Cervelletti in miniatura, ad alta definizione, per studiare l’origine dei tumori

Cervelletti in miniatura, ad alta definizione, per studiare l’origine dei tumori

Cerco di ricostruire in laboratorio tumori umani del cervelletto in tre dimensioni, tentando di riprodurre l’originale con la massima fedeltà possibile. In estrema sintesi è così che si può riassumere il mio lavoro al CIBIO di Trento, nell’Armenise-Harvard Laboratory of Brain Disorders and Cancer diretto dal professore Luca Tiberi.

È stato l’incontro con Luca a portarmi qui: mi trovavo a Strasburgo, all’Institut de génétique et de biologie moléculaire et cellulaire (IGBMC) per la mia tesi di laurea. Lui stava per avviare il suo nuovo laboratorio a Trento. Era il 2016 e ho deciso di raggiungerlo. Ho fatto qui il mio dottorato vedendo crescere questo gruppo di ricerca, e a questo punto posso dire che è stata una scommessa vinta: il laboratorio è diventato uno dei centri di eccellenza per la produzione di simulazioni di organoidi di parti di cervello in miniatura, usati per studiare diverse patologie, tra cui i tumori.

La tecnologia degli organoidi è uno dei più importanti progressi della ricerca degli ultimi anni. Consente di disporre di una quantità potenzialmente infinita di combinazioni di cellule e tessuti in tre dimensioni con cui studiare in laboratorio la malattia e sperimentare potenziali cure. Soprattutto, permette di riprodurre ciò che succede nell’organismo umano un po’ più fedelmente che con le sole cellule in coltura. Il nostro approccio prevede l’uso di cellule staminali pluripotenti indotte, vale a dire cellule riprogrammate, capaci di generare tutti i tessuti del corpo umano.

È partendo da queste cellule che generiamo i nostri organoidi, applicando loro le alterazioni genetiche note che caratterizzano il tumore del paziente.

È un po’ come avviene quando si configura e si personalizza un’auto: in base agli accessori scelti, cambiano le funzionalità del prodotto finale. Analogamente noi selezioniamo le caratteristiche che vogliamo studiare dei tumori umani e le inseriamo negli organoidi.

La fedeltà dell’organoide all’organo o al tumore che cerchiamo di riprodurre è controllata, tra le altre cose, studiando il profilo di metilazione del DNA. Si tratta di un metodo che permette di fare una sorta di identikit del DNA e che è possibile effettuare soltanto con organoidi di origine umana. In tal modo riproduciamo la parte di tessuto o organo con un livello di fedeltà all’originale difficilmente raggiungibile con animali di laboratorio.

Grazie a questa strategia siamo in grado di studiare, per esempio, la genesi del tumore o le sue potenziali vulnerabilità a molecole specifiche per ciascuna forma tumorale.

Il mio progetto prevede l’utilizzo di questa strategia per riprodurre diversi aspetti del medulloblastoma, un tumore maligno del cervelletto che colpisce soprattutto i bambini. Più correttamente si dovrebbe parlare di ‘tumori’ al plurale perché ne esistono diverse forme. Io mi concentrerò su una di esse, quella chiamata Sonic Hedgehog e che a sua volta ha almeno quattro diverse varianti. Soltanto conoscendo nel dettaglio ciascuna di esse possiamo sperare di identificare trattamenti mirati e precisi.

È un lavoro entusiasmante, ma impegnativo. Che non lascia molto tempo libero: qualche camminata, un po’ di basket, qualche gita fuori porta che talvolta non manca di riservare sorprese. Qualche tempo fa, per esempio, durante le festività natalizie avevo pochissimo tempo per tornare nella mia Sicilia e così ho deciso di passare un paio di giorni a Innsbruck in Austria. Alla frontiera al Brennero, il treno si fermò per un guasto e fummo costretti a scendere. Nell’attesa mi misi a chiacchierare con una persona un po’ in là con gli anni. Mi raccontò che era tedesco, che veniva spesso in Italia e mi chiese un po’ di me, mostrandosi interessato al mio lavoro. “Sai, una volta anch’io avevo un laboratorio”, mi disse. Solo quando ormai ci eravamo salutati mi sono reso conto che avevo chiacchierato con Bert Sakmann, uno scienziato che nel 1992 aveva ricevuto il premio Nobel per la medicina per avere inventato la tecnica di “patch clamp” per lo studio dei canali ionici delle cellule.

Biografia

Nato a Palermo nel 1991, si è laureato in Biotecnologie all’Università di Palermo e ha poi conseguito la laurea specialistica in Biotecnologie molecolari e industriali all’Università di Bologna trascorrendo quasi un anno all’IGBMC di Strasburgo per la tesi di laurea. Si è trasferito quindi all’Università di Trento, presso il Dipartimento di Biologia Cellulare, Computazionale e Integrata (CIBIO), lavorando nel laboratorio Armenise-Harvard of Brain Disorders and Cancer diretto da Luca Tiberi. Sempre all’Università di Trento ha anche conseguito un dottorato di ricerca in Scienze biomolecolari e oggi è ricercatore post-doc al CIBIO. L’attività di ricerca di Giuseppe Aiello è sostenuta dalla borsa di studio FIRC-AIRC per l’Italia “Francesco Alicino”.

  • Giuseppe Aiello

  • Università:

    Università di Trento

  • Articolo pubblicato il:

    14 aprile 2022