Leucemia linfoblastica acuta del bambino

La leucemia linfoblastica acuta è il tumore del bambino più frequente in assoluto.

Ultimo aggiornamento: 6 dicembre 2023

Tempo di lettura: 10 minuti

Cos'è la leucemia linfoblastica acuta

La leucemia linfoblastica acuta è un tumore delle cellule del sangue. Anche abbreviata come LLA o ALL (acronimo dell’inglese Acute Lymphoblastic Leukemia), questa leucemia si forma quando un linfoblasto si trasforma da sana in tumorale, iniziando a moltiplicarsi in modo incontrollato. I linfoblasti sono cellule immature del sistema immunitario che risiedono nel midollo osseo e sono destinate a dare origine a linfociti B o T.

In condizioni normali, un linfoblasto dà origine ai globuli bianchi di tipo linfoide, ovvero i linfociti. Normalmente un linfoblasto si moltiplica generando nuovi globuli bianchi che sostituiscono quelli invecchiati ed eliminati. Se, però, il DNA del linfoblasto è alterato, può acquisire nuove proprietà che lo trasformano in una cellula tumorale capace di moltiplicarsi senza sosta. Le cellule leucemiche si accumulano nel midollo osseo, poi entrano nel sangue e raggiungono altri organi come i linfonodi, la milza, il fegato e, in alcuni casi, il sistema nervoso centrale o i testicoli.

La parola all'esperto

L'oncologo pediatra Andrea Biondi parla della leucemia linfoblastica acuta e dei progressi della ricerca su questa malattia.

Quanto è diffusa

La leucemia linfoblastica acuta è il tumore infantile più frequente in assoluto. Le leucemie rappresentano infatti un terzo di tutti i tumori dei bambini e circa 4bambini su 5 colpiti da leucemia sviluppano la leucemia linfoblastica acuta. In Italia, ogni anno si registrano 35-40 nuovi casi per milione di bambini e ragazzi (fino ai 18 anni). L’incidenza è leggermente più alta tra i maschi che tra le femmine. La leucemia linfoblastica acuta colpisce soprattutto i bambini di età compresa tra 2 e 6 anni: in questa fascia d’età l’incidenza può arrivare a 80-90 bambini su un milione.

I bambini che si ammalano di questa leucemia nel primo anno di vita (lattanti) sono a rischio di sviluppare una forma particolarmente difficile da curare, con una lesione molecolare che è associata a una prognosi particolarmente critica.

Chi è a rischio

Hanno maggiori probabilità di sviluppare la leucemia linfoblastica acuta i bambini che hanno malattie genetiche come la sindrome di Down o alcune rare malattie del sistema immunitario.

Tipologie

In passato si usava la classificazione Francese-americana-britannica (FAB), basata sull’aspetto (morfologia) delle cellule osservate al microscopio. Con questo sistema di classificazione si distinguono 3 tipi di leucemia linfoblastica acuta: L1, L2 e L3.

Tuttavia, questa classificazione oggi è largamente superata e si preferisce una classificazione basata sulle molecole presenti sulle cellule tumorali (il cosiddetto immunofenotipo). La presenza di certe molecole è, infatti, specifica del tipo di cellula e del suo stadio di maturazione. Dai linfoblasti derivano due tipi di linfociti, i linfociti B e i linfociti T, per cui, a seconda delle cellule coinvolte, si distinguono leucemie linfoblastiche a cellule B e a cellule T.  In particolare, i principali tipi di leucemia linfoblastica acuta sono:

  • leucemie linfoblastiche a cellule B, che costituiscono circa l’85 per cento delle leucemie linfoblastiche dei bambini:
  • LLA common;
  • LLA pre-B;
  • LLA pro-B;
  • LLA a cellule mature.
  • leucemia linfoblastica a cellule T, che colpisce più frequentemente i maschi ed è più comune tra gli adolescenti.

Sintomi

La diminuzione dei globuli rossi (anemia) rende i bambini pallidi, stanchi, facilmente affaticabili e deboli, mentre la diminuzione dei globuli bianchi comporta un aumento del rischio di infezioni accompagnate da febbre. La proliferazione delle cellule leucemiche può portare anche a un ingrossamento dei linfonodi, del fegato e della milza. Inoltre, la diminuzione delle piastrine fa sì che i bambini siano più soggetti a sanguinamenti ed ematomi. Altri possibili sintomi sono dolori alle ossa e alle articolazioni, perdita di appetito e di peso, mal di testa e nausea.

Molti sintomi delle leucemie sono quindi comuni ad altre malattie meno gravi, per esempio le infezioni, per cui in caso si sospetti questo tumore è importante consultare tempestivamente il pediatra, in modo da identificare accuratamente e il prima possibile la causa dei sintomi.

