Rabdomiosarcoma del bambino

Il rabdomiosarcoma fa parte dei cosiddetti sarcomi dei tessuti molli, tumori che si sviluppano a livello di muscoli, grasso o tessuto connettivo

Ultimo aggiornamento: 4 dicembre 2023

Tempo di lettura: 6 minuti

Cos'è il rabdomiosarcoma

Il rabdomiosarcoma fa parte dei cosiddetti sarcomi dei tessuti molli, tumori maligni che si sviluppano a livello di muscoli, grasso o tessuto connettivo. Alla base del rabdomiosarcoma c’è la trasformazione di precursori dei rabdomioblasti, cellule che danno normalmente origine ai muscoli volontari. Il tumore è più comune nei bambini e negli adolescenti e si può presentare agli arti, al collo, all’apparato uro-genitale (vescica, prostata, apparato riproduttore femminile), al torace o all’addome.

Quanto è diffuso

Il rabdomiosarcoma è il più frequente sarcoma dei tessuti molli nei bambini e negli adolescenti. In questa fascia di età, la malattia rappresenta il 36 per cento circa dei tumori maligni dei tessuti molli. In assoluto si tratta comunque di un tumore poco comune: in Europa ha un’incidenza di 4,5 casi per milione di bambini e adolescenti. La distribuzione del tumore per età presenta due picchi di incidenza, il primo compreso fra i 2 e i 6 anni di età e il secondo fra i 10 e i 18 anni. Non vi sono significative differenze d’incidenza tra maschi e femmine.

Chi è a rischio

Le cause che portano allo sviluppo del rabdomiosarcoma non sono ben definite, ma alcuni fattori di rischio aumentano le probabilità di sviluppare la malattia. Si tratta di alcune rarissime sindromi genetiche ereditarie, come:

  • la sindrome di Li-Fraumeni, associata anche ad altri tumori;
  • la sindrome di Beckwith-Wiedemann, associata anche al tumore di Wilms;
  • la neurofibromatosi di tipo 1, associata anche a tumori del sistema nervoso;
  • la sindrome di Costello, che crea problemi di crescita e sviluppo;
  • la sindrome di Noonan, che causa anche problemi cardiaci e di apprendimento;
  • la sindrome Dicer1, che predispone all’insorgenza di diversi tipi di tumori rari.

 

Alcuni studi suggeriscono che l’esposizione ai raggi X prima della nascita o l’uso da parte dei genitori di marijuana o cocaina nel periodo prenatale possa aumentare il rischio di rabdomiosarcoma.

Tipologie

I 2 tipi principali di questa neoplasia sono il rabdomiosarcoma embrionale (circa il 75 per cento dei casi) e quello alveolare (circa il 25 per cento). Nel 2020 l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha identificato 4 sottotipi istologici di rabdomiosarcoma: embrionale, alveolare, pleomorfo e a cellule fusate o sclerosante.

 

Il rabdomiosarcoma embrionale colpisce soprattutto i bambini fino ai 5 anni di età e si può manifestare in aree come testa e collo, vescica, vagina o prostata e testicolo. Di questo gruppo di rabdomiosarcomi fanno parte anche le varianti botrioide e a cellule fusate, che hanno una prognosi migliore rispetto ai rabdomiosarcomi embrionali.

Il rabdomiosarcoma alveolare si presenta in modo più uniforme tra le diverse fasce di età e si sviluppa di norma nel tronco e negli arti, con una tendenza a una progressione particolarmente rapida. A causa del loro comportamento aggressivo questi rabdomiosarcomi richiedono terapie particolarmente intense.

Il rabdomiosarcoma anaplastico è una forma molto rara, presente quasi esclusivamente negli adulti.

Il rabdomiosarcoma a cellule fusate è anch’esso piuttosto raro e nei bambini ha prognosi più favorevole.

Prevenzione

Attualmente non è possibile prevenire il rabdomiosarcoma, un tumore raro. Non si conoscono infatti fattori di rischio modificabili, tranne, secondo i risultati di alcuni studi, l’esposizione ai raggi X prima della nascita o l’uso da parte dei genitori di marijuana o cocaina nel periodo prenatale.

Ta i fattori di rischio non modificabili, una relazione causale è stata suggerita con alcuni oncogeni, quali il recettore MET o la perdita di funzione di alcuni geni oncosoppressori come p53.

Il rabdomiosarcoma embrionale è caratterizzato da perdita di eterozigosi a carico di un locus specifico del cromosoma 11. In questo locus risiede il gene per il fattore di crescita IGF2, che risulta quindi alterato nell’80 per cento circa dei casi. Il rabdomiosarcoma alveolare è invece caratterizzato, nella maggior parte dei casi, dalla presenza di un gene ibrido derivante dalla fusione fra il gene del fattore trascrizionale FOXO e i geni PAX3 o PAX7.

