Radiazioni ionizzanti e cancro

Le radiazioni ionizzanti possono danneggiare il DNA delle cellule e alterare l’ambiente che le circonda. Da queste trasformazioni può prendere il via il processo che porta allo sviluppo di un tumore.

Ultimo aggiornamento: 20 marzo 2020

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Le radiazioni ionizzanti sono un fattore di rischio riconosciuto per l’insorgenza del cancro. Sono in grado di indurre lo sviluppo di ogni forma di tumore, anche se tra l’esposizione alle radiazioni e l’insorgenza della malattia possono trascorrere molti anni, e varia da tumore a tumore.

La sensibilità alle radiazioni varia da organo a organo. Il midollo osseo e la tiroide sono quelli maggiormente soggetti alla trasformazione indotta dalle radiazioni, per questo alcune forme di leucemia e il cancro della tiroide sono le neoplasie che si verificano più frequentemente e più precocemente nelle persone esposte a radiazioni ionizzanti.

Molto di quel che oggi sappiamo sul rapporto tra radiazioni ionizzanti e cancro deriva da studi condotti su persone sopravvissute alle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki (RER, Radiation Effects Research). Poiché si trattò di condizioni molto particolari, per lungo tempo è stato difficile comprendere se quelle conclusioni potessero essere applicate anche a livelli di esposizione più comuni. Diversi studi hanno ormai confermato che anche bassi livelli di esposizione possono dare origine alle trasformazioni delle cellule che portano allo sviluppo del cancro. La quantificazione di questo rischio, tuttavia, è molto complessa: dipende infatti da diversi fattori, come la dose a cui si è esposti e la durata dell’esposizione, il tipo di radiazione, le aree del corpo irradiate e l’età in cui si è entrati in contatto con le radiazioni.

In generale oggi è noto che:

  • il rischio di cancro aumenta al crescere della dose di radiazioni a cui si è esposti. Inoltre non è possibile determinare una dose al di sotto della quale l’aumento del rischio di sviluppare un tumore si azzeri;
  • per la maggior parte dei tumori indotti da radiazioni ionizzanti, le probabilità di ammalarsi sono maggiori se vi si è esposti da bambini e diminuiscono al crescere dell’età, anche perché non si ha il tempo di sviluppare il tumore. Questo vale allo stesso modo per l’esposizione durante la vita fetale, che determina un rischio più alto rispetto all’esposizione in età adulta;
  • i tumori solidi associati all’esposizione a radiazioni impiegano molto tempo per svilupparsi. Le leucemie sono il tipo di cancro che insorge più rapidamente (anche dopo pochi anni), mentre i tumori solidi impiegano diversi decenni;
  • il rischio di sviluppare una neoplasia come conseguenza dell’esposizione a radiazioni ionizzanti è diverso tra le leucemie e gli altri tumori del sistema emolinfopoietico (come alcuni linfomi) e quelli solidi. In particolare:
    • i tumori del sangue sono più frequenti: la leucemia mieloide acuta è quella che ha maggiori probabilità di svilupparsi, mentre sembra che le radiazioni abbiano un effetto minore sul rischio di ammalarsi di leucemia linfoblastica cronica, linfomi non Hodgkin e mieloma multiplo;
    • se si esclude il tumore della tiroide, in particolare con carenza di iodio, il rischio di sviluppare tumori solidi dopo esposizione alle radiazioni è più basso rispetto a quelli del sangue. L’entità del rischio è però strettamente connessa al tipo di esposizione, all’area irradiata e alla dose di radiazione cui si è stati esposti.

Che cosa sono le radiazioni ionizzanti

In natura l’energia emessa da una fonte è definita radiazione. Sono radiazioni il calore sprigionato dalla resistenza di un forno tradizionale, le onde di un forno a microonde, la luce visibile, le onde radio, ma anche i raggi X impiegati per esempio per una radiografia, o i raggi gamma impiegati in esami diagnostici come la PET o emessi da alcuni elementi radioattivi.

Le radiazioni si diffondono sotto forma di onde elettromagnetiche o di particelle subatomiche (è il caso delle particelle alfa e beta emesse da materiali radioattivi). A distinguerne i diversi tipi sono le caratteristiche dell’onda attraverso cui si propagano, in particolare la lunghezza e la frequenza: le onde a maggiore lunghezza e minore frequenza trasportano meno energia; viceversa, quelle corte e a maggiore frequenza trasportano più energia.

