Ultimo aggiornamento: 29 settembre 2025
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In questo articolo risponderemo alle domande:
Le parole, se utilizzate e interpretate correttamente, possono rafforzare la relazione tra medico e paziente, aiutando a migliorare la diagnosi e guidare verso strategie di cura più precise e mirate.
La Società italiana di medicina narrativa (SIMeN) descrive così questo metodo: “Non è un insieme di tecniche, piuttosto un cambiamento di approccio alla cura”.
Negli ultimi anni medici ed esperti di salute pubblica hanno riscontrato che la cosiddetta “evidence-based medicine” (EBM), la medicina basata su prove scientifiche rigorose, pur restando la base del moderno metodo di cura dei pazienti, non sempre da sola basta a cogliere davvero l’impatto di una malattia sulla vita di una persona. Per questo può essere importante quella che viene chiamata “narrative-based medicine” (NBM): un metodo che integra il racconto del paziente e l’esplorazione dell’esperienza individuale con le evidenze scientifiche, con l’obiettivo di creare percorsi di cura su misura.
Data la complessità del tema, ancora oggi non esiste una definizione di medicina narrativa che sia univoca e accettata a livello internazionale.
Negli anni Ottanta il medico Arthur Kleinman introdusse l’uso del racconto quale strumento per raccogliere e interpretare informazioni sull’esperienza dei pazienti, sottolineando che i sintomi non sono solo segnali biologici, ma hanno un significato che può variare da persona a persona.
In Italia si parla di medicina narrativa grazie al bioeticista Sandro Spinsanti, tra gli accademici promotori di questa disciplina. Durante una conferenza svolta a Roma nel 2014, in cui sono state definite le linee d’indirizzo per l’utilizzo della medicina narrativa in ambito clinico-assistenziale, la medicina narrativa è stata definita come un metodo d’intervento basato su una specifica competenza comunicativa, la narrazione, che rappresenta lo strumento fondamentale per acquisire, comprendere e integrare i diversi punti di vista di quanti intervengono nella malattia e nel processo di cura.
È uno strumento che oggi sta acquisendo sempre più importanza anche in Italia. L’Istituto superiore di sanità e la SIMeN hanno avviato una analisi dal titolo LIMeNar per valutare la diffusione della pratica. Da tale analisi è emerso che l’80% circa dei progetti analizzati applicano le linee guida della medicina narrativa con risultati positivi in particolare sul miglioramento del lavoro dell’équipe medica e sull’aderenza ai trattamenti.
La narrazione libera tramite colloqui tra medico e paziente, e attraverso pratiche di scrittura ‒ di libri o racconti ‒, fa in modo che il paziente e il medico condividano le attività di base del “fare medicina”, ovvero la diagnosi e la cura. La narrazione libera permette infatti di individuare dettagli che non emergono nel corso di una semplice anamnesi strutturata.
È una pratica che troviamo applicata in diversi ambiti medici quali l’oncologia, la terapia del dolore e il trattamento di disturbi cronici, anche se porta con sé alcune limitazioni.
Una revisione pubblicata nel 2024 fa emergere che non è ancora disponibile in letteratura una metodologia univoca e accettata a livello internazionale per misurare l’utilità della medicina narrativa tramite l’utilizzo di indicatori precisi. Né esiste a oggi un metodo per valutarne l’efficacia quantitativa sia nella formazione sia nella pratica clinica.
Un primo passo verso questa direzione lo ha fatto lo studio NAME, sviluppato dalla regione Piemonte in Italia. L’obiettivo dei promotori di tale studio è valutare la medicina narrativa su 3 aspetti: l’aumento dell’aderenza alle terapie, la riduzione delle conflittualità tra operatori sanitari e pazienti e, infine, il miglioramento del rapporto tra pazienti e caregiver. Il progetto ha coinvolto più di un centinaio di professionisti tra docenti e medici che sono stati formati e successivamente valutati in base a come hanno applicato le linee guida della medicina narrativa a casi specifici. I risultati sono stati positivi e indicano che la medicina narrativa può essere quantificata mediante l’utilizzo di indicatori concreti.
Ogni paziente ha una storia che va ben oltre i sintomi raccontati nel breve tempo di un colloquio in ambulatorio. Ma non è solo la brevità il problema. Molti, pur sapendo quanto la loro storia sia rilevante, faticano a esprimere tutti gli aspetti della malattia e del suo impatto sulla vita quotidiana. Alcuni possono essere in difficoltà perché non padroneggiano i termini del linguaggio medico e temono di fare brutta figura con gli specialisti. Altri possono essere in imbarazzo nel condividere aspetti intimi o privati. Spesso sono i medici stessi a non trovarsi a proprio agio nel chiedere ulteriori dettagli.
Scrivere un racconto e utilizzare immagini o altre forme espressive per raccontare la propria esperienza e il proprio rapporto con la malattia può essere un atto terapeutico per i pazienti. La dottoressa Rita Charon, fondatrice e direttrice esecutiva del Programma di medicina narrativa presso la Columbia University di New York, riportava già vent’anni fa, in un articolo pubblicato sulla rivista JAMA, che “in medicina la narrazione della storia da parte dei pazienti è un atto terapeutico fondamentale, perché trovare le parole per contenere il disordine e le relative preoccupazioni dà forma e controllo sul caos stesso della malattia”.
