaci usati in chemioterapia possono provocare bruciore nella sede di iniezione, intorpidimenti e formicolii alle mani e ai piedi; altri possono favorire la formazione di afte in bocca così fastidiose da ostacolare l'alimentazione e la deglutizione.
Di questi possibili effetti collaterali si tiene conto valutando i pro e i contro di ogni trattamento.
Il dolore oncologico può dipendere dalla malattia o anche dai suoi trattamenti.
La massa tumorale può provocare dolore in vari modi, ostruendo visceri come l'intestino, comprimendo o infiltrando il tessuto nervoso stesso oppure ossa, articolazioni o altri tessuti innervati. Inoltre la sensazione dolorosa può essere evocata dalla distensione della capsula che riveste alcuni organi (è il caso del fegato) o dalla pressione su cavità chiuse come il sistema nervoso centrale, a causa dell'aumento di volume occupato dal tumore che cresce.
Talvolta sono gli stessi trattamenti usati per combattere la malattia a provocare dolore acuto o cronico, di minore o maggiore intensità.
Il dolore post operatorio dopo un intervento chirurgico in genere si può controllare e passa in pochi giorni, ma talvolta può provocare lesioni nervose che si manifestano con sensazioni dolorose e possono permanere anche a distanza di mesi dalla fine delle cure, senza che ciò significhi un ritorno della malattia.
Lo stesso fenomeno può essere provocato dalla radioterapia, che può anche arrossare, irritare e bruciare la pelle oppure provocare cicatrici dolorose.
Alcuni farmaci usati in chemioterapia possono provocare bruciore nella sede di iniezione, intorpidimenti e formicolii alle mani e ai piedi; altri possono favorire la formazione di afte in bocca così fastidiose da ostacolare l'alimentazione e la deglutizione.
Di questi possibili effetti collaterali si tiene conto valutando i pro e i contro di ogni trattamento.
La terapia del dolore fa parte a pieno titolo delle cure contro il cancro ed è giusto chiedere al proprio medico tutti i possibili provvedimenti, farmacologici e non, per alleviare il sintomo, eventualmente anche ricorrendo a uno specialista. Oggi infatti esistono molti sistemi che consentono di controllare e rendere sopportabile il dolore nella grande maggioranza dei casi.
Nel 1996 l'Organizzazione mondiale della sanità ha stabilito che in presenza di dolore da cancro si deve subito somministrare un farmaco per alleviarlo, secondo una scala a gradini progressivi da risalire a mano a mano che la terapia precedente perde di efficacia:
Il passaggio da un tipo di trattamento al successivo o l'aumento delle dosi deve permettere di controllare i sintomi in modo soddisfacente per il paziente . Questo scopo si raggiunge aumentando gradualmente la dose di oppiaceo, attraverso un processo detto di titolazione. Una volta individuata la dose di oppiaceo efficace, è necessario somministrarla a orari fissi, prevedendo dosi aggiuntive da prendere in caso di intensificazioni improvvise. Agli oppiacei si possono sempre continuare ad affiancare paracetamolo e farmaci antinfiammatori non steroidei.
La persistenza dello stimolo doloroso facilita alterazioni nella trasmissione dell'impulso nervoso che lo rinforzano e lo rendono più difficilmente controllabile: anche per questo è bene chiedere sempre un sollievo al dolore, senza cercare di sopportarlo a ogni costo. In questo modo si rischia infatti di alimentarlo e amplificarlo nel tempo, rendendone più difficile il trattamento.
Ci sono altri farmaci che possono migliorare la qualità di vita del paziente con dolore oncologico. Si tratta dei farmaci detti adiuvanti, che pur non agendo direttamente sul dolore, aumentano l'efficacia degli analgesici.
I più usati sono i cortisonici, gli antidepressivi e gli antiepilettici, che il medico deve prescrivere con attenzione soppesando in ogni caso rischi e benefici del trattamento.
Gli steroidi vengono utilizzati soprattutto per la loro forte azione antinfiammatoria, per esempio per ridurre la pressione nel cranio in presenza di tumori o metastasi cerebrali; antidepressivi e antiepilettici possono essere utili soprattutto nel dolore neuropatico.
È fondamentale sottolineare che il dolore oncologico si può e si deve trattare e che oggi abbiamo gli strumenti per controllarlo o renderlo sopportabile nella maggior parte dei casi, sfatando l'idea che la morfina sia il "segno della fine" e che il suo uso vada ridotto al minimo.
Gli effetti collaterali degli analgesici non oppiacei sono spesso sottovalutati rispetto a quelli degli oppiacei, ma anche gli antinfiammatori non steroidei (FANS) e il paracetamolo, a dosi elevate prolungate nel tempo, possono avere conseguenze indesiderate: danni al fegato per il paracetamolo, gastrointestinali per i FANS in genere e cardiaci per alcuni di loro (i cosiddetti coxib). Per questo anche il loro uso deve essere sempre valutato e prescritto dal medico.
L'uso degli oppiacei è spesso frenato dal timore che questi possano dare dipendenza: in realtà, se il paziente assume i farmaci a scopo analgesico alle dosi e con le modalità indicate dal medico, questa evenienza è molto rara. Un'altra cosa è la tolleranza, cioè il fatto che con il tempo l'organismo in un certo senso "si abitui" al farmaco per cui ne occorre una dose maggiore per controllare lo stesso sintomo. Questo fenomeno è normale, non è segno di dipendenza e non deve creare preoccupazione perché in genere il medico può provvedere aumentando la dose o aggiungendo altri provvedimenti per controllare il dolore. I farmaci oppiacei comunque non sono certo privi di effetti collaterali, che devono essere soppesati rispetto al beneficio ed eventualmente contrastati con altri rimedi.
Gli effetti collaterali più comuni associati all'uso terapeutico dei farmaci oppiacei sono:
Tutti questi effetti collaterali si possono ridurre con altri rimedi oppure modificando il tipo di farmaco, la sua dose, la via di somministrazione e migliorando l'idratazione del paziente per facilitare l'eliminazione della sostanza da parte dei reni.
Oltre che con i farmaci analgesici, il dolore può essere controllato in molti altri modi:
Non esiste un esame strumentale che consenta di misurare il dolore che, come si è già detto, è un'esperienza del tutto soggettiva. Tuttavia è molto importante per i medici conoscere bene le caratteristiche del sintomo, attraverso una serie di domande rivolte al paziente, per cercare di capire quali ne potrebbero essere le cause, ed eventualmente, se possibile, rimuoverle.
Occorre anche una valutazione quantitativa, cioè stabilire l'intensità del dolore avvertito dal paziente, per capire se la cura funziona e quando eventualmente occorre cambiarla. Per questo si usano in genere delle scale di diverso tipo, che possono essere verbali (da "nessun dolore" a "insopportabile"), numeriche (da 0 a 10) o analogiche visive, attraverso disegni, utili soprattutto con i bambini.
Le informazioni presenti in questa pagina non sostituiscono il parere del medico.
Agenzia Zadig
Articolo pubblicato il:
8 aprile 2014