I vaccini terapeutici contro il cancro sono uguali o diversi dai vaccini che prevengono le malattie infettive?

I vaccini terapeutici anticancro stimolano il sistema immunitario perché attacchi un tumore, mentre non servono a prevenirlo. Alcuni vaccini contro agenti infettivi che causano il cancro possono anche prevenire lo sviluppo di tumori specifici.

Ultimo aggiornamento: 4 gennaio 2022

Tempo di lettura: 9 minuti

In breve

  • I vaccini classici servono a prevenire le infezioni. Agiscono permettendo al sistema immunitario di riconoscere in sicurezza specifici virus, batteri o protozoi che vengono in contatto con l’organismo, per evitare che provochino una malattia.
  • I vaccini che prevengono alcuni tipi di cancro sono normali vaccini diretti contro agenti infettivi che possono causare tumori. È il caso del vaccino contro il virus dell’epatite B, responsabile di molti casi di cancro del fegato, e di quello contro i ceppi di papilloma virus umano (HPV), responsabili di diversi tipi di tumore, tra cui prima di tutto quello della cervice uterina.
  • I vaccini terapeutici contro il cancro sono strumenti di cura e non di prevenzione, progettati in base alle caratteristiche specifiche del tumore.

Per approfondire

Nel 1796 il medico inglese Edward Jenner decise di dimostrare sperimentalmente una teoria sul vaiolo che circolava già da qualche tempo negli ambienti medici. Il vaiolo uccideva all'epoca milioni di persone. In particolare, le persone che si occupavano di mungere le mucche talvolta si ammalavano della forma bovina del vaiolo che provocava la formazione di pustole sulle mani. Queste stesse persone in genere non si ammalavano della forma umana della malattia, ben più grave e devastante. Jenner decise di prelevare un po' di pus dalle vescicole del vaiolo bovino e di inocularlo in un ragazzino attraverso una piccola incisione sul braccio. Il ragazzino presentò le tipiche lievi lesioni del vaiolo bovino e si riprese prontamente. A questo punto Jenner lo espose a materiale proveniente da pustole di malati di vaiolo umano e il piccolo non manifestò alcun segno della malattia. Questa fu, a tutti gli effetti, la prima sperimentazione umana del principio della vaccinazione.

All'epoca Jenner non sapeva esattamente perché esporre un individuo al materiale infetto di animali colpiti da una determinata malattia riuscisse a preservare l'individuo da un contagio successivo con la ben più grave malattia umana. Oggi sappiamo che tale protezione deriva da una sorta di “addestramento” del sistema immunitario: la forma meno virulenta dell'agente infettivo, di cui sono costituiti alcuni vaccini, introduce nell'organismo i cosiddetti antigeni, cioè le parti del microrganismo che consentono al nostro sistema immunitario di riconoscere l'intruso. Poiché le forme attenuate o addirittura uccise dei virus e dei batteri, che si utilizzano in alcune vaccinazioni, hanno gli stessi antigeni delle forme vive e attive, la vaccinazione addestra l'organismo a rispondere velocemente e il sistema immunitario ad attaccare e distruggere più rapidamente ed efficacemente l’organismo patogeno. Sullo stesso principio di quel primo esperimento sul vaiolo delle vacche (da cui il termine vaccino) si sono basati per oltre due secoli tutti i vaccini moderni il cui scopo era la prevenzione del contagio o delle complicanze di alcune malattie infettive.

Anche i vaccini evolvono

Parlano chiaro le sperimentazioni cliniche condotte nel corso degli anni sui vaccini e le osservazioni epidemiologiche su miliardi di persone vaccinate nel mondo reale: i vaccini funzionano e sono in grado di proteggere la popolazione da malattie molto gravi, a volte anche mortali. Lo dimostra per esempio il fatto che nel 1980 il vaiolo è stato dichiarato ufficialmente scomparso a livello mondiale (in termini tecnici si dice che è stato “eradicato”) e che malattie come la poliomielite, la difterite, il tetano, la pertosse, la rosolia e molte altri sono ormai molto rare.

Ma i vaccini non sono tutti uguali, come abbiamo imparato molto recentemente per via della pandemia di Covid-19.

In un certo senso potremmo dire che ci sono diversi strumenti attraverso i quali “istruire” il nostro sistema immunitario contro un virus o un batterio. In tutti i casi l’idea di base resta la stessa, ovvero presentare un antigene al sistema immunitario, ma le modalità in cui si effettua questa presentazione possono variare, come si legge sul sito di Epicentro, il portale di epidemiologia dell’Istituto superiore di sanità.

