5 cose da sapere sul sonno

Ultimo aggiornamento: 25 novembre 2025

Tempo di lettura: 17 minuti

Perché dormiamo? Cosa succede al nostro corpo se non riposiamo abbastanza? Quali sono le fasi del sonno? Cosa sono i ritmi circadiani? Ed è vero che la nostra necessità di dormire è determinata anche dal nostro DNA? Curiosità e ultime scoperte sul tema.

È un fenomeno naturale che occupa fino a un terzo della nostra esistenza. Eppure, osservato attraverso la lente della scienza, il sonno si rivela un processo tutt’altro che semplice e sono ancora molti gli aspetti che non conosciamo su ciò che accade al nostro organismo quando dormiamo. Per capire meglio da cosa dipende la qualità del sonno e come può incidere sul benessere, partiamo da qualche concetto fondamentale e diamo uno sguardo anche alle ultime novità della ricerca.

1. Qual è la funzione del sonno

Ciascuno di noi sa come ci si sente quando perde una notte di sonno, o se per un periodo dorme troppo poco: siamo confusi e affaticati, con la mente in uno stato di torpore che crea difficoltà alla concentrazione. Non è un caso, perché dormire serve prima di tutto a preservare il buon funzionamento del cervello. Gli studi condotti negli ultimi anni stanno rendendo sempre più evidente quanto un sonno ristoratore sia cruciale per la salute cerebrale.

Dormire a sufficienza è infatti di vitale importanza per la cosiddetta plasticità cerebrale, la capacità del cervello di adattarsi e rielaborare i diversi stimoli ricevuti durante la veglia. Anche se mentre dormiamo ci sembra di “non fare nulla”, il sistema nervoso continua a funzionare, mantenendo efficienti i circuiti cognitivi e consolidando, tra le altre cose, i ricordi.

In una metanalisi pubblicata su Frontiers in Human Neuroscience, gli autori hanno evidenziato il ruolo centrale del sonno nel consolidamento della memoria. Dal punto di vista fisiologico, questo succederebbe attraverso una serie coordinata di oscillazioni neuronali – ovvero degli schemi ritmici o ripetitivi di attività neuronali – e di modifiche chimiche, in grado di riorganizzare le tracce mnemoniche acquisite da svegli.

Studi recenti hanno inoltre fornito nuove evidenze a sostegno dell’ipotesi che il sonno favorisca la rimozione dei prodotti di scarto che si accumulano nelle cellule cerebrali. Quest’attività avviene anche quando siamo svegli, anche se in maniera molto meno efficiente.

In un articolo pubblicato sulla rivista Nature nel 2024, gli autori hanno invece mostrato che l’attività ritmica dei neuroni facilita il flusso del liquido cerebrospinale verso lo spazio interstiziale, drenando le scorie. In un altro articolo, pubblicato sulla rivista Cell, un gruppo di ricercatori ha descritto la possibile dinamica del “ciclo di risciacquo”. In particolare, gli scienziati hanno osservato, per ora solo nei topi, contrazioni regolari della muscolatura attorno ai vasi sanguigni del cervello mentre gli animali dormivano. Tale attività ritmica agirebbe come una pompa che spinge il fluido contenuto nei vasi a circolare, favorendo la capacità del cervello di smaltire le sostanze di scarto (in gergo, in inglese, “clearance”).

2. Cosa succede se non dormiamo abbastanza

Non esiste un numero di ore di sonno necessario a mantenerci in salute, valido per tutti. I bambini hanno bisogno di dormire più degli adulti, mentre gli anziani necessitano di meno ore di sonno. Per una persona di mezza età, è salutare dormire circa7 ore a notte. Tuttavia, la maggioranza delle persone riposa meno del necessario, per esigenze personali o perché non ha una buona qualità del sonno.

Questo non è un bene, poiché è ormai chiaro che gli effetti della privazione cronica o prolungata di sonno influiscono sulla salute. Hanno infatti effetti sulle funzioni cognitive, sull’umore e sulla fisiologia di molti tessuti e sistemi del nostro organismo, tra cui il sistema cardiocircolatorio, i polmoni, il sistema immunitario e quello endocrino. Chi dorme poco o male è più suscettibile a una serie di condizioni croniche, tra cui l’obesità, il diabete, le infezioni, l'ipertensione, la fibrillazione atriale, il disturbo depressivo maggiore e il disturbo d'ansia generalizzato. È quanto è stato osservato in uno studio, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nature Medicine nel 2024. Gli autori hanno monitorato, tramite dispositivi che si possono indossare, i livelli di sonno di un ampio gruppo di candidati. I risultati raccolti hanno mostrato che il sonno irregolare è associato a un aumento della mortalità per tutte le cause.

