Come affrontare i sintomi più comuni della malattia e gli effetti collaterali delle terapie

Avere il cancro può cambiare la vita in modo significativo. I sintomi della malattia e gli effetti collaterali delle terapie possono provocare cambiamenti fisici e psichici.

Numerose strategie sono state ideate e messe a punto nel tempo per ridurre gli effetti collaterali della chemioterapia e di altre terapie. Tuttavia non tutti possono essere eliminati e il loro impatto può variare da paziente a paziente. La variabilità può riguardare sia l’intensità dei sintomi sia la loro durata nel tempo: in generale, gli effetti indesiderati sono di breve durata, ma alcune persone possono soffrirne più a lungo. 

  • Fatigue
  • Disturbi dell’apparato gastrointestinale
  • Caduta di peli e capelli
  • Problemi di pelle e unghie
  • Disturbi a bocca, denti, gola
  • Disturbi cognitivi
  • Neuropatia periferica
  • Disturbi del sonno
  • Anemia e coaguli
  • Dolore

Fatigue

Il termine inglese di origine francese è usato nel gergo medico per indicare una condizione di profonda stanchezza e affaticamento frequente nei pazienti oncologici. I malati si sentono molto deboli, come svuotati di ogni energia: possono avere difficoltà a concentrarsi, a ricordare le cose e a svolgere attività quotidiane anche semplici come rifare il letto, pettinarsi, o addirittura guardare la tv.

Le cause

La fatigue può dipendere da vari fattori:

  • la malattia in sé, per via di possibili effetti sul metabolismo o dell’impegno che l’organismo mette nel contrastarla;
  • la presenza di anemia o infezioni;
  • l’azione dei trattamenti oncologici o l’effetto dell’eventuale accumulo di farmaci nell’organismo. Il senso profondo di stanchezza può essere infatti avvertito in modo più marcato nei giorni in cui i pazienti si sottopongono alla chemioterapia e in quelli immediatamente successivi;
  • disturbi del sonno, difficoltà a nutrirsi in modo adeguato e dolori di varia natura;
  • fattori psicologici, per l’elevato carico di preoccupazione che la diagnosi e la malattia portano con sé.

Come affrontarla

A seconda delle cause, per prevenire o attenuare la fatigue possono giovare strategie specifiche come interventi farmacologici, per esempio in caso di anemia, o cambiamenti della dieta. In generale, per le incombenze domestiche e la cura dei figli è utile – se possibile – chiedere aiuto a parenti e amici e cercare di organizzare il più possibile la giornata, in modo che siano sempre presenti momenti di riposo e rilassamento. Anche la settimana va ripensata, al fine di evitare carichi di attività eccessivi o squilibrati tra i diversi giorni. Per il lavoro, se possibile andrebbero previsti il passaggio al lavoro in remoto e riduzioni dell’orario, almeno in via temporanea. Per i lavoratori dipendenti la legge prevede, da questo e altri punti di vista, una serie di tutele.

Disturbi dell’apparato gastrointestinale

Nausea e vomito

Nausea e vomito sono effetti collaterali relativamente comuni dei trattamenti contro il cancro e in particolare della chemioterapia. Possono presentarsi tuttavia anche in seguito a immunoterapia o radioterapia, specie se quest’ultima è mirata all’addome o al cervello. Per migliorare la qualità della vita durante i trattamenti e permetterne la prosecuzione fino a quando è necessario, è molto importante che nausea e vomito siano ben controllati. Altrimenti possono provocare disidratazione importante, malnutrizione, cambiamenti del metabolismo e del peso corporeo, e persino alterazioni dello stato mentale.

Questi sintomi possono essere:

  • acuti, se compaiono entro 24 ore dall’inizio del trattamento;
  • ritardati, se compaiono a partire da 24 ore dopo;
  • cronici, se permangono anche dopo l’interruzione del trattamento.