Le radiazioni ionizzanti rappresentano una piccola parte di questo ampio spettro di radiazioni e sono quelle a maggiore energia. Proprio per questa caratteristica sono in grado di interagire con la struttura atomica della materia rimuovendo elettroni che orbitano intorno al nucleo e conferendo all’atomo una carica elettrica (ionizzandoli). Le radiazioni ionizzanti sono le sole considerate cancerogene, perché la capacità di ionizzare la materia fa sì che possano interagire anche con i tessuti degli esseri viventi.

Fanno parte delle radiazioni ionizzanti i raggi X, quelli gamma, le particelle alfa e le particelle beta. Anche una limitata porzione di raggi ultravioletti (quelli più vicini per lunghezza d’onda ai raggi X, provenienti dal Sole o da altre fonti) ha proprietà ionizzanti.

Dall’esposizione al cancro

Il DNA contiene le istruzioni per il corretto funzionamento dell’organismo ed è fondamentale che l’informazione in esso contenuta venga trasferita senza errori dalla cellula madre alla cellula figlia. Per questo l’integrità della sua struttura è salvaguardata da sofisticati meccanismi di riparazione.

Il DNA, però, è molto sensibile agli effetti esercitati dalle radiazioni ionizzanti. Esse possono infatti rompere i filamenti di DNA o indurre cambiamenti nella sua struttura, modificando l’informazione in esso contenuta. Inoltre possono alterare l’ambiente cellulare (per esempio l’acqua contenuta dentro o fuori le cellule) e dare vita a radicali liberi, composti altamente reattivi che possono a loro volta dare origine a molecole dannose per le cellule.

In questo caso può succedere che la cellula:

  • muoia;
  • ripari efficacemente se stessa;
  • subisca alterazioni che non vengono riparate correttamente e originano quindi mutazioni.

Il cancro può essere la conseguenza di quest’ultimo tipo di danni.

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Il problema della dose

Gli effetti biologici delle radiazioni ionizzanti sono maggiori al crescere della dose a cui si è esposti, e quindi dell’energia che si deposita nei tessuti. La dose assorbita dai tessuti viene misurata in Grays (Gy), mentre l’unità di misura impiegata per misurare l’effetto biologico delle radiazioni è il Sievert (Sv). I possibili effetti delle radiazioni ionizzanti sono di due tipi:

  • A dosi elevate si osservano effetti definiti deterministici. Significa che, al di sopra di specifici valori di esposizione che dipendono dal tipo di radiazione e dalla parte del corpo irradiata, c’è la certezza che si verifichino. La gravità degli effetti deterministici dipende dalla dose a cui si è esposti. Alcuni possibili effetti deterministici dell’esposizione a radiazioni ionizzanti sono eritemi, necrosi cutanea, perdita dei capelli e dei peli, cataratta, sterilità, fino alla morte. Un’esposizione a dosaggi particolarmente elevati provoca la sindrome acuta da radiazioni, con danni al midollo osseo, alle mucose intestinali e al sistema nervoso centrale. Per esempio si stima che nel caso del disastro nucleare di Černobyl’, tra i circa 1.000 soccorritori intervenuti subito dopo l’incidente, 28 siano morti nei mesi successivi per i danni causati dalle radiazioni.
  • A dosi più basse le radiazioni producono invece effetti definiti stocastici, ossia effetti probabilistici che non si verificano con certezza; le probabilità che avvengano aumentano al crescere della dose e dalle volte in cui si è esposti a radiazioni. Non è nota, e probabilmente non vi è, una soglia minima al di sotto della quale gli effetti non si verificano. Il più comune effetto stocastico dell’esposizione a radiazioni ionizzanti è il cancro.

Le fonti di esposizione

Le radiazioni ionizzanti non sono qualcosa di estraneo alle nostre vite. Siamo quotidianamente esposti a una dose di radiazioni definita “fondo naturale di radiazione” proveniente dall’ambiente che ci circonda (radiazione cosmica e del suolo). Altre fonti di esposizione possibili sono le radiazioni prodotte dall’uomo per scopi non medici e quelle per scopi medici.

