Ultimo aggiornamento: 15 settembre 2025
Il trattamento dei linfomi, in particolare di quelli di Hodgkin, ma anche i non-Hodgkin, rappresenta uno dei maggiori successi dell’oncologia degli ultimi decenni.
Tra i pazienti che hanno ricevuto diagnosi di linfomi si registrano le più alte percentuali di sopravvivenza a lungo termine e di possibilità di guarigione, grazie a terapie farmacologiche sempre più mirate ed efficaci, che hanno migliorato le prospettive anche nei casi più aggressivi della malattia.
I linfomi sono tumori del sistema linfatico, dovuti alla proliferazione incontrollata dei linfociti, cellule del sistema immunitario deputate alla difesa dell’organismo prevalentemente contro virus e batteri. Nella maggior parte dei casi la malattia si manifesta nei linfonodi, anche se può coinvolgere anche altri tessuti e organi, tra cui per esempio l’intestino. Un sintomo tipico è l’ingrossamento dei linfonodi (in particolare nella zona del collo), anche se non è automaticamente indice di tumore: in circa l’80% dei casi un linfonodo ingrossato è dovuto a un’infezione o a cause diverse da un tumore. Altri sintomi includono febbre serotina (che si presenta alla sera), calo del peso anomalo e sudorazione notturna.
Scopriamo a che punto è la ricerca su questi tipi di tumore, in occasione della Giornata mondiale per la consapevolezza sul linfoma, che ricorre il 15 settembre.
I linfomi si suddividono in due grandi categorie: i linfomi di Hodgkin e i linfomi non-Hodgkin.
Tra i due tipi, i linfomi di Hodgkin sono i meno comuni, rappresentando circa 1 linfoma ogni 10. Derivano dalla proliferazione incontrollata dei linfociti B, un particolare tipo di globuli bianchi. Colpiscono maggiormente le persone con meno di 40 anni, anche se si osserva un ulteriore picco di incidenza intorno ai 70 anni. Nei Paesi industrializzati, compresa l’Italia, l’incidenza annuale è di circa 3-4 casi ogni 100.000 abitanti, con una lieve prevalenza nel sesso maschile. La buona notizia è che oggi, grazie all’efficacia delle terapie disponibili, nel nostro Paese la sopravvivenza dei pazienti a 5 anni dalla diagnosi si attesta quasi al 90% (85% negli uomini e 87% nelle donne).
I linfomi non-Hodgkin (LNH) rappresentano circa 9 diagnosi di linfoma su 10 e possono coinvolgere linfociti B, linfociti T o cellule NK. La maggior parte dei casi (80-85%) deriva però dai linfociti B, mentre il 15-20% dai linfociti T e solo raramente dalle cellule NK. Si tratta di un tipo di tumore eterogeneo per comportamento: alcune forme sono indolenti, a crescita lenta, mentre altre sono più aggressive. Colpiscono prevalentemente persone di mezza età o anziane, con un’incidenza di circa 20 casi ogni 100.000 abitanti, simile tra uomini e donne. In Italia, i linfomi non-Hodgkin rappresentano circa il 3% di tutte le neoplasie, posizionandosi tra i primi 10 tipi di tumore più frequenti. Grazie alle terapie sviluppate negli ultimi anni, le prospettive di cura sono molto migliorate: la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi ha raggiunto circa il 67% negli uomini e il 70% nelle donne. Tuttavia, per alcune forme indolenti a cellule B la sopravvivenza a 5 anni supera il 90%.
Le cause esatte dei linfomi restano ancora in parte da comprendere. Tuttavia, sono noti alcuni fattori di rischio, tra cui l’età, il sesso e alcune infezioni virali o batteriche, così come certe malattie croniche.
Tra i fattori di rischio più significativi troviamo una precedente infezione con il virus di Epstein-Barr (EBV): si stima che addirittura un terzo dei casi di linfoma di Hodgkin sia collegato all’infezione da EBV. Per questo alcuni scienziati stanno studiando i meccanismi alla base del virus di Epstein-Barr per contrastare i linfomi. Per esempio, un gruppo di ricercatori dell’Università “La Sapienza” di Roma ha osservato che l’EBV interferisce con la risposta del sistema immunitario contro le cellule tumorali, inducendo un aumento del microRNA-24, una piccola molecola che riduce i livelli di ICOSL, una proteina fondamentale per attivare i linfociti T. Si tratta di un meccanismo che permette alle cellule di linfoma di sfuggire alla sorveglianza immunitaria e che potrebbe essere un nuovo potenziale bersaglio terapeutico per contrastare i linfomi associati all’EBV. L’articolo è stato pubblicato nel 2024 sulla rivista Blood.
Ricevere una diagnosi di linfoma oggi è ben diverso da vent’anni fa. Gli approcci di cura della malattia sono infatti sempre di più e, a seconda del paziente, del sottotipo e dello stadio del tumore, permettono sempre più di non ricorrere al trapianto di midollo, aumentando le possibilità di guarigione anche in stadio avanzato.
Tra le nuove opzioni, un ruolo centrale è assunto dalle terapie a base di cellule CAR-T. La tecnica prevede di modificare geneticamente linfociti T estratti dal paziente, affinché esprimano il recettore chimerico antigenico (CAR). Così, una volta reinfusi nell’organismo, i linfociti T modificati sono in grado di riconoscere e distruggere le cellule tumorali. Si tratta di un tipo di terapia che è efficace anche in alcuni pazienti con linfoma non-Hodgkin aggressivo che in passato era possibile trattare solo con chemioterapia ad alte dosi seguita da trapianto autologo di midollo osseo, un’opzione praticabile solo in pochi casi e con importanti effetti secondari.
Tra i trattamenti innovativi approvati negli ultimi anni spiccano anche diversi anticorpi monoclonali. Contro il linfoma di Hodgkin, per esempio, è stato recentemente introdotto un anticorpo che riconosce l’antigene CD30 sulle cellule malate e potenzia così la chemioterapia. Nel trattamento dei linfomi non-Hodgkin sono già disponibili nuove classi di anticorpi terapeutici: gli anticorpi monoclonali anti-CD20, come il rituximab, che riconoscono selettivamente il bersaglio CD20 espresso sulle cellule B e ne inducono la distruzione; gli anticorpi bispecifici, che fungono da “ponte” tra i linfociti T del paziente e le cellule tumorali; e gli anticorpi immuno-coniugati, che veicolano agenti citotossici direttamente all’interno delle cellule tumorali. Questi approcci hanno dimostrato sicurezza ed efficacia in vari sottotipi di LNH e sono già parte delle terapie disponibili in Italia.
Diverse potenziali nuove terapie sono in fase di sperimentazione. Tra gli obiettivi principali c’è lo sviluppo di cure più precise e mirate a caratteristiche specifiche dei tumori, per ottimizzare il trattamento di ogni paziente. Per esempio, nel caso del linfoma di Hodgkin a predominanza linfocitaria si sta valutando l’uso del rituximab.
Cristina Da Rold