Prevenzione

Per poter prevenire un tumore occorre conoscerne le cause, che però sono molteplici e non sempre note per tutti i tipi di cancro. Anche quando le cause sono note, non è quasi mai possibile ricostruire come si è sviluppato un tumore. Infatti, quando un cancro è stato ormai diagnosticato, negli adulti si può soltanto supporre che abitudini e comportamenti poco salutari o che l’esposizione a sostanze cancerogene possano avere contribuito alla crescita tumorale. Nei bambini, data la giovane età, è ancora più difficile individuare le cause della malattia.

A oggi non si conoscono fattori di rischio modificabili per la leucemia linfoblastica acuta, per cui non è al momento possibile definire strategie efficaci per la prevenzione. Per lo stesso motivo è importante che i genitori dei bambini con una leucemia linfoblastica acuta sappiano che non hanno alcuna responsabilità per la malattia del proprio figlio.

Diagnosi

Il pediatra (o un altro medico) che visita un bambino con sintomi che fanno sospettare una leucemia, innanzitutto raccoglie informazioni sulla sua storia clinica e su quella familiare. Quindi, visita il bambino per verificare se presenta alterazioni fisiche, come l’ingrossamento dei linfonodi, del fegato oppure della milza.

In seguito si possono effettuare analisi del sangue per misurare il numero e la distribuzione relativa di tutti i tipi di cellule del sangue e rilevare eventuali anomalie nel loro aspetto. Nella leucemia, le cellule tumorali si moltiplicano a dismisura e prevalgono sulle cellule sane, così la concentrazione di globuli rossi, piastrine e globuli bianchi viene alterata.

Per la conferma della diagnosi è necessario analizzare il midollo osseo grazie a un esame in cui viene prelevato un piccolo campione di midollo inserendo un ago sottile, collegato a una siringa, in un osso (agoaspirato del midollo osseo). Quindi, con un altro ago i medici prelevano un minuscolo cilindro di osso (biopsia del midollo). In genere i campioni sono prelevati nella parte posteriore delle ossa del bacino e le procedure vengono effettuate in sedazione per evitare qualsiasi dolore o sofferenza al bambino.

In alcuni casi, le cellule leucemiche raggiungono il liquido cefalorachidiano (liquor), che riempie gli spazi attorno a cervello e midollo spinale. Per confermare la diagnosi è possibile anche effettuare una puntura lombare (rachicentesi). Dopo la sedazione del paziente, si inserisce un ago lungo e sottile tra due vertebre e si raccoglie una piccola quantità di liquido cefalorachidiano (l’ago si ferma nella cavità che contiene il liquido cefalorachidiano e non raggiunge il midollo spinale).

I campioni di sangue e midollo del paziente sono sottoposti anche a esami di tipo cromosomico o molecolare per evidenziare le eventuali anomalie genetiche. Questo è fondamentale sia per classificare la malattia sia per scegliere la terapia più appropriata a ogni specifico caso.

Evoluzione

Nel caso di persone con tumori solidi si può stabilire lo stadio del tumore in base alle sue dimensioni e a quanto si è diffuso nell’organismo: più avanzato è lo stadio e più la malattia è grave. Il caso della leucemia è un po’ diverso: anche se si valuta accuratamente se le cellule hanno raggiunto linfonodi, milza, fegato, testicoli o altri organi, non si procede a una stadiazione come nelle neoplasie solide. In caso di leucemia linfoblastica acuta, la probabile evoluzione della malattia (prognosi) e la risposta alle terapie sono valutate soprattutto in base alle alterazioni molecolari o cromosomiche tipicamente riscontrate in questo tipo di tumore. Infatti, alcune di esse sono associate a una maggiore o minore probabilità di guarigione.

Se le terapie sono efficaci, il paziente va in remissione, ovvero non presenta più sintomi della malattia, il numero di cellule del sangue è nella norma e nel midollo osseo meno del 5 per cento dei blasti è leucemico. Quando nel midollo è ancora presente una piccola quantità di cellule tumorali, rilevate solo dai test più sensibili, si parla di malattia minima residua. I bambini con malattia minima residua hanno una maggiore probabilità di andare incontro a una recidiva.

Grazie ai progressi nelle terapie, oggi il 90 per cento circa dei bambini che si ammalano di leucemia linfoblastica acuta è vivo a 5 anni dalla diagnosi.

Come si cura

La scelta del trattamento più indicato per il caso specifico dipende da diversi fattori, come il tipo di leucemia e le lesioni cromosomiche o molecolari identificate. I bambini con sindrome di Down sono più fragili e tollerano meno bene le terapie citostatiche. Alcuni farmaci, quali per esempio il metotrexato, devono essere impiegati a dose ridotta nei bambini con sindrome di Down e leucemia linfoblastica acuta. In generale la prognosi dei bambini con sindrome di Down e leucemia linfoblastica acuta è meno favorevole rispetto a quella dei bambini con un assetto normale dei cromosomi nei tessuti non malati. In genere, il trattamento impiegato per la cura della leucemia linfoblastica acuta alla diagnosi è la chemioterapia. Generalmente si utilizzano più farmaci in combinazione, somministrati per via endovenosa, intramuscolare o orale e il trattamento viene effettuato a cicli: la somministrazione dei farmaci viene interrotta per poi essere ripresa a distanza di tempo. In questo modo l’organismo ha modo di riprendersi. Il trattamento della leucemia linfoblastica acuta in genere si protrae per 2 anni circa e la fase più impegnativa del trattamento è nei primi 9-10 mesi.