Fondo naturale di radiazione

Il fondo naturale di radiazione è la maggiore fonte di radiazioni ionizzanti a cui siamo esposti. È vero che le altre fonti possono produrre picchi più elevati, ma questi restano limitati nel tempo e nello spazio. Il fondo naturale di radiazione è invece una presenza costante nelle nostre vite e proprio per questo non è possibile sapere se ha effetti sulla salute, dato che non c’è nessuno che non è esposto e che possa essere usato quale controllo in uno studio. In media ogni essere umano è esposto a circa 2,4 millisievert (mSv) all’anno, l’equivalente di 100 radiografie del torace. L’entità dell’esposizione varia però notevolmente a seconda della zona in cui si vive.

Il fondo naturale di radiazione deriva da diverse fonti:

  • i raggi cosmici, particelle radioattive che arrivano direttamente dallo spazio, emesse dal sole e dalle altre stelle. L’atmosfera terrestre blocca una parte di queste radiazioni, ma alcune riescono ad arrivare al suolo. Poiché però si disperdono gradualmente, una volta superata l’atmosfera, le radiazioni trasportate dai raggi cosmici sono maggiori ad altitudini elevate. Per la stessa ragione si è più esposti ai raggi cosmici quando si sta viaggiando in aereo.
  • le radiazioni emesse dalla Terra: nel suolo terrestre sono presenti numerosi elementi radioattivi la cui diffusione può variare di zona in zona. Piccole quantità di queste radiazioni possono raggiungere gli esseri umani attraverso l’aria, il cibo e l’acqua. La fonte di radiazione terrestre più importante per la salute umana è il radon, un gas radioattivo inodore e incolore generato dal decadimento dell’elemento chimico radio. Il radon si trova in particolari terreni e rocce, ma può insinuarsi negli edifici e negli ambienti chiusi e raggiungere concentrazioni tali da rappresentare un rischio, specie per le persone che trascorrono molto tempo al piano più basso, dove tende ad accumularsi. In Italia l’esposizione è concentrata in alcune zone delle Alpi e degli Appennini dove, se si abita al piano terra senza cantina, occorre installare dei piccoli tubi di scarico verso l’esterno al pavimento delle stanze.
    Quando inalato, il radon si deposita sulle pareti dell’apparato respiratorio e da qui irraggia le cellule dei bronchi. In tal modo può dare luogo alle trasformazioni cellulari che portano allo sviluppo del tumore del polmone. Si stima che il radon sia responsabile di una percentuale che va dal 3 al 14 per cento di tutti i tumori polmonari.
    Da alcuni studi è emerso inoltre che l’esposizione al radon potrebbe essere associata ad altri tipi di cancro, per esempio la leucemia, in particolare nei bambini. Tuttavia sono necessari ulteriori ricerche per confermare questo rapporto.

Le radiazioni prodotte dall’uomo

Da circa un secolo gli esseri umani sono in grado di sfruttare le proprietà delle radiazioni ionizzanti. Gli impieghi principali sono la produzione di armi e di energia.

