Ultimo aggiornamento: 18 dicembre 2025

Titolo originale dell'articolo: Genomic profiling of a collection of patient-derived xenografts and cell lines identified ixabepilone as an active drug against chemo-resistant osteosarcoma
Titolo della rivista: Journal of Experimental & Clinical Cancer Research
Data di pubblicazione originale: 8 luglio 2025
Un gruppo di ricercatori sostenuto da AIRC ha realizzato sistemi di studio che rappresentano in modo affidabile l’estrema variabilità genetica dell’osteosarcoma. Grazie a questi hanno anche individuato un potenziale farmaco efficace contro gran parte dei casi studiati.
Da oggi potrebbe essere più semplice studiare l’osteosarcoma, un raro tumore delle ossa prevalentemente pediatrico, e trovare nuove cure mirate. Un gruppo di ricercatori sostenuti da AIRC ha sviluppato alcuni sistemi per studiare il tumore in laboratorio nei quali è mantenuta l’estrema variabilità genetica della patologia. Per questo potrebbero essere una preziosa risorsa per la comunità scientifica che si occupa del problema. Grazie a questi strumenti, i ricercatori che li hanno sviluppati sono riusciti a individuare un nuovo farmaco che è stato efficace nel contrastare la crescita dell’osteosarcoma in topi di laboratorio. I risultati dello studio sono stati pubblicati sul Journal of Experimental & Clinical Cancer Research a luglio 2025.
“Le terapie per l’osteosarcoma non cambiano da molti anni, nonostante siano stati condotti parecchi studi al riguardo” spiega Katia Scotlandi dell’IRCCS Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, che ha coordinato il gruppo di ricerca. Le cure di riferimento dell’osteosarcoma consistono soprattutto nella rimozione chirurgica del tumore, considerata risolutiva nei tumori a basso grado di malignità, mentre per quelli invece ad alto grado alla chirurgia è aggiunta la chemioterapia. La curabilità è attorno al 60% dei casi di malattia localizzata. Tuttavia, nuovi trattamenti specifici e meno tossici potrebbero migliorare l’efficacia delle cure e la qualità di vita dei pazienti, che essendo in gran parte bambini e adolescenti hanno in genere una lunga aspettativa di vita e dunque più tempo per convivere con eventuali effetti collaterali dei trattamenti.
Lo sviluppo di nuove terapie è stato però ostacolato dall’estrema complessità dell’osteosarcoma. Da un lato, la bassa presenza delle cellule del sistema immunitario nel microambiente del tumore ha finora limitato le possibilità dell’immunoterapia. Dall’altro, realizzare cure mirate è complicato dal grande numero di mutazioni genetiche presenti nel singolo tumore e diverse tra pazienti. “Anche se negli ultimi anni sono stati fatti progressi al riguardo, mancavano ancora sistemi sperimentali di studio in grado di rappresentare la variabilità genetica e biologica che osserviamo nei casi clinici” commenta Scotlandi. Infatti, la maggior parte dei sistemi di laboratorio usati finora non sono abbastanza affidabili e vari per rappresentare l’eterogeneità della malattia e consentire dunque lo sviluppo di nuove cure efficaci in tutti i casi.
Circa 5 anni fa, il gruppo di ricerca di Scotlandi ha iniziato a lavorare per colmare questa lacuna, con il sostegno di Fondazione AIRC. I ricercatori hanno deciso di ricorrere ai cosiddetti patient-derived xenograft (PDX), ovvero topi di laboratorio nei quali sono impiantate cellule neoplastiche provenienti da pazienti. Spiega Scotlandi: “Abbiamo scelto i PDX perché riescono a mantenere le principali caratteristiche del tumore originale, consentendo a noi di studiare i tipi di osteosarcoma più aggressivi e resistenti alla chemioterapia”. Nel corso degli anni, i ricercatori hanno raccolto campioni di cellule tumorali da circa 30 pazienti diversi, da cui hanno prodotto diversi PDX. In seguito, negli animali con i tumori più aggressivi, hanno valutato l’efficacia di quasi 3.000 medicinali già in commercio.
Alla fine, un medicinale è riuscito a ridurre le dimensioni del tumore e contrastarne la progressione nella maggior parte degli animali di laboratorio trattati. Si tratta dell’ixabepilone, un farmaco usato per la cura del cancro alla mammella che non era ancora stato considerato per la terapia dell’osteosarcoma. “Abbiamo valutato l’effetto di farmaci già in uso per accelerare il trasferimento dal sistema sperimentale al paziente” continua Scotlandi. “Sappiamo che se avviare studi clinici è difficile in generale, lo è ancora di più per un tumore raro come l’osteosarcoma.”. Partendo da un farmaco già approvato per un’altra indicazione è possibile abbreviare l’iter di sperimentazione, evitando la fase I, in cui si valuta soltanto la tossicità del medicinale, e passare direttamente alle fasi successive, in cui se ne studia invece l’efficacia.
Prima di sperimentare l’ixabepilone nei pazienti, bisognerà definire meglio il suo meccanismo d’azione nel contesto di questo tumore. Allo stesso tempo, grazie ai risultati di questo studio aumentano le possibilità che altri gruppi di ricerca studino il funzionamento dell’osteosarcoma e individuino trattamenti mirati. “I sistemi sperimentali che abbiamo realizzato sono a disposizione della comunità scientifica” conclude la ricercatrice. “Noi continueremo a usarli soprattutto per approfondire il ruolo dei macrofagi, cellule del sistema immunitario, nello sviluppo di terapie combinate.”
Camilla Fiz