Anni fa la scoperta di un tumore durante una gravidanza, oltre a essere un trauma per la paziente, metteva in difficoltà i medici per le terapie. Oggi in molti casi non è più così, grazie ai progressi della ricerca.
Quando la gioia per un bambino in arrivo è turbata da una diagnosi di cancro non bisogna lasciarsi scoraggiare: le possibilità di cura sono sostanzialmente le stesse di quando la malattia compare in un altro momento della vita e nella maggior parte dei casi ci si può sottoporre ai trattamenti senza compromettere il lieto evento. Infatti, mentre in passato si credeva che per poter sottoporre la donna alle cure contro il cancro, la gravidanza dovesse essere interrotta, l'esperienza degli ultimi anni ha insegnato che non è sempre così e che, anzi, nella maggior parte dei casi è possibile garantire alla paziente le stesse opportunità di sopravvivenza di una donna non incinta, senza danneggiare il nascituro.
La conferma viene dai dati raccolti in un Registro sui tumori al seno in gravidanza, istituito in Germania nel 2003 e poi esteso ad altri Paesi tra cui l'Italia. La ragione per cui è stato istituito il Registro è che il numero assoluto dei casi è molto limitato ed è quindi importante poter confrontare il più alto numero di dati per ottenere informazioni affidabili. Il tumore al seno è il più frequente fra le neoplasie che compaiono durante la gravidanza e la buona notizia è che i dati raccolti nel registro indicano che gli esiti sono rassicuranti per mamme e bambini.
Il numero dei casi e la documentazione raccolta non forniscono tuttavia prove incontrovertibili e valide per tutti i tipi di tumore e per tutte le pazienti. Per questo l'opportunità di intervenire, così come le modalità e i tempi del trattamento, vanno comunque stabiliti in ogni particolare situazione, tenendo conto del tipo di malattia, della sua diffusione e aggressività, dell'epoca della gestazione in cui è scoperta, ma anche dei desideri della paziente dopo che è stata ben informata dai medici, alla luce di valutazioni etiche (per esempio in relazione alla possibile interruzione della gravidanza) o personali (per esempio l'età o il fatto di avere già altri figli).
La donna deve essere coinvolta nelle decisioni da prendere insieme a un gruppo multidisciplinare di medici che includa, oltre all'oncologo ed eventualmente al chirurgo, anche il ginecologo ostetrico, il neonatologo, l'anatomopatologo, il radiologo. Dato che le competenze coinvolte sono molte, è particolarmente importante rivolgersi per i trattamenti a centri specializzati e di grande esperienza.
I tumori più frequenti durante la gravidanza sono gli stessi che si ritrovano nelle donne della stessa età che non aspettano un figlio: sono per lo più tumori al seno (40 per cento dei casi), tumori ginecologici (soprattutto della cervice uterina e dell'ovaio), linfomi e leucemie (20 per cento dei casi), melanomi.
La diagnosi di un tumore durante la gravidanza resta un evento raro (accade circa in un caso ogni 1.000-2.000 gravidanze), sebbene stia crescendo nei Paesi occidentali con l'aumentare dell'età media in cui le donne decidono di avere un figlio.
La maggior parte delle forme di cancro, comprese quelle che colpiscono le donne, diventano più comuni con l’età. Dato che la scelta di avere un figlio si programma sempre più spesso dopo i 30-35 anni di età per ragioni socioeconomiche e culturali anche i tumori oggi si presentano più di frequente anche durante la gravidanza.
Inoltre nei mesi della gestazione ci si sottopone a maggiori controlli medici, per cui alcuni tumori possono essere diagnosticati più facilmente in questa fase. Se per esempio una donna non si sottopone regolarmente al Pap test, un tumore del collo dell'utero può essere scoperto dal ginecologo che lo esegue in occasione della prima visita per la gravidanza. Grazie alla diffusione di questo esame, il 70 per cento dei tumori della cervice uterina scoperti durante la gravidanza sono ancora in fase iniziale e, se non ci sono linfonodi coinvolti, se ne può rimandare il trattamento.