In una recente revisione, pubblicata sulla rivista Science Signaling, gli autori hanno analizzato una serie di risultati pubblicati, mostrando la necessità di considerare il sonno un pilastro per la salute, la prevenzione e il benessere complessivo dell’organismo. Dormire poco, al contrario, può avere effetti deleteri sui profili energetici di svariati tipi di cellule.

Tali effetti si possono verificare soprattutto nelle cellule muscolari, adipose ed epatiche, bloccando processi fondamentali come la sintesi proteica e la regolazione degli stati infiammatori e dei livelli di glucosio. Il cervello paga in particolare il prezzo di essere un sistema a elevato consumo energetico. Senza un adeguato riposo durante il sonno, i neuroni sono costretti a utilizzare le risorse residue per la mera sopravvivenza, rinunciando a funzioni complesse come la formazione di nuove sinapsi. Queste conseguenze ricordano, in parte, i processi che si osservano nelle malattie neurodegenerative come Alzheimer e Parkinson.

3. Quali sono le fasi del sonno

Mentre dormiamo, il cervello compie azioni diverse. Ce lo dicono, tra le altre cose, i risultati dell’elettroencefalogramma, un esame non invasivo che permette di registrare come varia l’attività elettrica del cervello e di distinguere quelle che vengono convenzionalmente chiamate, appunto, fasi del sonno.

Le fasi principali sono due: la fase REM (acronimo di rapid-eye movement) e non-REM (che sta, al contrario, per non-rapid-eye movement). Ciascuna fase è caratterizzata da attività neuronali e onde cerebrali specifiche. Il cervello le ripete, ciclicamente, fino al risveglio, per un totale di 4-5 cicli a notte. La prima è una fase non-REM che include il passaggio dalla veglia al sonno, cioè gli istanti in cui ci addormentiamo. Si tratta di un primo intervallo di sonno molto leggero, durante il quale il ritmo cardiaco e del respiro variano e la temperatura corporea scende leggermente. Segue poi un periodo prolungato di sonno profondo e ristoratore.

La fase REM che, come suggerisce il nome, è associata al movimento rapido e incontrollato dei bulbi oculari sotto le palpebre chiuse, è caratterizzata da onde cerebrali molto simili a quelle che si registrano quando siamo svegli. È questa la fase più spesso associata ai sogni, quando la frequenza respiratoria aumenta e si fa più irregolare e i muscoli del corpo – tranne il diaframma, necessario per respirare – restano pressoché immobili. In questo modo evitiamo di muoverci e di mimare col corpo quel che ci accade mentre sogniamo.

Comprendere a fondo le diverse fasi del sonno è cruciale per i neuroscienziati, per poter collegare i fenomeni elettrici misurati ai processi cognitivi sottostanti, per diagnosticare precocemente problemi neurologici e valutare gli effetti delle terapie. In particolare, lo studio dei meccanismi e dei benefici della fase REM ha portato a indagare sui suoi “interruttori” fisiologici, portando, negli ultimi anni, allo sviluppo di molecole capaci di agire selettivamente su questa fase, senza ripercussioni sul resto delle fasi del sonno.

4. Chi decide quando dobbiamo andare a letto

Il corpo ha in dotazione un vero e proprio orologio interno, che regola i nostri personali ritmi di sonno e veglia attraverso diversi meccanismi biologici. Questi meccanismi includono il cosiddetto ritmo circadiano, un’espressione che proviene dal latino circa, che significa “intorno”, e dies, “giorno”. Inoltre, comprendono i processi legati all’omeostasi, la capacità degli organismi di autoregolarsi attorno a una condizione di stabilità e buon funzionamento.

