Ultimo aggiornamento: 25 ottobre 2022
Un gruppo di ricercatori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele ha descritto per la prima volta un innovativo approccio immunoterapeutico peri-operatorio con interferone alfa, in grado di prevenire le metastasi al fegato da tumore primario del colon-retto. Lo studio, preclinico, è stato coordinato da Giovanni Sitia, responsabile dell’Unità di Epatologia Sperimentale in collaborazione con Luca Guidotti, vice-direttore scientifico e Ordinario presso l’Università Vita-Salute San Raffaele. I risultati sono stati pubblicati oggi sulla rivista scientifica eLIFE, e la ricerca è stata possibile grazie anche al contributo di Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro.
I ricercatori hanno somministrato interferone alfa a basse dosi, a modelli murini, nel periodo appena prima e durante l’intervento chirurgico per la rimozione del tumore del colon-retto. L’interferone alfa è una molecola prodotta normalmente dal nostro organismo e ha una potente attività anti-tumorale. In seguito alla somministrazione con questa modalità innovativa, gli scienziati hanno osservato che il farmaco è stato in grado di stimolare le cellule endoteliali del fegato a costruire una barriera vascolare. Questa è stata a sua volta capace di limitare l'ingresso delle cellule tumorali nell’organo in questione, prevenendo quindi la formazione di metastasi.
Spiega Giovanni Sitia: “Questo risultato è possibile grazie a molteplici meccanismi mediati dall’interferone alfa. Inizialmente esso agisce costruendo delle vere e proprie barriere fisiche sulle cellule endoteliali, che rivestono l’interno dei vasi sanguigni, impedendo preventivamente la colonizzazione e la crescita metastatica. In seguito l’interferone alfa favorisce la risposta immunitaria contro le metastasi da colon-retto, conferendo protezione a lungo termine senza causare apparenti effetti collaterali”.
Il tumore al colon-retto e le possibili complicazioni
Il tumore del colon-retto è una delle neoplasie a più elevata incidenza nel mondo e solo in Italia è al secondo posto nella popolazione maschile e femminile per incidenza e mortalità. Le campagne di screening e i progressi in chirurgia, radioterapia e oncologia hanno ridotto l’incidenza e migliorato le possibilità di cura. Tuttavia il tasso di mortalità è ancora elevato e spesso associato alla diffusione delle cellule tumorali maligne in altri siti, con il fegato come sede più comune di colonizzazione metastatica.
L’innovativa strategia di somministrazione dell’interferone alfa
Le proprietà anti-tumorali dell’interferone alfa sono oramai riconosciute in campo medico. Tuttavia, la somministrazione per via sistemica a dosi relativamente elevate ha mostrato un'efficacia limitata, principalmente a causa di gravi effetti collaterali in tutto l’organismo.
Per migliorare il profilo farmacocinetico dell’interferone alfa, rendendolo più efficace e tollerabile, i ricercatori del San Raffaele hanno ideato questa nuova strategia. Da un lato il farmaco è utilizzato a basse dosi, dall’altro è somministrato in fase peri-operatoria, considerata un momento critico nella disseminazione metastatica delle cellule tumorali.
Aggiunge Sitia: “In questo modo l’interferone, rilasciato in maniera continua, prima e dopo l’intervento, è in grado di stimolare le cellule endoteliali del fegato e orchestrare le sue molteplici funzioni anti-tumorali, evitando al tempo stesso gli effetti tossici della somministrazione ad alte dosi”.
Applicazioni future
“I nostri risultati forniscono, a livello preclinico, una prova incoraggiante dell’efficacia e della sicurezza della strategia. È ora necessario valutare con ulteriori studi quali pazienti con tumori primitivi del colon-retto potrebbero meglio beneficiare di questa terapia peri-operatoria e preparare la sperimentazione clinica che potrebbe cominciare tra qualche anno”, conclude Giovanni Sitia.
L’interferone alfa a lento rilascio, già approvato per uso clinico, potrebbe quindi essere utilizzato come immunoterapia prima e durante l’intervento chirurgico di rimozione di tumori del colon-retto primario, soprattutto nei pazienti con maggior rischio di sviluppare metastasi epatiche.