In casi specifici si utilizzano le terapie a bersaglio molecolare, ossia farmaci mirati a specifici recettori presenti sulla superficie delle cellule leucemiche. Le cellule leucemiche di alcuni pazienti con leucemia linfoblastica acuta possiedono il cosiddetto cromosoma Philadelphia. Si tratta di un cromosoma anomalo che si forma quando un pezzo del cromosoma 9 si fonde con il cromosoma 22. Si forma così un gene nuovo e anomalo che contiene informazioni per sintetizzare una proteina anch’essa anomala, chiamata Bcr/Abl, e che sostiene la proliferazione incontrollata della cellula leucemica. Farmaci specifici, detti inibitori delle tirosin kinasi, bloccano l’attività della proteina Bcr/Abl e possono essere somministrati assieme alla chemioterapia.

Nei casi che non rispondono alla chemioterapia o vanno incontro a recidiva, talvolta si ricorre al trapianto di cellule staminali. Innanzitutto, al bambino sono somministrati farmaci chemioterapici ad alte dosi, che eliminano tutte le cellule tumorali ma anche la parte sana del midollo osseo (il tessuto contenuto nelle ossa che produce cellule del sangue, diverso dal midollo spinale, il tessuto nervoso contenuto nella colonna vertebrale). Successivamente si iniettano per via endovenosa nuove cellule staminali che sono state prelevate dal midollo osseo o dal sangue di un donatore (trapianto allogenico), in genere un fratello o una sorella, con una probabilità su 4 di essere compatibile con il paziente. Tale compatibilità è essenziale affinché le cellule trapiantate, che provengono dal sistema immunitario del donatore, non attacchino le cellule del paziente, provocando la malattia del trapianto contro l’ospite. Le nuove cellule, che andranno a localizzarsi nel midollo osseo del paziente, dovrebbero garantire la produzione di cellule del sangue sane.

Un’ alternativa al trapianto da fratello o sorella compatibile è il trapianto da un donatore non consanguineo, reperibile in uno dei registri internazionali che annoverano ormai più di 40 milioni di donatori. In genere solo in 6 casi su 10 è possibile identificare un donatore non consanguineo compatibile con un paziente. In tempi recenti, grazie a studi sostenuti da AIRC, è stato messo a punto un metodo per utilizzare come donatore uno dei genitori: le cellule da trapiantare, prelevate dal genitore biologico, sono prima manipolate in laboratorio, in modo che diventino compatibili con l’ospite.

Un approccio terapeutico innovativo per il trattamento della leucemia linfoblastica acuta a cellule B che non risponde ai trattamenti convenzionali è l’immunoterapia, in cui si impiegano anticorpi monoclonali oppure le cellule CAR-T. Queste cellule sono i linfociti T normali estratti dal paziente e geneticamente modificati in laboratorio per essere equipaggiati con una molecola chiamata recettore chimerico antigenico, in breve CAR. Tramite il recettore CAR queste cellule modificate, una volta reintrodotte nel paziente, riconoscono specificatamente e con grande efficienza le cellule tumorali da uccidere.

Un altro farmaco mirato sperimentato con successo nella leucemia linfoblastica acuta e approvato per il trattamento di pazienti che non hanno risposto ad altre terapie, o in cui la leucemia si è ripresentata, è l’anticorpo monoclonale blinatumomab, che favorisce l’aggressione delle cellule leucemiche da parte dei linfociti sani del paziente stesso. Infine, sono incoraggianti anche i dati su un altro anticorpo monoclonale, chiamato inotuzumab e diretto contro un bersaglio diverso, la molecola CD22.

Per trattare eventuali cellule leucemiche situate a livello del sistema nervoso centrale o dei testicoli può essere utile la radioterapia. Un tipo particolare di radioterapia, l’irradiazione totale corporea, viene impiegata nelle fasi che precedono il trapianto di cellule staminali (regime di condizionamento), mentre la chirurgia non trova spazio nel trattamento della leucemia linfoblastica acuta.

Come per gli altri tipi di tumore, è importante che i bambini che si ammalano di leucemia linfoblastica acuta siano seguiti in centri pediatrici altamente specializzati, qualificati e con casistiche adeguate. Gli onco-ematologi pediatrici e gli altri membri dello staff conoscono infatti le differenze tra il tumore dell’adulto e quello del bambino e sono particolarmente attenti alle necessità dei piccoli pazienti e delle loro famiglie.

Le informazioni di questa pagina non sostituiscono il parere del medico.

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