Cos'è la ricerca scientifica in oncologia

Dal laboratorio alla cura: il percorso di una scoperta non è sempre lineare. Talvolta l'idea di una nuova terapia può nascere tra le provette, ma anche dall'osservazione dei pazienti.

La ricerca scientifica è una delle protagoniste della lotta quotidiana di medici e ricercatori per sconfiggere il cancro e in essa sono riposte le speranze di milioni di pazienti.

Cosa si intende con questo termine?

In linea generale, fare ricerca significa formulare un’ipotesi, quindi raccogliere informazioni, fare esperimenti e interpretarne i risultati, cercando di valutare se essi falsificano o meno tale ipotesi. Lo scopo è aumentare le conoscenze su un determinato argomento o problema, il cancro nel caso della ricerca oncologica, e le possibilità di intervenire su di esso.

La ricerca è un'attività che si basa su regole precise che consentono di arrivare, attraverso percorsi ben definiti, a un risultato affidabile, oggettivo e riproducibile. Si basa sul metodo scientifico, introdotto da Galileo Galilei, considerato il padre della scienza moderna.

La ricerca sul cancro comprende diverse aree, collegate tra loro e necessarie a raggiungere l’obiettivo di migliorare la prevenzione, la diagnosi, la prognosi e la terapia del tumore.

Questioni di obiettivi

Seguendo le regole e i principi del metodo scientifico, i ricercatori di tutto il mondo lavorano per trovare modi per prevenire i tumori, diagnosticarli precocemente, prevedere come si comporteranno e curarli più efficacemente e con minori effetti collaterali. La strada da percorrere in ogni ricerca è lunga e composta da molte tappe. Ne possiamo distinguere almeno cinque in base agli obiettivi dei ricercatori e al tipo di esperimenti e studi che vengono effettuati:

  • ricerca di base;
  • ricerca preclinica;
  • ricerca traslazionale;
  • ricerca clinica;
  • ricerca epidemiologica.

Questa suddivisione non è l'unica possibile, ma rappresenta abbastanza bene il percorso che porta dall'idea originale di un ricercatore fino ai risultati che possono concretamente aiutare le persone e i pazienti.

Grazie al prezioso contributo di tutti i propri sostenitori, Fondazione AIRC sostiene ogni giorno i ricercatori che operano, prevalentemente in Italia, nella ricerca oncologica, da quella di base a quella clinica, per rendere il cancro sempre più curabile.

La ricerca di base

La cosiddetta ricerca di base è quella guidata soprattutto dalla curiosità dei ricercatori, al fine di conoscere, per esempio, il meccanismo molecolare che sta sotto un particolare fenomeno biologico. È un tipo di ricerca che in genere inizia senza particolari fini applicativi ed è portata avanti sui banconi del laboratorio, tra provette e reagenti chimici. Grazie ai suoi risultati possiamo capire come funzionano, per esempio, i geni o le proteine che lavorano all’interno del nostro organismo.

La ricerca di base potrebbe sembrare lontana dai pazienti e dalle loro malattie, ma è in realtà un punto di partenza fondamentale per tutte le successive scoperte anche cliniche. Conoscere, per esempio, i meccanismi che regolano l’espressione dei geni e che a volte portano la cellula a trasformarsi in un tumore – tanto per fare un esempio concreto – è cruciale per contrastare in modo sempre più efficace e sicuro la comparsa del cancro e per creare nuovi farmaci mirati a bersagli precisi.

A volte questo tipo di ricerca riserva sorprese agli stessi scienziati. Non sono rari i casi nei quali si inizia a studiare una particolare molecola per scoprire in seguito che ha proprietà completamente diverse da quelle ipotizzate. Può, magari, essere utilizzata come bersaglio ideale di un farmaco già esistente. In oncologia sono molti i laboratori dedicati alla ricerca di base, alla quale viene riconosciuto un ruolo indispensabile per il progresso della scienza.

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La ricerca preclinica

Supponiamo che dalla ricerca di base arrivino le indicazioni per un nuovo bersaglio molecolare verso il quale indirizzare lo studio di farmaci contro il cancro. Prima di valutare gli effetti di una nuova cura negli esseri umani, i ricercatori devono verificarne l’efficacia e la sicurezza in cellule in coltura e animali di laboratorio. Gli esperti chiamano questa fase di studio ricerca preclinica, una tappa essenziale, richiesta anche per legge, prima di poter passare alla sperimentazione umana.

Questo tipo di ricerca può servire a valutare la sicurezza e l’efficacia non solo di un nuovo farmaco, ma anche di strumenti clinici o diagnostici innovativi, di nuove strategie per la somministrazione dei farmaci eccetera. I ricercatori che si occupano di ricerca preclinica portano avanti esperimenti in vitro, cioè in cellule in coltura, e in vivo, cioè con animali di laboratorio. L’utilizzo degli animali resta un passaggio imprescindibile anche per legge, per la messa a punto di qualunque cura. Negli ultimi anni questi approcci sono stati affiancati dai cosiddetti esperimenti in silico, in cui i ricercatori cercano di riprodurre al computer parte della complessità di un organismo vivente. Per quanto semplificati, queste simulazioni sono molto utili perché richiedono meno risorse e tempo di quelli sperimentali. Vengono così usati per svolgere test preliminari a quelli con cellule in coltura e animali di laboratorio, ad esempio per verificare le interazioni tra le molecole. Oppure sono utilizzati in seguito agli esperimenti, per elaborare le grandi moli di dati ottenute in laboratorio. Gli esperimenti condotti nelle fasi precliniche sono sottoposti a stretto controllo da parte delle autorità competenti. Per poter poi essere utilizzati come base per studi negli esseri umani, i risultati devono essere ottenuti seguendo regole ben precise, definite nelle linee guida internazionali come “Good Laboratory Practices”.