La conoscenza di questi eventi molecolari, resa possibile dalla ricerca, ha migliorato la diagnosi dei rabdomiosarcomi e posto le basi per future possibili terapie.

Sintomi

Il rabdomiosarcoma è a lungo asintomatico. I segni e i sintomi del tumore derivano dalla sua crescita e possono variare notevolmente secondo lo stadio della malattia, ma soprattutto della sua localizzazione. Se la neoplasia interessa la regione testa-collo si possono manifestare cefalea, congestione nasale, dolore a livello auricolare o problemi alla vista. Se invece è localizzata nel tronco o negli arti si hanno tumefazioni (a volte dolenti), mentre a livello uro-genitale la malattia può provocare problemi a urinare, presenza di sangue nelle urine, difficoltà intestinali, presenza di masse anomale o sanguinamenti a livello vaginale o rettale.

Questi sintomi non indicano necessariamente la presenza di tumore e per questa ragione è fondamentale rivolgersi al medico, che saprà arrivare alla diagnosi corretta.

Diagnosi

Il medico chiede informazioni sulla storia medica dei pazienti e della famiglia per identificare eventuali fattori di rischio e procede poi a un attento esame fisico alla ricerca di segni come per esempio noduli, masse o tumefazioni sospette. In caso di dubbio, il medico può prescrivere esami di approfondimento, basati soprattutto sulla diagnostica per immagini, come la radiografia, l’ecografia, la tomografia computerizzata (TC), la risonanza magnetica e la tomografia a emissione di positroni (PET). La diagnosi definitiva prevede l’esecuzione di una biopsia, ovvero il prelievo di una piccola porzione di tessuto patologico per lo studio microscopico e molecolare. La presenza del prodotto di fusione PAX3-FOXO1 o PAX7-FOXO1 si rileva con un’analisi molecolare che contribuisce a precisare la diagnosi di rabdomiosarcoma.

Evoluzione

L’assegnazione di uno stadio (stadiazione) è estremamente importante per pianificare le terapie. Per la stadiazione del rabdomiosarcoma, i medici tengono conto di 3 particolari componenti che servono poi a definire diversi gruppi di rischio (basso, intermedio e alto) e che indicano le possibilità di ripresa di malattia.

 

La stadiazione si basa sul sistema TNM, dove T indica l’estensione del tumore, N il coinvolgimento dei linfonodi e M la presenza di metastasi. Per determinare il gruppo di rischio si tiene conto anche del gruppo clinico (da I a IV), ovvero di quanta parte del tumore è stato possibile rimuovere con la chirurgia. La presenza del gene di fusione PAX3/7-FOXO1 ha un valore prognostico.

Come si cura

Il rabdomiosarcoma è un tumore raro il cui trattamento richiede l’intervento di équipe multidisciplinari esperte e dedicate. La terapia deve tenere conto delle caratteristiche dei pazienti e del tipo di tumore, fra cui la sede, la variante istologica, le dimensioni e lo stadio.

Grazie alla ricerca, i progressi delle terapie hanno portato a un miglioramento della sopravvivenza, specialmente nei pazienti che non presentano localizzazioni a distanza della malattia.

 

La chirurgia è in genere la prima scelta e viene eseguita con l’intento di rimuovere la massa tumorale. In alcuni casi, però, la posizione del tumore rende difficile o impossibile l’approccio chirurgico ed è quindi necessario scegliere altre terapie.

 

La chemioterapia viene utilizzata per ridurre la massa tumorale prima dell’intervento chirurgico e, dopo l’intervento, per ridurre o eliminare il rischio di ripresa della malattia. Il rabdomiosarcoma in genere è sensibile alla chemioterapia: si utilizzano combinazioni di più farmaci che si sono rivelate particolarmente efficaci e che possono variare in termini di composizione e dosi a seconda del gruppo di rischio.

 

Anche la radioterapia può avere un ruolo nel trattamento del rabdomiosarcoma e può essere somministrata in forme diverse, sia da una sorgente esterna sia ponendo la sorgente radioattiva a contatto col tumore (brachiterapia). La radioterapia viene utilizzata per ridurre la massa tumorale prima dell’intervento chirurgico, ma più frequentemente è impiegata per trattare aree del tumore che né la chirurgia né la chemioterapia hanno potuto eliminare.

 

Sono allo studio anche nuovi farmaci a bersaglio molecolare e terapie che aumentano la risposta immunitaria contro il tumore.

 

Poiché il rabdomiosarcoma colpisce pazienti pediatrici, è essenziale considerare attentamente anche gli inevitabili effetti collaterali della chemioterapia e della radioterapia per impedire deficit funzionali o la tossicità a lungo termine che possono compromettere la qualità della vita dei giovani pazienti.

Le informazioni di questa pagina non sostituiscono il parere del medico.

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