I ricercatori pronti a dare una mano nella lotta al Covid-19

Ultimo aggiornamento: 6 aprile 2020

I ricercatori pronti a dare una mano nella lotta al Covid-19

Molti scienziati italiani chiedono di poter dare il proprio contributo in questa emergenza sanitaria: hanno gli strumenti e le competenze per farlo, grazie alla loro attività di ricerca.

Il 24 marzo quasi trecento scienziati italiani, tra cui molti che si occupano di ricerca oncologica, hanno scritto una lettera aperta al Presidente del Consiglio e ai governatori delle Regioni, mettendosi a disposizione per effettuare i test necessari a identificare le persone che si sono infettate con il virus SARS-CoV-2, responsabile della pandemia Covid-19. A differenza di molti altri che sono intervenuti nel dibattito riguardo all’opportunità di fare più tamponi, questi rappresentanti della comunità scientifica non si sono limitati a sollevare il problema, ma hanno proposto una soluzione: usare i loro laboratori.

Di tamponi si parla moltissimo, ma le immagini mostrate in TV potrebbero risultare fuorvianti. L’infermiere che passa un cotton fioc nel naso o nella gola della persona sotto esame (il cosiddetto “tampone”) e lo mette nella provetta, ha solo raccolto il materiale biologico su cui sarà effettuato il test.

Tutte le provette sono infatti inviate in un laboratorio dove, con una sofisticata tecnica di biologia molecolare chiamata RT-PCR, si verifica l'eventuale presenza di materiale genetico del virus. Per effettuare la RT-PCR il campione raccolto con il tampone viene trasferito in altre provette che contengono reagenti specifici e analizzato con uno strumento apposito. Per avere il risultato (campione positivo o negativo) occorrono alcune ore e ogni strumento può processare solo un certo numero di campioni per volta.

Esaminare migliaia e migliaia di tamponi è molto più laborioso di quanto possa sembrare, ed è per questo che la rete dei centri di ricerca potrebbe fare la differenza, mettendo a disposizione personale altamente qualificato e strumentazione adeguata, che permetterebbero di aumentare enormemente il numero di campioni analizzabili. “Risorse intellettuali e competenze tecnologiche di alto livello per l'esecuzione dei test diagnostici per l'identificazione del virus sono disponibili su tutto il territorio nazionale, da subito e a costo di personale e attrezzature pari a zero, e quindi senza imporre ulteriori aggravi in un Paese già allo stremo” è quanto hanno scritto gli scienziati.

Colpisce il fatto che la stragrande maggioranza dei firmatari della lettera non si occupi affatto di virus o di malattie infettive: moltissimi di loro sono invece attivi nella ricerca oncologica. Come è possibile che un ricercatore che studia i meccanismi con cui un tumore si sviluppa e cresce possa risultare utile in questo frangente? “Le tecniche necessarie alla individuazione del materiale genetico del virus in un tampone, o della risposta anticorpale dell’organismo al virus, sono utilizzate praticamente ogni giorno nei laboratori di ricerca” spiega Gioacchino Natoli, group leader del Dipartimento di oncologia sperimentale dell’Istituto europeo di oncologia e fra i promotori di questa iniziativa. “Abbiamo tutte le capacità per metterle in atto e ottimizzarle.”

Tre punti fondamentali

Aumentare il numero di laboratori che effettuano i test permetterebbe di ottenere tre risultati: contribuire a superare l’emergenza, aiutare a gestire i pazienti più vulnerabili e accelerare il ritorno all’operatività. “C’è una difficoltà oggettiva a coprire le attuali esigenze di esecuzione dei test con le capacità di lavoro dei laboratori coinvolti finora. La nostra proposta di fare una valutazione seriale di tutto il personale sanitario impegnato a combattere l'emergenza è stata ora presa in considerazione” aggiunge Natoli. “Noi abbiamo proposto anche di sottoporre a test chi deve necessariamente andare a lavorare e non può essere tenuto in quarantena. La valutazione seriale comporta un aumento sensibile del numero di test perché si tratta di ripeterli più volte anche alle stesse persone con una certa cadenza, in quanto una persona può essere negativa un giorno e positiva il giorno dopo.”

In alcuni contesti sapere se qualcuno è positivo al virus può essere di importanza vitale. “Una delle categorie ad altissimo rischio è quella dei pazienti oncologici: soggetti che sono immunodepressi per la chemioterapia, che devono subire interventi chirurgici o che devono sottoporsi a trapianto di midollo. È necessario valutarne lo stato ed evitare che entrino a contatto con medici o infermieri eventualmente contaminati, ma per una gestione appropriata servirebbe una valutazione immediata e sistematica dei pazienti e del personale dell’ospedale, che potremmo fare direttamente noi.”

C’è un terzo aspetto da considerare. “Nell'istituto in cui lavoro, con un sistema molto rigido e controllato, siamo riusciti a mantenere attivi alcuni progetti di ricerca, ma la maggior parte dei laboratori accademici in tutto il mondo è praticamente bloccata. Prima superiamo l’emergenza Covid-19, prima possiamo tornare a lavorare a quella che è un’emergenza storica e che non aspetta, ovvero la ricerca sul cancro”.

Risorse preziose

I laboratori di ricerca potrebbero mettersi al lavoro da subito. “Adesso abbiamo un numero limitato di laboratori che processano una quantità enorme di test. Aumentare i centri a disposizione per le analisi vorrebbe dire potere sottoporre a screening fasce più ampie di popolazione a rischio. Non solo: per gli operatori, avere meno test da eseguire permetterebbe di farlo in condizioni migliori. Certo, i laboratori di ricerca per definizione non sono certificati ufficialmente per fare test diagnostici, e questo richiederebbe una deroga alla regolamentazione. Ma siamo in emergenza, ed è per questo che abbiamo deciso di scrivere un appello comune.”

Le condizioni di sicurezza sarebbero comunque garantite. “Quasi tutti i laboratori hanno livelli di sicurezza più che sufficienti, visto che non si tratta di coltivare il virus ma solo di analizzare i tamponi. Il personale verrà rifornito di dispositivi di protezione individuale adeguati alla gestione del materiale. Inoltre gli istituti stanno creando delle aree protette in cui possano arrivare i campioni: si sta creando, insomma, una logistica interna.”

È importante sottolineare che, se esiste la possibilità di combattere con più efficacia la malattia, lo si deve a chi crede nella ricerca: “Questa epidemia ha fatto capire che la ricerca scientifica è un valore enorme perché può accelerare la risoluzione di un problema su scala mondiale. Sarebbe bello che, una volta usciti da questa emergenza, l’attenzione nei confronti dei ricercatori non calasse. La ricerca contribuisce quotidianamente al benessere della popolazione, e non solo in circostanze drammatiche come queste”. Sostenere la ricerca di base significa quindi garantire al Paese sia le risorse umane sia le tecnologie con cui affrontare sfide fino a poco tempo fa inimmaginabili.

  • Agenzia Zoe