Inoltre, soprattutto nel caso della chemioterapia, nausea e vomito possono essere anticipatori, cioè presentarsi prima di iniziare i trattamenti. Quando cicli precedenti di chemioterapia hanno provocato nausea e vomito può bastare la vista di una stanza associata alla terapia, la percezione del suo odore o dei suoni tipici, per scatenare di nuovo i sintomi.

I fattori di rischio

Diversi fattori influenzano il rischio di nausea e vomito a seguito dei trattamenti anticancro. Alcuni sono legati alla sede della malattia e altri al trattamento, per esempio al tipo di farmaco utilizzato o, in caso di radioterapia, alla dose delle radiazioni, o ancora al ricorso ad alcuni farmaci analgesici per il trattamento del dolore oncologico. Altri fattori di rischio sono individuali e possono dipendere per esempio dall’età e dal genere: si tratta in generale di sintomi più frequenti sotto i 50 anni e leggermente più comuni nelle donne. Possono anche essere associati al fatto di aver sofferto di mal d’auto o mal di mare (in gergo medico, cinetosi) o di nausea e vomito durante eventuali gravidanze. I risultati di uno studio recente, pubblicati sulla rivista Cancer Nursing, hanno mostrato che tenersi occupati e portare avanti le proprie attività lavorative, quando possibile, può prevenire gli effetti collaterali di nausea e vomito nelle donne in trattamento per tumori ginecologici.

Come si interviene

Il primo obiettivo dei medici è prevenire l’insorgenza di nausea e vomito, per evitare che compaiano. Sia per la prevenzione sia per il controllo si usano farmaci detti antiemetici, che di solito sono iniettati in vena insieme ai chemioterapici e possono poi essere assunti per via orale o intramuscolare. Possono essere utili anche alcune strategie alimentari, come frazionare i pasti in più spuntini durante il giorno, scegliendo cibi secchi ed evitando quelli piccanti o con odore e sapore troppo forti.

Diarrea o stipsi

Sia la malattia sia i trattamenti possono provocare disturbi intestinali come diarrea o stitichezza (in gergo stipsi). Questi sintomi vanno tenuti sotto controllo non solo perché sono fastidiosi ma soprattutto perché, se non trattati, possono portare a complicazioni più serie. La diarrea, per esempio, può portare a disidratazione e a un’eccessiva perdita di sali minerali, mentre la stitichezza può arrivare a causare ostruzione intestinale.

Come si interviene

In entrambi i casi è fondamentale garantire l’idratazione e assumere eventuali farmaci specifici solo in base alle indicazioni del medico. Anche alcuni cambiamenti nella dieta possono essere d’aiuto: per la diarrea, per esempio, è utile mangiare poco ma spesso, perché i pasti piccoli alleviano la pressione sull’intestino. Per la stitichezza, invece, può essere d’aiuto un’alimentazione ricca di fibre e cercare di muoversi, quando possibile, ogni giorno, per esempio facendo passeggiate e andando bicicletta o esercitandosi con la cyclette.

Perdita di appetito

Una prolungata perdita di appetito è piuttosto frequente nei pazienti oncologici e può determinare calo di peso e malnutrizione, compromettendo il proseguimento di eventuali terapie e il loro buon esito. Per perdita di appetito prolungata, non si intende quella che si può verificare in modo occasionale il giorno stesso del trattamento o quello seguente. Essa può dipendere da vari fattori, tra i quali la malattia in sé, la presenza di fatigue, dolore o condizioni come stress, paura, ansia e depressione. Inoltre può essere una conseguenza di vari effetti collaterali dei trattamenti contro il cancro, come nausea, vomito, stipsi, ulcerazioni alla bocca o cambiamenti nel gusto e nell’olfatto.