  • Armi nucleari. Quando si parla di armi nucleari il pensiero va alle bombe sganciate nella seconda guerra mondiale su Hiroshima e Nagasaki, che esposero centinaia di migliaia di persone a raggi X, raggi gamma e neutroni. Centinaia di migliaia di persone morirono a causa delle ustioni e della sindrome acuta da radiazioni; tra i sopravvissuti fu riscontrato un aumento dell'1 per cento circa dell'incidenza di diverse forme di tumore (leucemia, mieloma multiplo, cancro della tiroide, della vescica, del seno, del polmone, delle ovaie, del colon, dell’esofago, dello stomaco, del fegato, linfomi, tumori della pelle) per un totale cumulativo di un migliaio di decessi in più rispetto alla norma. Le bombe di Hiroshima e Nagasaki, però, hanno contribuito soltanto per una minima parte alla produzione umana di radiazioni ionizzanti. La maggiore fonte di radiazioni disperse nell’ambiente dagli esseri umani è rappresentata dai test sulle armi atomiche, specie quelli realizzati in atmosfera.
    Fino al 1963, quando i test nucleari in atmosfera furono vietati (alcuni Stati hanno continuato però fino agli anni Ottanta), ne sono stati effettuati oltre 500. Ogni test nucleare ha disperso nell’atmosfera e poi al suolo (con quello che viene richiamato “fall-out” nucleare) consistenti quantità di materiali radioattivi che si sono diffusi su migliaia di chilometri quadrati. Si stima che ancora oggi in tutto il mondo la contaminazione radioattiva conseguente a quei test sia una fonte di esposizione per gli esseri umani a causa dei lunghi tempi di decadimento di alcuni elementi utilizzati. Gli effetti sulla salute delle popolazioni esposte sono difficilmente quantificabili.
    Un rapporto realizzato dai Centers for Disease Control and Prevention e dal National Cancer Institute statunitensi su mandato del Senato USA ha stimato che il fall-out radioattivo dei test in atmosfera sarebbe responsabile nei soli Stati Uniti di circa 11.000 morti per cancro dagli anni Settanta al 2000. Un numero comunque esiguo rispetto ai milioni di decessi per tumori registrati nello stesso periodo.
  • Centrali nucleari. Le emissioni di radiazioni dagli impianti di produzione di energia basati sullo sfruttamento di reazioni nucleari sono attentamente monitorate e controllate. La dispersione di radioattività nell’ambiente è trascurabile, tuttavia malfunzionamenti degli impianti o incidenti possono causare grandi perdite di radiazioni ionizzanti nell’ambiente. È ciò che avvenne nel 1986 a Černobyl’, in Ucraina, il più grave incidente mai verificatosi in una centrale nucleare: milioni di persone furono esposte a radiazioni, sia direttamente sia tramite il contatto con suolo e acque contaminate. Le persone che affrontarono l’emergenza furono quelle maggiormente esposte: 28 morirono nei mesi immediatamente successivi per sindrome da radiazione acuta. Negli anni successivi si sono registrati circa 4.000 casi di tumore alla tiroide, eccetto in Polonia dove furono tempestivamente distribuite compresse di iodio alla popolazione nella popolazione che all’epoca del disastro aveva meno di 18 anni. Nel 2011 fu il Giappone a essere vittima di un disastro nucleare conseguente a un terremoto e successivo tsunami. La centrale nucleare di Fukushima risultò danneggiata e circa 170.000 persone furono esposte alle radiazioni, in dosi però molto basse. Per prevenire lo sviluppo di tumori della tiroide, le autorità hanno disposto la somministrazione profilattica di ioduro di potassio che impedisce alla tiroide di assimilare lo iodio-131, la sostanza radioattiva che provoca il cancro.
    Due analisi successive dell’Organizzazione Mondiale della Sanità hanno concluso che non si sono verificati decessi dovuti all’esposizione acuta da radiazioni. Inoltre, valutati i livelli di esposizione della popolazione, l’aumento del rischio di sviluppare tumori diversi da quello della tiroide nel corso della vita è trascurabile. Per quel che riguarda il rischio di tumore alla tiroide, invece, è probabile che l’aumento del rischio non sia trascurabile.

 

L’esposizione medica

Le radiazioni ionizzanti sono impiegate in medicina in tre aree:

  • in radiologia diagnostica, per eseguire indagini diagnostiche utilizzando strumentazioni che sfruttano i raggi X per ottenere immagini del paziente;
  • in radioterapia, sfruttando le proprietà delle radiazioni per colpire e uccidere le cellule tumorali;
  • in medicina nucleare, introducendo sostanze radioattive nel paziente per la diagnosi (per esempio di tumori o malattie neurologiche) o il trattamento (per esempio per l’ipertiroidismo e alcuni tipi di cancro).

Le radiazioni ionizzanti impiegate in tutte e tre le attività aumentano le probabilità di sviluppare il cancro, ma la maggior parte delle procedure comporta un incremento del rischio molto basso. In ogni caso, il rischio derivante da queste procedure va sempre comparato con i benefici attesi.

Radiologia diagnostica

Negli ultimi decenni, la diffusione di indagini diagnostiche che necessitano di utilizzare elevate dosi di radiazioni ionizzanti (in particolare la TC) è cresciuta notevolmente. Ciò ha consentito di giungere a diagnosi più affidabili e spesso precoci, aumentando le probabilità di guarigione. Tuttavia ha anche posto il problema degli effetti dell’esposizione ripetuta alle radiazioni ionizzanti.