Non è possibile fare a meno della ricerca preclinica, poiché sulla base dei risultati ottenuti in questi studi vengono progettati le sperimentazioni traslazionali e cliniche che potrebbero portare all’approvazione di nuovi metodi di prevenzioni o di diagnosi, prognosi o terapia.

La ricerca traslazionale

In campo oncologico la ricerca traslazionale verifica la possibilità di trasformare le scoperte scientifiche che arrivano dal laboratorio in applicazioni cliniche per ridurre l'incidenza e la mortalità per cancro. Questa è solo una delle definizioni possibili per questo ramo della ricerca scientifica, che viene ben rappresentata dalla frase "dal bancone del laboratorio al letto dei pazienti" (in inglese, "from bench to bedside").

Si tratta, in altre parole, di costruire una sorta di ponte tra la scienza e la medicina, per poter utilizzare nel modo migliore le scoperte dei ricercatori. Il concetto non è nuovo, ma ha assunto un significato molto diverso negli ultimi anni: fin dalla metà del secolo scorso esisteva uno stretto legame tra ricerca di base e medicina, ma oggi le due discipline viaggiano a velocità molto diverse. La ricerca di base è incredibilmente veloce, produce risultati a ritmi molto rapidi. I tempi per portare questi risultati al letto dei pazienti sono invece piuttosto lunghi, a salvaguardia dei pazienti stessi, grazie a norme di legge che richiedono verifiche molto accurate prima che possa essere concessa l’approvazione da parte delle autorità competenti.

Per la ricerca traslazionale servono dunque esperti capaci di tradurre in pratica le scoperte della scienza di base, cercando le strategie migliori per poter utilizzare nei pazienti le ultime scoperte nel campo della genetica o della biologia molecolare. Nei laboratori di oncologia più all’avanguardia nascono centri specifici di ricerca traslazionale presso i quali lavorano persone capaci di camminare in equilibrio tra i due ambiti. Si tratta di ricercatori che conoscono la ricerca di base e allo stesso tempo hanno un’attenzione particolare per i pazienti e una grande capacità di comprendere le necessità di chi si prende cura di loro ogni giorno nella pratica clinica.

Come precisano gli esperti del settore, il ponte che collega scienza e medicina è a due sensi di marcia. Il percorso tradizionale prevede che le informazioni provenienti dal laboratorio vengano tradotte in strumenti utili da applicare ai pazienti, cioè alla pratica clinica di tutti i giorni. Ma non è raro che le informazioni o domande che arrivano dall’osservazione clinica stimolino i ricercatori a fare nuovi esperimenti in laboratorio.

La ricerca clinica

L’ultima fase di studio prima della richiesta di approvazione di un nuovo farmaco o di un nuovo tipo di trattamento è la ricerca clinica.

Si tratta di sperimentazioni che coinvolgono pazienti per valutare l’efficacia di una nuova molecola o di un nuovo trattamento, chirurgico o radioterapico. In genere sono a loro volta divise in quattro fasi. Le prime tre fasi sono necessarie a ottenere l’approvazione del nuovo trattamento alla commercializzazione e all’uso nei pazienti, mentre la quarta viene effettuata ad approvazione ottenuta, per cogliere effetti rari, osservabili soltanto su larghissima scala.

Tutte le persone che prendono parte agli studi clinici sono volontari tenuti a firmare un documento, il cosiddetto consenso informato. Questo autorizza i ricercatori a raccogliere i dati che riguardano i pazienti e che descrivono le reazioni al trattamento studiato. È importante sottolineare che le informazioni ottenute nel corso dello studio sono raccolte in forma anonima.

Può succedere che, durante il ricovero in ospedale, il medico chieda a un paziente di fare parte di uno studio clinico per sperimentare, per esempio, un nuovo farmaco da affiancare o sostituire alla chemioterapia tradizionale. Il paziente è libero di decidere e il medico è tenuto a fornire tutte le indicazioni necessarie per aiutarlo a effettuare una scelta consapevole, senza forzature o condizionamenti.

La ricerca epidemiologica

Gli studi di tipo epidemiologico esaminano la distribuzione e la diffusione di una malattia in una determinata popolazione, i fattori di rischio per la sua comparsa e la relazione con comportamenti, abitudini, esposizioni nel corso della vita.

Inoltre l'epidemiologia analizza l’efficacia degli esami preventivi e degli screening per la diagnosi precoce, valutando il rapporto tra costi e benefici. La struttura degli studi epidemiologici è simile a quella degli studi clinici. Si selezionano gruppi di persone da osservare (coorti), a volte in modo retrospettivo, andando a verificare l’effetto di comportamenti o fattori pregressi sullo stato di salute al momento dell'osservazione. A volte invece lo studio è prospettico: si raccolgono dati riferiti al momento corrente, per poi seguirne la successiva evoluzione nel tempo. Si effettuano anche studi in cui un gruppo di persone è, o è stato, esposto a una sostanza che si vuole studiare, mentre un secondo gruppo, di controllo, non è stato esposto.

Negli ultimi anni, in oncologia, hanno assunto sempre maggiore importanza gli studi di epidemiologia molecolare, in cui le analisi epidemiologiche sono messe in relazione con le caratteristiche genetiche degli individui.

  • Agenzia Zoe

  • Articolo pubblicato il:

    15 febbraio 2023