Come si interviene

In caso di perdita di appetito è opportuno avvertire il proprio medico, che potrebbe consigliare di consultare un nutrizionista. In questo modo si può evitare di protrarre la condizione fino a causare indebolimento o disidratazione eccessiva e malnutrizione. Alcuni piccoli accorgimenti possono tuttavia essere utili per contrastare la perdita di appetito e le sue conseguenze. Per esempio se non si riesce a sostenere pasti completi:

  • cercare di mangiare poco ma spesso, privilegiando alimenti con un buon contenuto calorico e proteico;
  • tenere a portata di mano piccoli snack pronti all’uso, come frutta secca o a guscio;
  • bere di frequente;
  • valutare se ci sono momenti della giornata in cui si riesce a mangiare un po’ di più. Alcuni possono preferire la mattina, altri la sera prima di andare a letto;
  • provare consistenze differenti dei cibi, per esempio alimenti solidi o morbidi e freschi, come i frullati;
  • cercare di mantenersi attivi.

Problemi di pelle e unghie

Tutti i trattamenti oncologici, come radioterapia, chemioterapia, ma anche immunoterapia, terapie a bersaglio molecolare e trapianto di cellule staminali emopoietiche, possono provocare effetti sulla pelle. Tra questi, i più comuni sono secchezza, prurito, rossore, gonfiore, eritema e desquamazione. Possono esserci anche cambiamenti nella pigmentazione e formazione di vesciche. In alcuni casi le lesioni sulla pelle possono infettarsi. L’intensità e l’estensione di questi effetti dipende dal tipo di trattamento. Anche le unghie possono andare incontro a cambiamenti in conseguenza delle terapie, diventando più fragili e facili da scheggiare, e cambiando colore.

Come si interviene

I disturbi della pelle possono essere trattati con prodotti appositi consigliati dal medico, anche per quanto riguarda la detersione. In particolare durante la chemioterapia è molto importante la protezione solare, perché la pelle può diventare molto fotosensibile e in seguito all’esposizione al sole possono comparire bolle, arrossamenti e macchie. Attenzione: questo non significa che non ci si possa esporre, ma occorre farlo con particolare cautela. Si consiglia di evitare le ore centrali della giornata, dalle 10 alle 17, e proteggersi sia con indumenti sia con creme solari con massimo fattore di protezione (50+).

Disturbi alla bocca, ai denti e alla gola

Chemioterapia, immunoterapia e radioterapia applicata soprattutto a tumori della testa e del collo possono provocare effetti collaterali a carico di bocca, gola e denti. Oltre al fastidio, questi effetti possono diventare significativi se ostacolano la normale alimentazione, causando disidratazione o malnutrizione. Tra i disturbi più comuni si trovano disgeusia (alterazione del senso del gusto, per cui gli alimenti possono risultare più dolci, amari, acidi o dal sapore metallico), secchezza, disfagia (difficoltà a deglutire), comparsa di lesioni e ulcerazioni, sensibilità al caldo e al freddo, carie. Questi disturbi in genere si risolvono entro qualche settimana dal termine del trattamento.

Come si interviene

Il medico può consigliare farmaci per attenuare il dolore e risciacqui per evitare l’infezione delle ulcere. Anche in questo caso, però, possono essere d’aiuto piccoli accorgimenti:

  • preferire cibi morbidi, umidi, facili da inghiottire e freddi, se il sapore sembra sgradevole;
  • in caso di secchezza utilizzare un balsamo per le labbra;
  • bere spesso.

Disturbi cognitivi

Durante e dopo il trattamento alcuni pazienti oncologici possono avere difficoltà a concentrarsi o a memorizzare le informazioni, problemi a organizzarsi o a eseguire più compiti contemporaneamente, a imparare cose nuove o a finire quanto cominciato. In effetti si parla proprio di “cervello da chemio” (chemo-brain) o di “nebbia da chemio” per indicare una condizione di torpore mentale che può accompagnare questo o altri tipi di terapia (radioterapia, terapia ormonale, chirurgia). In alcuni casi la nebbia mentale può presentarsi anche prima del trattamento. La condizione è in genere di breve durata, ma talvolta può persistere anche più a lungo. Le conseguenze possono essere significative per la qualità della vita, perché i pazienti possono faticare a svolgere le normali attività quotidiane o lavorative.

