Le cellule del sangue e i fattori che governano la coagulazione sono frequentemente coinvolti nei tumori, dando luogo a problemi i cui sintomi vanno tenuti sotto controllo.
I pazienti oncologici sanno bene che una delle manifestazioni più comuni della loro malattia è l'anemia, che provoca una sensazione generalizzata di spossatezza.
Molto comune, ma spesso poco considerata, è anche la trombosi, ovvero la formazione di coaguli nelle vene o, meno frequentemente, nelle arterie. La trombosi in alcuni casi si verifica come effetto collaterale di dosaggi non idonei dei farmaci utilizzati per correggere l'anemia.
L'anemia è un sintomo caratteristico della maggior parte dei tumori sia all'esordio sia soprattutto in corso di chemioterapia. Circa il 35 per cento delle persone con un tumore solido (cioè non del sangue o del sistema linfatico) già all'inizio della malattia presenta anemia, e questa percentuale sale al 50 per cento quando il paziente è affetto da un tumore delle cellule del sangue.
I motivi per cui un paziente oncologico diventa anemico sono molteplici. Ci sono spesso delle perdite di sangue microscopiche nei tessuti malati (come accade nei tumori del sistema gastroenterico) oppure carenze nutrizionali: la persona ha una sensazione di malessere generalizzato che la porta a mangiare meno e comunque a non avere una dieta equilibrata. Inoltre si sente così stanca da non riuscire a far fronte nemmeno agli impegni quotidiani più banali.
I tumori rilasciano sostanze tossiche che hanno un effetto deleterio sul midollo osseo, che è la fabbrica dei globuli rossi. È proprio qui che avviene il danno principale, ancora maggiore nel caso in cui le cellule tumorali invadano il midollo. A questo quadro bisogna poi aggiungere gli effetti della chemioterapia.
Negli ultimi anni sono stati prodotti nuovi farmaci antitumorali e sviluppate modalità di somministrazione che hanno ridotto gli effetti collaterali. Tuttavia la maggior parte dei farmaci antitumorali ha come principale bersaglio il DNA, una molecola essenziale alla proliferazione delle cellule. I farmaci interferiscono con la replicazione del DNA, e in questo modo la crescita incontrollata delle cellule tumorali viene bloccata. Inevitabilmente però sono colpite anche le cellule sane del nostro organismo che si riproducono velocemente, tra cui quelle del sangue.
Così la chemioterapia può ridurre la capacità del midollo osseo di produrre globuli rossi, che trasportano l'ossigeno in tutte le parti dell'organismo. Quando i globuli rossi sono pochi, i tessuti non ricevono abbastanza ossigeno per la loro attività e compaiono i sintomi dell'anemia. Frequentemente i pazienti lamentano una sensazione generalizzata di debolezza e stanchezza cui si possono accompagnare vertigini, perdita dell'attenzione, pallore della cute e delle labbra o addirittura difficoltà respiratorie con deterioramento generale della qualità di vita.
L'anemia può incidere negativamente sull'efficacia delle terapie, indipendentemente dal tumore cui è associata e per questo va continuamente controllata e corretta. Ma come si può curarla senza vanificare l'effetto delle cure contro le cellule tumorali? Le strategie possibili sono diverse.
Quando l'anemia è grave, per una correzione rapida in genere si fanno trasfusioni di sangue. In caso di forme meno gravi si ricorre a un trattamento con farmaci quali l'eritropoietina umana ricombinante (epoetina). La stessa sostanza è naturalmente prodotta dal rene umano, stimola il midollo osseo a produrre globuli rossi ed è nota al grande pubblico perché il farmaco è anche utilizzato nel doping sportivo. L'efficacia terapeutica sia delle trasfusioni, sia dell'eritropoietina, a volte utilizzate contemporaneamente, può essere seguita misurando i livelli di emoglobina nel sangue.
Queste terapie contro l’anemia non sono tuttavia prive di rischi, che si possono limitare seguendo specifiche linee guida: ricorrere al farmaco solo quando la concentrazione dell'emoglobina nel sangue scende molto al di sotto dei livelli stabiliti e continuarlo solo in caso di misurata efficacia (aumento dell'emoglobina o diminuzione della frequenza delle trasfusioni).
