Premi Nobel 2025 e tumori: una stretta relazione

Ultimo aggiornamento: 17 ottobre 2025

Premi Nobel 2025 e tumori: una stretta relazione

La scoperta premiata quest’anno con il Nobel per la fisiologia o la medicina ha cambiato profondamente il nostro modo di comprendere il rapporto tra sistema immunitario e tumori.

Il 6 ottobre 2025, Mary E. Brunkow, Fred Ramsell e Shimon Sakaguchi hanno ricevuto il premio Nobel per la fisiologia o la medicina per il loro contributo alla definizione di alcuni meccanismi che regolano la tolleranza immunologica, e in particolare quella periferica. Grazie ai loro studi è stato possibile cogliere meglio la complessità del sistema immunitario e studiare nuove opzioni di terapia, anche per la cura delle neoplasie. Si tratta dell’ultimo di una lunga serie di Nobel assegnati a scoperte sul sistema immunitario che hanno trovato importanti applicazioni nella ricerca e nella clinica contro i tumori. Citiamo soltanto uno dei più noti: nel 2018 con il prestigioso premio erano stati riconosciuti l’intuizione e i dati che hanno permesso lo sviluppo di un nuovo approccio di immunoterapia, che ha rivoluzionato i trattamenti contro i tumori.

Premio Nobel 2025: una vicenda ricca di scoperte e di ostacoli

La storia degli scienziati che a dicembre riceveranno il premio Nobel per la fisiologia o la medicina 2025 è nata da una serie di risultati che all’inizio erano apparentemente scollegati tra loro. Negli anni Ottanta era già ben noto il fenomeno della tolleranza immunitaria, ovvero la capacità delle nostre difese di non reagire contro cellule proprie o contro sostanze e microrganismi estranei già incontrati e percepiti come innocui o addirittura utili, e quindi da preservare. Meno conosciuti erano i meccanismi fini di questo fenomeno. Si riteneva che la regolazione e il funzionamento di questo meccanismo fossero delegati al timo, un piccolo organo situato all’incirca alla base del collo. I risultati di alcuni ricercatori, però, avevano iniziato a mettere in dubbio questa teoria e Sagakuchi, oggi all'Università di Osaka in Giappone, aveva però deciso di approfondire la questione.

In animali di laboratorio aveva osservato che la capacità di non attaccare le cellule del proprio organismo non era regolata soltanto dal timo, ma anche da un’altra popolazione di cellule del sistema immunitario. Quando pubblicò i suoi risultati nel 1995, introdusse per la prima volta l’idea di una tolleranza periferica, dovuta alle cosiddette cellule T regolatorie (Treg). Le chiamò così per la loro capacità, appunto, di regolare il riconoscimento e la risposta contro i nostri stessi tessuti, mettendo le base della comprensione dei meccanismi di autoimmunità. Pochi anni dopo arrivarono ulteriori conferme sulla sua teoria.

Nello stesso periodo, negli Stati Uniti, Mary E. Brunkow e Fred Ramsell erano occupati a studiare le cause genetiche della sindrome IPEX, una rara malattia autoimmune ereditaria. Nel 2011 i due scienziati, oggi rispettivamente all'Institute for Systems Biology di Seattle, nello stato di Washington e alla Sonoma Biotherapeutics di San Francisco, in California, erano riusciti a individuare il gene responsabile della patologia, FOXP3. Qualche anno dopo questa scoperta, Sakaguchi collegò i suoi risultati con quelli dei colleghi.

In condizioni normali, FOXP3 regola lo sviluppo delle Treg. Invece, alcune mutazioni del gene portano a perdere la funzione regolatoria di queste cellule. La conseguenza è l’attacco contro le proprie cellule, che altrimenti sarebbero risparmiate.

Negli anni successivi, altri studi hanno permesso di comprendere meglio il fenomeno della tolleranza periferica e di come possa essere utilizzata per ridurre il rigetto post-trapianto e migliorare la cura di numerose patologie, come alcune malattie autoimmuni e i tumori. Quest’area della ricerca biomedica si è quindi inserita nel crescente interesse della comunità scientifica verso l’interazione tra le neoplasie, l’ambiente circostante e il sistema immunitario. Con il passare del tempo si è capito che le cellule tumorali possono stravolgere la funzione delle Treg e trasformarle da difensori dell'organismo ad alleate della neoplasia. In questi casi le Treg inibiscono l’attività antitumorale del sistema immunitario e riducono di conseguenza l’effetto dei farmaci immunoterapici. È per questo motivo che, nella maggior parte dei tumori, i pazienti con elevati livelli di Treg hanno prognosi più sfavorevoli. Queste cellule sono così diventate un perfetto candidato per sviluppare nuove immunoterapie o per aumentare l’efficacia di quelle già in uso.

Nonostante le buone premesse, i ricercatori si sono imbattuti in diverse difficoltà. Si sono per esempio accorti di quanto sia complesso colpire in modo mirato le Treg per attaccare il tumore ed evitare i tessuti sani, per prevenire gravi effetti collaterali. Le attività di ricerca, però, sono andate avanti e la prossima generazione di farmaci potrebbe sfruttare le opportunità della nanomedicina e ingegneria delle proteine. Oggi in numerosi studi si stanno inoltre valutando varie opzioni di immunoterapia che, per esempio, promuovono la funzione regolatoria antitumorale delle Treg, oppure influenzano l’attività del gene FOXP3. In diverse sperimentazioni cliniche si stanno invece valutando quanto siano efficaci medicinali che coinvolgono le Treg nell’ambito della cura di patologie autoimmuni e tumori.

Il premio Nobel per la chimica 2025 e i tumori

Il cancro è una malattia straordinariamente complessa, il cui sviluppo dipende da molteplici fattori. Questi sono legati in parte al patrimonio genetico e in parte ai danni genetici ed epigenetici che possono essere dovuti ad agenti chimici, fisici, infettivi e a comportamenti poco salutari. Alcuni di questi aspetti possono essere dunque collegati anche alla scoperta delle strutture metallorganiche, premiata quest'anno con il Nobel per la chimica. La scoperta è avvenuta grazie agli studi di Susumu Kitagawa, oggi all'Università di Kyoto, in Giappone, di Richard Robson, all'Università di Melbourne in Australia, e di Omar M. Yaghi, all’Università della California a Berkeley, negli Stati Uniti. Le strutture metallorganiche (Metallic Organic Framework o MOF, in inglese) possono infatti essere usate per separare i cosiddetti PFAS dall’acqua e per filtrare alcuni inquinanti dall’aria, entrambi fattori di rischio per lo sviluppo di diversi tipi di neoplasie.

  • Camilla Fiz

    Scrive e svolge attività di ricerca nell’ambito della comunicazione della scienza. Proviene da una formazione in comunicazione della scienza alla SISSA di Trieste, in biotecnologie molecolari all’Università degli studi di Torino e in pianoforte al Conservatorio Giuseppe Verdi della stessa città. Oggi è PhD student in Science, Technology, Innovation and Media studies presso l’Università di Padova e collabora con diversi enti esterni. Il suo sito: https://camillafiz.wordpress.com/