Le cause

Non è ancora del tutto chiaro che cosa possa provocare questo stato di torpore mentale. Tra le possibili cause vi sono: la malattia di per sé, alcuni farmaci usati per il trattamento del cancro o di alcuni suoi effetti collaterali, la presenza di altri disturbi come fatigue, dolore, disturbi del sonno e dell’umore (ansia, depressione), la malnutrizione e l’uso di alcol o altre sostanze psicoattive.

Come si interviene

Se necessario, il medico può consigliare di rivolgersi a professionisti specializzati nelle condizioni associate al “cervello da chemio”, come la malnutrizione, i disturbi dell’umore e l’insonnia. Anche da soli è possibile seguire alcuni accorgimenti che possono aiutare a migliorare la situazione, come cercare di mantenersi attivi con l’esercizio fisico o attività come il giardinaggio, che promuovono l’attenzione e la concentrazione. Anche la meditazione può essere utile in questo senso. Allo stesso tempo bisogna anche cercare di riposare il più possibile, mantenere una routine quotidiana e organizzare in dettaglio la giornata, magari aiutandosi con agende e planner, per non svolgere troppe mansioni in contemporanea. Da evitare il più possibile sono le bevande alcoliche e altre sostanze psicoattive.

Neuropatia periferica

Alcuni trattamenti oncologici possono provocare neuropatia periferica, cioè un danno ai nervi periferici. Si tratta dei nervi che portano impulsi dal cervello ad altre parti del corpo e viceversa, e possono avere funzione:

  • sensitiva, se trasmettono segnali relativi a temperatura, dolore, percezioni tattili;
  • motoria, se comandano i muscoli e i movimenti volontari;
  • autonomica, se controllano azioni involontarie dell’organismo come il battito cardiaco o la pressione del sangue.

A seconda dei nervi interessati da una neuropatia, le manifestazioni possono essere diverse. Tra queste: dolore o, al contrario, insensibilità al dolore e alla temperatura (caldo o freddo), formicolii e sensazione di essere punti da aghi a mani e piedi (e talvolta anche arti), difficoltà a compiere movimenti fini, a deglutire e a respirare, perdita di equilibrio, crampi, alterazioni della sudorazione, vertigini, disturbi urinari (incontinenza o difficoltà a svuotare la vescica) e diarrea o stitichezza.

Le cause

La causa più frequente di neuropatia periferica nei pazienti oncologici è la chemioterapia. Spesso gli effetti tossici a carico dei nervi periferici possono portare a sospendere la chemioterapia o a ridurre i dosaggi previsti. In genere la neuropatia periferica indotta da chemio dura per alcune settimane o mesi, anche dopo il termine del trattamento. Talvolta, però, può durare anche più a lungo o diventare permanente. Anche la radioterapia e gli interventi chirurgici possono causare questa condizione e lo stesso può fare la malattia in sé, se la massa tumorale comprime i nervi. La neuropatia periferica può inoltre essere aggravata da disturbi preesistenti come il diabete o dal consumo di alcol.

Come si interviene

Alcuni farmaci possono essere prescritti per attenuare alcuni dei sintomi della neuropatia periferica. In alcuni casi è indicata anche la fisioterapia, per promuovere il recupero di funzioni eventualmente compromesse, come la motricità fine. È anche molto importante imparare a gestire i propri sintomi e prendersi cura di sé per evitare ulteriori rischi. Per esempio: se ci sono disturbi alle mani, prestare molta attenzione quando si utilizzano oggetti potenzialmente pericolosi come forbici e coltelli; se si è insensibili al caldo, prestare molta attenzione quando si devono maneggiare oggetti bollenti e misurare la temperatura dell’acqua del bagno con un termometro; mettere in sicurezza l’abitazione con maniglie e appigli se si hanno problemi di equilibro e vertigini.