Evidenze recenti confermano che essi sono in effetti strumenti capaci di creare spazi di auto-riflessione oltre che di distrazione dai sintomi della malattia.
Percorsi di ascolto tra medico e paziente possono migliorare la comprensione dei cambiamenti fisici che hanno un impatto sulla vita dei pazienti durante il percorso di cura. Un esempio interessante viene da un progetto sperimentale rivolto a pazienti affetti da tumore del cervello. Con questo tipo di tumori purtroppo le speranze di cura sono ancora piuttosto scarse. Per questo motivo ci si può chiedere se una narrazione della malattia non possa causare ancora più infelicità. Contrariamente alle aspettative, la medicina narrativa può invece essere utile a questi pazienti che possono subire una profonda modifica dell’identità, a causa sia dei sintomi causati dalla malattia sia dei trattamenti. Gli strumenti narrativi possono infatti aiutare a rinegoziare la propria identità e ad affrontare più consapevolmente i cambiamenti imposti dalla malattia.
Si può introdurre la medicina narrativa attraverso forme molto diverse. Per esempio, alla Weil Cornell Medicine, l’ospedale e la facoltà di medicina della Cornell University a New York, negli Stati uniti, è stato sperimentato un progetto pilota di assistenza di gruppo. I pazienti che hanno partecipato al progetto si sono sottoposti a sedute di gruppo con specialisti e hanno riportato di cambiamenti positivi nelle loro vite, sottolineando una maggior capacità riflessiva e di gestione di ansie, paure e isolamento.
Un altro vantaggio riguarda il benessere dei professionisti sanitari. Questo approccio aiuta i medici a prendersi cura di sé stessi, riducendo stress e burnout. Sessioni di gruppo di medicina narrativa, in cui discutere di arte e letteratura, con la creazione di momenti di condivisione di dubbi e paure favoriscono la riflessione e il recupero di un senso di significato nella propria professione.
Inoltre, l’approccio alla medicina narrativa permette agli specialisti di capire non solo “cosa” curare, ma anche “come” farlo nel modo più efficace per ciascun paziente.
In letteratura sono stati pubblicati i risultati di studi in cui si è analizzato come la medicina narrativa può essere integrata nella formazione medica, in aiuto a specializzandi e nel percorso medico, sia durante gli studi sia in percorsi dopo la laurea. Un esempio viene sempre dalla Weil Cornell Medicine, dove sono stati introdotti percorsi di medicina narrativa all’interno dei corsi di laurea già nei primi anni di formazione dei medici, che hanno portato a miglioramenti nella capacità di ascolto, comprensione e interpretazione delle storie dei pazienti e a una maggiore aderenza terapeutica.
Una revisione ampia, condotta in ambito pediatrico, ha mostrato benefici simili. Gli studenti coinvolti nella formazione hanno infatti riscontrato una riduzione dello stress e rafforzato la considerazione della pratica come momento di riflessione. I benefici si sono riscontrati anche sulla capacità di comprensione del ruolo delle famiglie e delle barriere all’assistenza, come la difficoltà finanziaria e la limitata alfabetizzazione sanitaria dei caregiver. I giovani medici hanno riportato, inoltre, miglioramenti nelle competenze comunicative, nello sviluppo dell’empatia e di migliori capacità nel relazionarsi con i piccoli pazienti, e inoltre nella comprensione delle loro aspettative per orientare al meglio le azioni terapeutiche.
In futuro si dovrebbe puntare a progetti longitudinali a lungo termine e rigorosi per valutare in maniera ancora più solida l’impatto della medicina narrativa su studenti, medici e pazienti.
Raccontare e ascoltare non è semplice improvvisazione.
Da un lato i medici devono essere preparati a leggere e interpretare ciò che i pazienti scrivono o raccontano, e per questo è fondamentale rivedere i programmi universitari e implementare corsi per l’aggiornamento continuo dei professionisti sanitari.
Dall’altro lato i pazienti devono disporre di strumenti che permettano di “raccontare” senza forzature o senza imposizioni. È importante, per esempio, che ciascuno possa scegliere il metodo di narrazione che preferisce e che abbia il tempo di raccontare e farsi ascoltare, perché anche questo momento è parte integrante del percorso di cura.
La tecnologia in questo senso può avere un ruolo importante. La piattaforma italiana Digital Narrative Medicine (DNM), sviluppata con il contributo del Center for Digital Health Humanities, è un esempio di come la narrazione possa essere integrata nel percorso clinico.
Uno studio italiano, i cui risultati sono stati pubblicati sul Journal of International Medical Research, ha dimostrato che l’uso di strumenti digitali di medicina narrativa, come per esempio diari digitali consultabili dal medico e dai familiari, può migliorare la comunicazione tra medici e pazienti e favorire una maggiore aderenza alle terapie.
La medicina narrativa non sostituisce la scienza, ma la completa. In un contesto nel quale si sente parlare sempre più spesso di medicina di precisione e incentrata sui pazienti, la medicina narrativa diventa una risorsa per capire meglio la malattia e la persona che la vive.
Come sottolinea Rita Charon, “ascoltare le storie significa restituire dignità ai paziente e umanità alla cura”.
Autore originale: Agenzia Zoe
Revisione di Denise Cerrone in data 29/09/2025
Agenzia Zoe