I vaccini vivi attenuati (per esempio, quelli contro morbillo, rosolia, parotite e varicella) sono prodotti rendendo i microrganismi incapaci di generare la malattia, mentre i vaccini inattivati (quelli per esempio contro l’epatite A e la poliomielite) sono costituiti da virus o batteri uccisi con calore o sostanze chimiche. Esistono anche vaccini ad antigeni purificati (come quello anti-meningococco), ottenuti con tecniche che permettono di isolare solo alcune componenti del microrganismo, o vaccini ad anatossine (per esempio quelli contro il tetano e la difterite), che si basano su molecole prodotte dal microrganismo infettivo, modificate affinché siano in grado di attivare il sistema immunitario senza però causare la malattia. Infine, tecnologie molecolari più avanzate hanno permesso di generare anche vaccini proteici ricombinanti (usati oggi contro l'epatite B) che contengono solo una proteina del patogeno ottenuta dal relativo gene inserito in cellule modificate geneticamente. Infine, i più recenti sono i vaccini a mRNA, come quelli sviluppati da Pfizer-BioNTech e Moderna, messi in commercio contro il coronavirus SARS-CoV-2, responsabile della pandemia di Covid-19. Questi vaccini contengono non un antigene, ma le istruzioni affinché le nostre cellule possano produrlo da sole in autonomia.

I vaccini preventivi contro il cancro

Con questo termine si intendono alcuni vaccini classici, in grado di prevenire l'infezione da parte di virus come quello dell'epatite B (HBV) o del papilloma umano (HPV), e che possono essere una delle cause di insorgenza di alcuni tumori. I vaccini anticancro preventivi, quindi, sono in tutto e per tutto analoghi agli altri vaccini contro le malattie infettive, ma hanno anche questo ulteriore effetto secondario positivo: riducono il rischio di ammalarsi di determinati tumori che sono favoriti o direttamente provocati dalla presenza di certi virus. Il vaccino, quindi, non ha un effetto diretto sul tumore del collo dell'utero (nel caso del vaccino anti-HPV) o del fegato (nel caso del vaccino contro l'epatite B) ma, poiché previene l'infezione che induce infiammazioni croniche o mutazioni dirette che sono la causa dei tumori, ha di fatto anche un’azione preventiva di tipo oncologico.

Gli esperti dell’Organizzazione mondiale della Sanità sono convinti che, grazie all’efficacia di questo vaccino e ad altri strumenti di prevenzione e di screening, il tumore della cervice potrebbe essere eliminato a livello globale entro la fine del XXI secolo. E a questo proposito hanno lanciato un’iniziativa globale che, per la prima volta nella storia dell’umanità, punta ad eliminare definitivamente un tumore.

I risultati di una ricerca pubblicati nel 2018 mostrano un’analisi di 26 studi clinici che avevano coinvolto oltre 70.000 donne. I dati disponibili permettono di concludere che la vaccinazione contro l’HPV riduce la comparsa di lesioni precancerose della cervice uterina (che dopo molti anni possono trasformarsi in tumori) nelle adolescenti e nelle giovani donne, senza comportare il rischio di eventi avversi gravi. Il Piano nazionale di prevenzione vaccinale del 2017-2019, la cui validità è stata prorogata a tutto il 2021, ha esteso anche ai maschi adolescenti (11-12 anni) la vaccinazione gratuita contro l’HPV, già prevista per le ragazze della stessa età. L’infezione da HPV infatti non colpisce solo il genere femminile ed è responsabile, oltre che di tumori ginecologici, anche di tumori del pene, dell’ano e del distretto testa-collo, e della formazione di lesioni genitali benigne (condilomi).

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I vaccini terapeutici contro il cancro

Con il termine vaccino anticancro in genere ci si riferisce ai vaccini terapeutici. Sono detti terapeutici perché sono a tutti gli effetti terapie, sono quindi indirizzati a pazienti che hanno già un tumore e lo scopo è curare la malattia, non prevenirla. Si usa un po’ impropriamente il termine vaccino perché anche in questo caso si stimola il sistema immunitario a riconoscere ed eliminare qualcosa che è dannoso per l’organismo.

Il sistema immunitario è una rete di cellule, tessuti, organi e sostanze in grado di combattere le infezioni da parte di agenti esterni, ma non solo: protegge l'organismo dalla minaccia costituita da cellule danneggiate o anomale che, se non sono eliminate, possono proliferare e dare origine a un tumore.