Più difficile può essere la diagnosi precoce di altri tumori, in particolare di quello al seno, perché i cambiamenti fisiologici a cui la ghiandola mammaria va incontro durante la gestazione possono mascherare la comparsa di piccoli noduli di cui è sempre bene cercare di accertare la natura. Nel caso dei tumori al seno, la giovane età di comparsa della malattia può inoltre suggerire l'opportunità di una consulenza genetica, per valutare la presenza di mutazioni ereditarie come BRCA1 e BRCA2.
Anche altri cambiamenti fisiologici a cui il corpo della donna va incontro durante la gravidanza, o i piccoli disturbi che questo stato comporta, possono inizialmente mascherare segni o sintomi di un linfoma o di una leucemia.
Si discute ancora infine se gli ormoni della gravidanza possano favorire l'insorgenza di un tumore o renderlo più aggressivo, ma gli studi sembrano dimostrare che, a parità di precocità della diagnosi, la prognosi non differisce sostanzialmente da quella delle donne non in gravidanza.
In caso di sospetto di un tumore in gravidanza occorre prestare una particolare attenzione nella scelta degli esami da eseguire per arrivare alla diagnosi o per approfondirla, limitandosi a quelli indispensabili per indirizzare l'approccio terapeutico. Questo al fine di evitare danni al feto.
In generale tutte le indagini che non prevedono l'uso di raggi x, come l'ecografia o le biopsie, possono essere eseguite liberamente. Lo stesso vale per gli esami che sfruttano le proprietà delle fibre ottiche, cioè tutte le forme di endoscopia (gastroscopia, broncoscopia, retto o colonscopia, laparoscopia eccetera).
Se occorre, tuttavia, ci si può sottoporre anche a radiografie della parte superiore del corpo (lastra del torace, mammografia), purché si adottino particolari accortezze, come un'apposita schermatura che protegga l'addome.
La risonanza magnetica (RM) ma senza mezzo di contrasto a base di gadolinio viene prescritta solo se strettamente necessaria.
Controindicate sono invece la TC così come la PET o la scintifigrafia ossea per la più alta esposizione alle radiazioni che comportano. Il loro uso va limitato ai casi di assoluta necessità, dopo aver accuratamente soppesato rischi e benefici.
La maggior parte degli interventi chirurgici necessari ad asportare un tumore possono essere eseguiti senza dover interrompere l'eventuale gravidanza in corso.
È stato accertato che dopo il primo trimestre di gestazione anche molti tipi di chemioterapia, in particolare quelli a base di antracicline, si possono effettuare senza rischi per il feto. Se possibile, quindi, qualora la diagnosi avvenga all'inizio della gestazione, è necessario aspettare almeno la fine della dodicesima settimana, periodo particolarmente delicato per lo sviluppo dell'embrione, prima di cominciare le cure.
Un altro periodo in cui è meglio evitare il trattamento è quello che precede il parto perché il midollo osseo della mamma e quello del bambino potrebbero non produrre globuli bianchi e piastrine a sufficienza per proteggersi dalle infezioni e per contrastare l'emorragia post-partum. Per questo il trattamento va interrotto entro la 34-35ª settimana di gestazione ed eventualmente ripreso dopo, appena la puerpera si è ristabilita dopo il parto.
I farmaci usati per la chemioterapia passano nel latte materno per cui, se la donna è sottoposta a queste cure, l'allattamento al seno è controindicato.
Assolutamente controindicato in gravidanza, così come nell'allattamento, è il tamoxifene, un farmaco usato per la terapia ormonale. Grande cautela è richiesta anche per tutti i nuovi medicinali appartenenti alla famiglia delle terapie mirate, per i quali non sono ancora disponibili prove sufficienti di sicurezza per il nascituro o il neonato. In caso di assoluta necessità alcuni di loro, come il trastuzumab, possono essere utilizzati, ma solo per brevi periodi e sotto stretto controllo delle loro possibili conseguenze.
Da evitare infine la radioterapia, che andrebbe rimandata a dopo il parto. Se strettamente necessarie, si possono prendere in considerazione applicazioni limitate nella parte superiore del corpo (collo, ascella eccetera), effettuate avendo cura di proteggere l'addome della paziente con una schermatura.
Incompatibili con la gravidanza sono invece trattamenti come il trapianto di midollo osseo, necessario per trattare alcune forme di leucemia.