Sebbene oggi sia disponibile un'eritropoietina di nuova generazione più efficace e sicura, gli effetti collaterali sono comunque presenti. Il rischio maggiore è il sovradosaggio, con una conseguente produzione di globuli rossi superiore alle necessità. Troppi globuli rossi possono causare rallentamenti o addirittura intasamenti nei vasi sanguigni, favorendo la formazione di trombi.
Il sangue scorre fluido all'interno delle vene e delle arterie, ma coagula non appena arriva a contatto con l'aria, come avviene nel caso di una ferita: questo grazie a un complesso equilibrio tra i fattori coagulanti e i fattori anticoagulanti prodotti dall'organismo.
Se questo equilibrio si rompe e prevale la coagulazione, si arriva alla formazione di trombi, ovvero grumi di sangue che possono ostruire parzialmente o completamente un vaso sanguigno, arrestando il flusso e bloccando il trasporto dell'ossigeno e dei nutrienti nei vari organi del corpo.
La trombosi può riguardare sia le vene sia le arterie.
La trombosi venosa (più comune nei pazienti affetti da tumore) in genere colpisce le gambe (una alla volta), ma può verificarsi in qualunque distretto venoso. I sintomi chiave sono dolore, crampi, gonfiore e rossore alla gamba colpita, oppure la formazione di un 'cordone' duro lungo il tragitto della vena. A volte il trombo si rompe e qualche frammento (detto embolo) può raggiungere e bloccare la circolazione polmonare provocando difficoltà di respirazione, dolore al petto, tosse, agitazione con sensazione di angoscia, con conseguenze anche molto gravi.
La trombosi arteriosa è in genere più grave, soprattutto quando si verifica in organi in cui ogni cellula è di vitale importanza (per esempio cuore, cervello, retina), causando patologie assai eclatanti quali infarto cardiaco, ictus cerebrale, cecità.
Gli episodi di trombosi legati ai farmaci sono fortunatamente rari, ma il rischio non è da sottovalutare. Secondo dati dell'American Society for Clinical Oncology (ASCO), circa un malato di cancro su cinque andrà incontro alla formazione di trombi nel corso della storia della sua malattia.
In alcuni casi la trombosi è il primo segnale del cancro, pur essendo una delle sue conseguenze. La buona notizia è che studi recenti mostrano che curando la trombosi con farmaci che fluidificano il sangue si possono avere ripercussioni positive anche contro il tumore, riducendo la velocità con cui la malattia progredisce e la formazione di metastasi. I fluidificanti rendono in qualche modo anche le cellule tumorali meno capaci di aggregarsi tra loro, cosa che probabilmente ne ostacola la capacità di impiantarsi in altri organi.
Tra le cause dell'alta incidenza di trombosi nelle persone che hanno un cancro c'è la scarsa mobilità. Stare molto a letto rallenta la circolazione del sangue nelle gambe e può provocare uno squilibrio tra fattori coagulanti e anticoagulanti, favorendo i primi. Anche la chemioterapia può, paradossalmente, favorire la trombosi: intorno ai cateteri endovenosi a lunga permanenza usati per somministrare i farmaci, si possono formare dei 'manicotti' di coaguli; inoltre i chemioterapici causano una sorta di infiammazione della parete interna dei vasi sanguigni che favorisce la formazione di trombi.
A volte la trombosi può anche essere conseguenza dell'anemia stessa. La mancanza di ossigeno fa soffrire le cellule e provoca anch'essa un'infiammazione dei vasi. Inoltre la trombosi può essere legata al fatto che il tumore sta crescendo in zone dove ci sono vene importanti che vengono compresse: la circolazione viene rallentata e il sistema di coagulazione si attiva.
Infine ci sono alcuni tumori, per esempio gli adenocarcinomi di fegato, prostata, vescica e polmone, che compromettono la produzione di alcune sostanze del sistema di coagulazione. In molti casi, però, è possibile fare una buona prevenzione, intervenendo per tempo con una terapia anticoagulante.