I globuli bianchi, o leucociti, pattugliano il nostro corpo alla ricerca di agenti infettivi o di cellule anomale per distruggerli. Il riconoscimento dei pericoli dipende dalla presenza di specifici antigeni, che funzionano come bandierine di riconoscimento: se appartengono all'organismo, il sistema immunitario evita di attaccare; se sono estranei, i sistemi di difesa eliminano l’aggressore.

Le cellule tumorali possiedono degli antigeni particolari: in certi casi si tratta di lievi varianti della norma, in altri di antigeni che sono presenti nell'età embrionale ma non nell'adulto, in altri di antigeni completamente nuovi (neoantigeni).

I vaccini anticancro terapeutici facilitano il riconoscimento degli antigeni delle cellule maligne così da attivare le cellule T citotossiche e indurre la produzione di anticorpi.

Lo sviluppo di questa terapia si è dimostrato particolarmente complesso anche per via della grande variabilità individuale: non è detto infatti che le caratteristiche molecolari dei tumori di due persone siano identiche, sebbene le diagnosi oncologiche dei due pazienti siano le stesse.

Presente e futuro dei vaccini anticancro

Un esempio di vaccino anticancro è quello approvato nel 2010 dalla Food and Drug Administration (FDA) statunitense per il tumore della prostata, il sipuleucel-T. Si tratta di un vaccino che deve essere prodotto specificatamente per ciascun paziente. Dal sangue del malato vengono isolate le cellule dendritiche, che vengono poi messe in contatto con un antigene (la fosfatasi acida prostatica, presente nella maggior parte delle cellule di cancro della prostata) e attivate. Le cellule dendritiche così preparate vengono reiniettate nel paziente dove incontrano i linfociti che si attivano a loro volta e distruggono le cellule del tumore della prostata. È un vaccino piuttosto costoso perché prodotto per ogni singolo paziente a partire appunto da cellule specializzate nel “catturare” gli antigeni e nel “segnalarli" ai linfociti, che così attaccano le cellule cancerose. In Europa non è mai stato approvato, anche perché il vantaggio offerto in termini di sopravvivenza non è molto elevato.

Talimogene laherparepvec è un altro vaccino approvato negli USA e in Europa, e utilizzato in pazienti con melanoma metastatico inoperabile. In questo caso si tratta di un herpes virus modificato in cui sono stati inserite componenti in grado di stimolare la produzione di citochine, molecole che stimolano il sistema immunitario. Mentre il Bacillo Calmette–Guérin, il vaccino più usato al mondo contro la tubercolosi infantile, può essere utilizzato anche per il trattamento del tumore della vescica.

Molti altri vaccini terapeutici anticancro sono in fase di studio, e tra questi diversi riguardano il tumore della mammella, come descritto nel dettaglio in un articolo pubblicato nel 2021 sulla rivista International Journal of Molecular Science.

L’Istituto nazionale dei tumori Fondazione Pascale di Napoli è invece capofila dello studio HEPAVAC-101, che sta sperimentando la vaccinazione anticancro nel tumore del fegato. Il vaccino è costituito da 16 antigeni selezionati da tumori del fegato provenienti da centinaia di malati. Alcuni pazienti con carcinoma epatocellulare (HCC) in uno stadio iniziale o intermedio hanno ricevuto il vaccino assieme a una sostanza (adiuvante) che potenzia l’attivazione dei linfociti T. I risultati presentati all’International Liver Congress nel 2021 hanno mostrato un buon profilo di sicurezza e la capacità del vaccino di indurre una risposta immunitaria.

In conclusione

Il sistema immunitario ha il potenziale di eliminare i tumori. Lo scopo dei vaccini anticancro è addestrare il sistema immunitario dei pazienti a riconoscere le cellule tumorali. Il riconoscimento si basa sulla presenza di molecole, gli antigeni, specifici per le cellule del tumore. Per creare dei vaccini anticancro bisogna conoscere questi antigeni, che non sono uguali in tutti i tumori dello stesso tipo. La vaccinazione può essere fatta iniettando gli antigeni o prelevando cellule del sistema immunitario dei pazienti e mettendole in contatto con l’antigene in laboratorio prima che queste siano reintrodotte nel paziente stesso. Si tratta di terapie che vanno personalizzate e che possono essere estremamente costose. Molti ricercatori stanno dedicando i loro sforzi allo sviluppo di vaccini anticancro, una delle promesse dell'oncologia clinica per i prossimi anni.

  • Agenzia Zoe