Il ritmo circadiano è un insieme di processi molecolari e fisiologici che concorrono a regolare il rilascio di ormoni, il metabolismo e la temperatura corporea; tali processi sono inoltre sensibili ai segnali ambientali, come le condizioni di luce e di buio e la temperatura del luogo in cui ci troviamo. La percezione di tali segnali è essenziale affinché l’organismo possa sincronizzarsi con la durata del giorno e della notte. È il ritmo circadiano che, con i suoi stimoli, ci spinge a restare svegli di giorno e a dormire di notte. Sembra che il cervello, in particolare una sua piccola componente interna, chiamata ghiandola pineale, riceva il segnale della luce a partire dalla retina degli occhi, e in base a ciò regoli il rilascio di determinate sostanze. Tra queste vi è per esempio la melatonina, la cui concentrazione raggiunge il valore massimo nel corso della notte, permettendoci di dormire. I problemi del sonno dovuti a spostamenti tra fusi orari molto diversi tra loro, il cosiddetto “jet lag”, dipendono proprio da uno sfasamento tra il nostro orologio interno e i segnali che ci arrivano dall’ambiente circostante. Non a caso chi viaggia di frequente assume spesso integratori a base di melatonina prima di coricarsi, per mitigare gli effetti più fastidiosi del jet lag. Qualcosa di simile accade ai lavoratori notturni, che devono adattarsi a dormire nelle ore di luce e che spesso soffrono di disturbi del sonno.

L’omeostasi sonno-veglia è invece un insieme di meccanismi che il nostro corpo mette in atto per ricordarci di dormire, e che scattano, in genere, in base a quante ore ci separano dall’ultima dormita e al livello di attività. Funzionano in modo simile allo stimolo della fame, che sopraggiunge a comunicarci che l’organismo ha bisogno di nuove energie quando siamo ormai lontani dall’ultimo pasto consumato.

I risultati di uno studio dell'American Heart Association, pubblicati a ottobre 2025 sulla rivista Circulation, hanno richiamato l'importanza della salute circadiana, spesso trascurata, nella prevenzione delle malattie cardiometaboliche. Gli autori hanno sottolineato che le interruzioni dei ritmi circadiani sono fortemente associate a un rischio aumentato di sviluppare il diabete di tipo 2, l’ipertensione, le malattie cardiovascolari e di diventare obesi, in quanto possono compromettere la regolazione metabolica, il controllo pressorio e l’equilibrio ormonale. Ottimizzare, invece, questi ritmi, con interventi comportamentali potrebbe fornire una strategia preventiva.

Infine, un aspetto interessante è il cronotipo, cioè la predisposizione individuale a essere più attivi in certi momenti della giornata. Alcune persone sono più produttive la sera, mentre altre preferiscono la mattina. Anche in questo campo la ricerca è in pieno sviluppo.

5. Quanto hai bisogno di dormire? Risponde (anche) il tuo DNA

Alcune persone, al mattino, non vorrebbero mai alzarsi dal letto. Altre, invece, sono arzille anche dopo aver dormito pochissime ore, senza apparenti conseguenze sulla salute. Da cosa può dipendere? Dal carattere? Dall’ambiente in cui vivono? Dalle abitudini? Stando alle ricerche più recenti, la risposta è in buona parte genetica.

Gli scienziati hanno individuato, inizialmente attraverso esperimenti condotti con animali di laboratorio, diversi tipi di mutazioni che coinvolgono proteine legate alla regolazione del ritmo circadiano e che sembrano in grado di modificare la necessità di dormire. Chi presenta determinate varianti nel proprio DNA sembra avere la capacità innata di trovare ristoro anche dopo 6 ore scarse di sonno. A oggi sono state identificate 5 mutazioni in geni coinvolti in questi processi. Se in futuro riuscissimo a riprodurre gli effetti di tali mutazioni tramite farmaci o trattamenti mirati, potremmo affrontare con maggiore efficacia molti disturbi del sonno e, forse, adattarci meglio ai ritmi di vita sempre più frenetici senza pagarne conseguenze per la salute.

  • Alice Pace

    Giornalista scientifica freelance specializzata in salute e tecnologia, anche grazie a una laurea in Chimica e tecnologia farmaceutiche e un dottorato in nanotecnologie applicate alla medicina. Si è formata grazie a un master in giornalismo scientifico presso la Scuola superiore di studi avanzati di Trieste e una borsa di studio presso la Harvard Medical School di Boston. Su Instagram e su Twitter è @helixpis.