Ultimo aggiornamento: 18 settembre 2023
Stefania ha affrontato un tumore al seno con tutte le sue ricadute ed effetti collaterali, ma, grazie anche al sostegno dei suoi cari, ha continuato a vivere la sua quotidianità, credendo sempre di più nei progressi della ricerca.
Stefania è una giornalista in pensione, sposata con una figlia grande. Con regolarità ogni due anni aveva l’abitudine di svolgere la mammografia, ma a un certo punto venne informata che alcune calcificazioni, già identificate alla precedente ecografia, avevano cambiato aspetto. “Sarebbe meglio indagare” si sentì dire dal dottore. A luglio 2008, viene sottoposta all’analisi istologica presso l’Istituto nazionale tumori di Milano, poi a un breve intervento in day hospital. Alla fine di tutto Stefania riceve un duro responso: le calcificazioni sono molto estese, occorre asportare la mammella e ricostruire. C’è però una buona notizia, l’analisi del linfonodo sentinella ha dato esito negativo, per cui non è necessario effettuare lo svuotamento ascellare, ovvero la rimozione di tutti i linfonodi presenti nell’ascella. Le viene inserito un expander, una sorta di palloncino gonfiabile, necessario per lasciar dilatare la pelle in attesa della protesi al seno definitiva, che sarà applicata a fine settembre.
Il primo anno Stefania si reca in ospedale per i controlli ogni tre mesi. Nel tempo gli esami si diradano, diventano uno ogni sei e poi uno all’anno. Il tempo passa, sembra tutto risolto. Inizia a sentirsi fuori pericolo e guarita, ma nel 2013, qualcosa non va come previsto. Allo stesso seno operato 5 anni prima, sente un nodulo, ha una recidiva. È il primo febbraio, viene sottoposta immediatamente a un esame istologico, seguito dall’intervento chirurgico, la rimozione dei linfonodi, la terapia ormonale e i controlli ogni 6 mesi. Nonostante le difficoltà, la vita va avanti, ma nel 2019 Stefania avverte dei dolori intercostali. Da analisi di verifica, si scopre che ha un cancro invasivo con molte metastasi. Le cure questa volta cambiano, si deve sottoporre a 6 mesi di chemioterapia e poi all’immunoterapia, che segue tuttora. “Questa sarà la mia cura per la vita, ogni tre settimane mi trovo in ospedale. Oramai ci conosciamo tutti e tra pazienti ci raccontiamo la nostra quotidianità da malati, che alla fine è una vita normale” racconta Stefania: “Certo ci sono degli effetti collaterali, giornate più o meno buone, ma io sono sempre riuscita a lavorare. Basta imparare a fermarsi quando serve.”
È inevitabile però che la sua vita sia cambiata da quando si è presentata la malattia: “Oggi do un’importanza diversa a ciò che succede, perché ho cambiato la mia scala di priorità.” Anche se affrontare questi anni non è stato facile, Stefania non si è mai sentita sola: “Ho avuto accanto mio marito, mia figlia e le amiche, ammetto di essere stata fortunata”. Sente, però, di non dover ringraziare soltanto chi le è stato vicino, ma anche i progressi nel campo della medicina e della scienza. “Credo nella prevenzione e nella ricerca. Se non ci fossero state, non sarebbe stato possibile effettuare una ricostruzione immediata del seno. Si tratta di un fattore importante che aiuta a guardarsi, accettarsi e reagire meglio al corso degli eventi”, racconta Stefania. “La ricerca è vita, e se diventa qualcosa di concreto è anche grazie ad AIRC, che per me rimane una sicurezza.”