I dati raccolti negli ultimi anni confermano che nella maggior parte dei casi le cure contro il cancro non incidono in maniera negativa sulla sopravvivenza e la salute del nascituro, per cui in genere non occorre interrompere la gravidanza per garantire alla paziente le migliori cure possibili. La maggior parte degli studi esistenti e riguardanti il tumore al seno, il più frequente, non segnalano un maggior rischio di malformazioni o gravi problemi per il feto, se la chemioterapia è effettuata nei tempi e nei modi prescritti, evitando il periodo che va dalla terza alla dodicesima settimana di gestazione, fondamentali per lo sviluppo. L'unica conseguenza dei trattamenti sembra essere in media un ridotto peso alla nascita rispetto ai figli di donne che non hanno subito la chemioterapia in gravidanza, ma questo non sembra incidere in maniera significativa sul futuro benessere del bambino. Occorreranno studi più ampi e prolungati nel tempo per escludere eventuali effetti collaterali a lungo termine, soprattutto in relazione allo sviluppo neurologico, al rendimento scolastico, alla maturazione sessuale e alla fertilità di questi bambini.
Per il momento la maggior parte dei problemi riscontrati sembra legata piuttosto ai parti pretermine, spesso indotti artificialmente dai medici per procedere liberamente alle cure, e che invece sarebbero da evitare il più possibile.
Si è parlato di cancro durante la gravidanza, ma che dire di una gravidanza dopo il cancro? Oggi un numero crescente di donne guarisce completamente dalla malattia. Quindi aumenta anche la percentuale di quelle che, voltata pagina, vorrebbero avere un figlio e a questo punto si scontrano con gli esiti delle cure, che in un'alta percentuale di casi compromettono la fertilità.
Per questo è importante che, soprattutto le donne più giovani, tengano presente questa eventualità fin dal momento della diagnosi, prima di cominciare a sottoporsi ai trattamenti. Oggi esistono diversi approcci, sia farmacologici sia tramite la conservazione di sperma od ovociti, per non compromettere la fertilità e aumentare le probabilità di avere un figlio una volta finito il percorso di cura.
Ci sono le tecniche di procreazione assistita, per cui si congelano le cellule uovo (o il seme, nel caso degli uomini) prima che le cure li possano danneggiare. Il congelamento degli spermatozoi è generalmente più semplice di quello degli ovuli. Quando non è possibile mettere da parte i propri gameti per la fecondazione autologa, è comunque ipotizzabile, dal punto di vista strettamente medico e in caso di infertilità dimostrata, ricorrere a un donatore esterno, per la fecondazione eterologa. In Italia la fecondazione eterologa era vietata fino al luglio 2014, quando la dichiarazione di incostituzionalità della legge che la proibiva ha consentito nuovamente la donazione eterologa di gameti.
È anche possibile ricorrere ad altri approcci, che possono aumentare le probabilità di successo di questi metodi o sostituirsi a essi per chi non vuole sottoporvisi. Il gruppo di ricerca guidato da Lucia Del Mastro, direttore della Struttura per lo sviluppo di terapie innovative all'Ospedale Policlinico San Martino-IRCCS per l’Oncologia di Genova, con il sostegno di AIRC ha per esempio dimostrato già diversi anni fa che è possibile ridurre drasticamente il numero di donne giovani che, in seguito alle terapie per il tumore al seno, va incontro a menopausa precoce. Basta mettere a riposo le ovaie durante le terapie, con semplici iniezioni intramuscolari di un ormone, la triptorelina. Lo studio, pubblicato su un'importante rivista internazionale, il Journal of the American Medical Association, dimostra che dopo l’interruzione della terapia le ovaie ricominciano a funzionare e i cicli riprendono.
Nel gruppo di oltre 280 donne trattate in questo modo si è registrato un numero molto maggiore di gravidanze rispetto al gruppo di controllo sottoposto alle cure tradizionali: nel 2015 le gravidanze sono state 8 contro le 3 ottenute nel gruppo non trattato.
Oggi sappiamo che i cambiamenti ormonali legati alla gestazione non aumentano il rischio che la malattia si ripresenti, diversamente da quanto si credeva un tempo. Pertanto la gravidanza non è più controindicata nelle donne con una pregressa diagnosi di tumore della mammella.
Agenzia Zadig
Articolo pubblicato il:
24 maggio 2018