Trent'anni dopo è tempo di controlli

Ultimo aggiornamento: 23 gennaio 2020

Trent'anni dopo è tempo di controlli

Parla il coordinatore del Childhood Cancer Survivor Study, il più grande studio epidemiologico sulle persone guarite dal cancro in età pediatrica: bisogna mettere a punto protocolli per la sorveglianza nel tempo.

Sono guariti da un tumore pediatrico, magari da 20, 30 o più anni, ma invecchiando alcuni sviluppano altre malattie (e talvolta altri tumori) legate alle terapie che li hanno guariti e allungato loro la vita. Questo ci dicono gli studi sui cosiddetti sopravvissuti, i pazienti a cui la medicina ha regalato una vita adulta, non senza qualche impatto sulla salute in generale.

“Se oggi ci interroghiamo su come studiare e valutare gli effetti a lungo termine delle terapie anticancro è perché siamo riusciti a renderle efficaci” spiega Gregory Armstrong, epidemiologo del centro Epidemiology and Cancer Control del St. Jude Children’s Research Hospital di Memphis (negli Stati Uniti), coordinatore del Childhood Cancer Survivor Study (CCSS), uno degli studi più articolati sugli ex piccoli pazienti. “Il nostro studio, partito nel 1994, è un modello unico per la ricerca sugli effetti a lungo termine delle cure. Stiamo cercando di capire come dobbiamo analizzare le malattie dei sopravvissuti e quali aiuti e controlli dobbiamo offrire per minimizzare l’impatto potenzialmente negativo delle terapie che hanno contribuito a salvare loro la vita.”

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C’è voluto tempo perché gli oncologi si rendessero davvero conto della necessità di offrire una qualche forma di sorveglianza organizzata anche per coloro che si sono lasciati la malattia alle spalle da molti anni. Solo nel 2006, con un ampio studio i cui risultati sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine, gli esperti hanno scoperto che a
lungo termine gli effetti collaterali possono essere frequenti. E nel 2014 uno studio uscito sul Journal of Clinical Oncology calcolò che il 54 per cento dei sopravvissuti a un cancro pediatrico manifesta qualche malattia secondaria intorno ai 50 anni di età.

“Quelli che osserviamo oggi sono gli effetti delle prime cure oncologiche davvero efficaci, quelle di 20 o 30 anni fa. Abbiamo già qualche indizio del fatto che le terapie usate in anni più recenti sono probabilmente meno tossiche, ma ovviamente lo sapremo solo tenendo d’occhio con attenzione gli ex pazienti” prosegue Armstrong. “E all’orizzonte vi sono altre valutazioni da fare riguardo alle nuove terapie che agiscono sul sistema immunitario e di cui non abbiamo ancora tutti i dati a lungo termine. Questo vuol dire che bisogna sviluppare modelli di studio efficaci per questi pazienti, ma anche che non possiamo fermarci ai primi dati raccolti perché lo scenario è in continuo mutamento.”

Non cercare alla cieca

Il CCSS ha già indicato che il 22 per cento dei sopravvissuti nel gruppo che ha sotto osservazione sviluppa una neoplasia secondaria nel giro di 20 anni. Ma ha anche stabilito che questa informazione è di scarsa utilità se non si sa esattamente cosa andare a cercare.

“Per esempio, ci siamo accorti che l’incidenza di cancro al seno è più elevata tra le donne che hanno avuto un tumore pediatrico rispetto al resto della popolazione” spiega Armstrong. “Abbiamo fatto ulteriori analisi e scoperto che le donne trattate con antracicline, un tipo di chemioterapico, sono il gruppo maggiormente a rischio, insieme alle donne che si sono sottoposte a radioterapia del torace. Queste donne hanno un rischio analogo a quello delle portatrici di mutazioni dei geni BRCA, quindi suggeriamo di sottoporle agli stessi screening previsti per queste ultime: mammografi a o, meglio, risonanza magnetica del seno ogni anno a partire dai 35 anni.” 

Per convincere i sistemi sanitari che si tratta di un intervento efficace e sostenibile, i ricercatori del CCSS hanno sviluppato un modello computerizzato relativo agli effetti dello screening nel tempo e hanno dimostrato che questa strategia può salvare una donna su due tra quelle che sviluppano un cancro del seno legato a terapie eseguite nel passato. “Non solo: molte terapie anticancro aumentano anche il rischio di malattie cardiovascolari ed endocrine, favorendo, per esempio, l’obesità” continua l’esperto. “Si
tratta di persone la cui salute è più a rischio della media per via della presenza contemporanea di diversi disturbi. È essenziale quindi fornire loro, fin da subito, un supporto per la prevenzione, per esempio tenendo sotto controllo la pressione arteriosa e aiutandole a non ingrassare con programmi specifici e consigli sugli stili di vita.”

Strategia completa

La potenza del Childhood Cancer Survivors Study sta proprio nel modello sperimentale che utilizza: identificare i sopravvissuti a un cancro infantile, verificare di quali patologie soffrono o hanno sofferto nel tempo, selezionare i gruppi che hanno un rischio più elevato di ammalarsi di nuovo, proporre strategie di prevenzione mirate e infine, non meno importante, dimostrare che queste strategie fanno risparmiare in termini di vite umane e costi sanitari, in modo che tutti i Paesi siano incentivati a seguirle. L’obiettivo
è arrivare a proporre linee guida per la sorveglianza degli ex pazienti per almeno tutte le forme più comuni di cancro pediatrico, da aggiornare man mano che cambiano le cure a cui i piccoli pazienti vengono sottoposti.

A questo scopo gli esperti combinano gli studi epidemiologici con studi di intervento (cioè con sperimentazioni classiche, in cui si verifica se un certo approccio funziona) e con studi “virtuali”, in cui si utilizza il potere predittivo dei computer per simulare ciò che potrebbe accadere in futuro. “Il nostro studio è finanziato dai National Institutes of Health statunitensi, quindi da fondi pubblici” conclude Armstrong. “Stiamo mettendo la nostra piattaforma a disposizione di tutti i ricercatori perché possano usare i dati ma anche contribuire a migliorarne l’attendibilità inserendo le storie cliniche dei propri pazienti.”

Childhood Cancer Survivor Study: lo studio

Il Childhood Cancer Survivor Study (CCSS) rappresenta ormai da oltre 20 anni una fonte insostituibile di dati che aiuta gli esperti a comprendere meglio gli effetti tardivi dei trattamenti di un tumore pediatrico, a migliorare la sopravvivenza dei piccoli pazienti e a minimizzare gli effetti negativi delle cure oncologiche sulla salute.

Lo studio è partito nel 1994 arruolando oltre 15.000 sopravvissuti a un tumore pediatrico diagnosticato tra il 1970 e il 1986 e, come controlli, circa 4.000 fratelli e sorelle, ma si è evoluto per restare al passo con gli enormi cambiamenti terapeutici degli ultimi decenni: al gruppo iniziale sono stati aggiunti circa 10.000 pazienti ai quali è stato diagnosticato un tumore tra il 1987 e il 1999 e circa 1.000 controlli.

  • Daniela Ovadia (Agenzia ZOE)