Calcolare l’aumento del rischio di sviluppare un tumore dovuto all’esposizione a radiazioni per test diagnostici è difficile. La quantità di radiazioni varia a seconda del test; anche il tipo di macchina utilizzata, la dimestichezza dell’operatore che esegue l’esame e la durata possono influenzare la quantità di radiazioni.

Ciò non toglie che lo svolgimento di un numero elevato di esami nel corso della vita possa contribuire in maniera significativa a rendere più probabile lo sviluppo di un tumore. È perciò importante eseguire esami diagnostici che prevedano l’utilizzo di radiazioni ionizzanti (quali la TC) soltanto quando è realmente necessario e scegliere, laddove è possibile, l’esame che comporta la minore esposizione possibile.

Queste considerazioni sono particolarmente importanti in età pediatrica. I bambini infatti:

  • sono più sensibili degli adulti alle radiazioni;
  • hanno un’aspettativa di vita più lunga degli adulti e perciò eventuali mutazioni indotte dalle radiazioni hanno più tempo per evolvere in tumori;
  • possono essere esposti, in proporzione, a più alti livelli di radiazioni se i dispositivi non sono appositamente tarati.

Per questo è importante per i bambini ancora più che per gli adulti eseguire TC e radiografie solo quando veramente necessario prediligendo, quando è possibile, test che non prevedano l’utilizzo di radiazioni ionizzanti (per esempio la risonanza magnetica).

Radioterapia

Le radiazioni ionizzanti sono un modo efficace per trattare alcune forme di tumore. Vengono indirizzate direttamente contro la massa tumorale e, danneggiando le cellule tumorali, ne impediscono la proliferazione. La radioterapia prevede l’utilizzo di radiazioni ionizzanti in dosaggi migliaia di volte più alti rispetto a quelli usati per la diagnosi. Esiste un basso rischio che il suo uso produca mutazioni nel DNA delle cellule sopravvissute, tali da dare vita, successivamente, a un nuovo tumore. Tuttavia, i benefici derivanti dal trattamento superano ampiamente i rischi.

Le probabilità di sviluppare un tumore dopo l’esposizione a radioterapia dipendono da diversi fattori:

  • l’area irradiata (il midollo osseo, il seno e la tiroide sono gli organi più sensibili);
  • i dosaggi e la durata dei trattamenti;
  • l’età del paziente (i bambini sono a maggior rischio di sviluppare un tumore solido).

I tumori più frequentemente associati alla radioterapia sono diverse forme di leucemia, la cui insorgenza è legata all’irradiamento del midollo osseo.

Per quel che concerne i tumori solidi, invece, i maggiori rischi sono legati al tumore del seno e della tiroide.

Medicina nucleare

I radiofarmaci sono sostanze radioattive che, legate a una molecola trasportatrice, possono essere introdotte nel corpo (solitamente per via endovenosa) e usate, attraverso una macchina, per rilevare dove si distribuisce la radioattività in organi o tessuti. La medicina nucleare permette infatti di osservare come il radiofarmaco si distribuisce nell’organismo e identificare precocemente eventuali alterazioni.

Esami comuni effettuati con la medicina nucleare sono la scintigrafia e la PET-TC, che fornisce informazioni sia anatomiche sia sulla funzionalità dei tessuti. Per esempio, sapendo che un cancro consuma più glucosio delle cellule sane, si può somministrare al paziente un composto radioattivo del glucosio e tracciarne la distribuzione nell’organismo. È così possibile non solo localizzare il tumore ma anche valutarne lo stadio.

In terapia, invece, i radiofarmaci sono usati soprattutto nel trattamento dell’ipertiroidismo e di alcune forme di cancro, come le metastasi ossee.

Il radiofarmaco, di solito a breve emivita, viene eliminato velocemente dall’organismo e perde in breve tempo la sua radioattività; inoltre, di solito la dose di radiazioni emessa durante l’esame è limitata. L’esposizione alla radiazione dipende comunque dal tipo e dalla quantità del tracciante utilizzato. Sebbene si tratti solitamente di dosi minime, è bene evitare la diagnosi e i trattamenti con radiofarmaci in caso di gravidanza.

  • Antonino Michienzi