È lecito chiedere una seconda opinione in caso di diagnosi complesse: lo fanno i medici e possono farlo anche i pazienti.
Chi riceve una diagnosi complessa e impegnativa come quella di cancro spesso desidera l'opinione di un secondo medico sulla diagnosi ed eventualmente sulla terapia. È un bisogno psicologico comprensibile, e non è una dichiarazione di sfiducia nei confronti del primo medico consultato. Del resto la sempre maggiore specializzazione della medicina fa sì che i medici stessi chiedano con sempre più frequenza l'opinione di colleghi che hanno visto più casi.
Poter contare su più di un'opinione è un diritto del paziente. È importante però scegliere con attenzione il referente, evitando “pellegrinaggi” da uno specialista a un altro, senza tenere conto che magari si tratta di medici specializzati in settori della medicina diversi dall’oncologia.
Nonostante tutti i progressi che sono stati fatti in medicina e in oncologia negli ultimi anni, la maggior parte delle diagnosi di cancro si fanno ancora in base a quello che il patologo vede al microscopio, sui vetrini contenenti campioni di tessuti ottenuti con le biopsie o negli interventi. È il patologo a definire se il tessuto sospetto è di natura maligna o benigna e a determinare le caratteristiche della lesione necessarie per definire poi prognosi e cura. Ma non tutti i patologi si sentono sufficientemente preparati su determinate malattie. A volte hanno dubbi su alcuni tumori rari o che possono essere facilmente confusi con altre patologie, oppure c’è disaccordo tra medici dello stesso laboratorio sull’interpretazione del vetrino. In tutti questi casi sono i medici stessi a chiedere un secondo parere a un centro più specializzato.
Un bravo specialista non deve sentirsi sminuito nel domandare l'opinione di un collega. È praticamente impossibile per un singolo medico conoscere tutte le variabili morfologiche che si riscontrano nei tessuti tumorali e la loro corretta interpretazione. Se usato con buon senso, dunque, il secondo parere aumenta la probabilità di fare delle diagnosi più accurate e quindi anche di suggerire cure più appropriate, per esempio per alcune lesioni della mammella dove il confine tra benignità e malignità è estremamente sottile.
Può essere utile chiedere un secondo parere per diagnosi importanti, per interventi chirurgici invasivi e in generale in tutti quei casi in cui la vita della persona è esposta a un serio rischio. In il paziente o i familiari richiedono un secondo parere anche solo per avere una conferma di quanto è stato detto loro dal primo medico consultato.
Da qualche anno anche in Italia si sta sempre più diffondendo la richiesta del secondo parere sui referti istologici di biopsie o interventi chirurgici, soprattutto in ambito oncologici. La procedura, nel caso sia il paziente stesso a prendere l'iniziativa, consiste nel recarsi all'ospedale dove è stata fatta la biopsia, richiedere i vetrini e portarli personalmente o inviarli per posta (nel caso che nella città dove si vive nessun ospedale offra un servizio di secondo parere) all'esperto prescelto. Dopodiché il paziente decide se proseguire l'iter terapeutico che gli era stato prospettato all'inizio o se cambiare tipo di terapia nel caso che dalla seconda visita sia emerso un suggerimento diverso. Di norma, comunque, queste visite si concludono con la conferma dell'iter terapeutico già in corso.
Spesso il secondo parere è ottenibile solo a pagamento, perché il Servizio sanitario nazionale non riconosce come prioritaria questa possibilità. In caso di pareri discordanti il paziente deve decidere di chi fidarsi. A volte in questi casi prevale la relazione che si è instaurata con un certo medico rispetto alla competenza.
Valeria Cudini
Articolo pubblicato il:
12 giugno 2018