Disturbi del sonno

I disturbi del sonno sono piuttosto frequenti nei pazienti con tumore. Secondo una revisione della letteratura scientifica pubblicata di recente sull’argomento, ne soffre tra il 30 e il 50 per cento della popolazione oncologica, con tassi due-tre volte più elevati rispetto alla popolazione generale. Questi disturbi possono inoltre persistere nel tempo con un impatto significativo sulla qualità della vita e si possono manifestare con:

  • insonnia, il sintomo più noto, spesso associato a sonnolenza durante il giorno;
  • ipersonnia, o il bisogno continuo di dormire;
  • difficoltà a riposare in modo continuativo, per esempio a causa di incubi o anche per la necessità di andare al bagno spesso o per il dolore;
  • apnee notturne;
  • sindrome delle gambe senza riposo, che provoca un’irrefrenabile sensazione di fastidio alle gambe.

Le cause

Le ragioni dei disturbi del sonno nei pazienti con tumore possono essere diverse. Si può trattare di effetti collaterali delle terapie oncologiche in corso o della conseguenza dei disturbi dell’umore, come ansia e depressione, o di condizioni fisiche associate alla malattia e ai trattamenti, come nausea e vomito, crampi, vampate di calore e dolore. In genere il dolore è considerato una causa diretta dei disturbi del sonno, ma può succedere anche il contrario: secondo i risultati di vari studi sperimentali e clinici, la perdita di sonno aumenta la sensibilità al dolore e riduce l’effetto di eventuali analgesici. Per questo nei pazienti che soffrono sia di dolore oncologico sia di disturbi del sonno, agli interventi specifici si possono associare terapie contro il dolore.

Come si interviene

Per prima cosa può essere utile tenere una sorta di diario del sonno, in cui annotare le proprie abitudini. Per esempio a che ora si va a dormire, quante volte ci si sveglia per notte, che cosa potrebbe aver disturbato il sonno notturno, quanto esercizio fisico si svolge durante il giorno, quali farmaci si assumono, quante bevande alcoliche o con caffeina si consumano durante il giorno, e a che ora. Tale diario può aiutare il medico di famiglia – o eventualmente uno specialista – a capire quali sono i principali fattori che interferiscono con un buon riposo e a individuare gli interventi più utili.

Possono essere messe in atto molte strategie diverse per migliorare la qualità del sonno. Alcune sono buone pratiche valide generalmente per tutti:

  • mantenere un ambiente adeguato al riposo (buio e silenzioso);
  • evitare l’uso di schermi nelle ore prima di andare a dormire e limitare o evitare le bevande con caffeina, soprattutto prima del riposo;
  • mantenersi fisicamente attivi (quando possibile) di giorno, evitando però l’esercizio fisico alla sera;
  • non consumare pasti troppo pesanti soprattutto per cena.

Se queste strategie non sono sufficienti, si può ricorrere a terapie di tipo cognitivo-comportamentale e ad altre tecniche mirate a promuovere il rilassamento (ipnosi, mindfulness, meditazione ecc.). Possono essere proposti farmaci specifici, da assumere sempre dietro indicazione e controllo del medico.

Anemia e coaguli: un delicato equilibrio

I pazienti oncologici sanno bene che una delle manifestazioni più comuni della loro malattia è l’anemia, cioè la carenza di globuli rossi e di emoglobina, che provoca una sensazione generalizzata di spossatezza. L’anemia è un sintomo caratteristico della maggior parte dei tumori all’esordio, ma soprattutto durante la chemioterapia. Circa il 35 per cento delle persone con un tumore solido (cioè non del sangue o del sistema linfatico) già all’inizio della malattia presenta anemia, e questa percentuale sale al 50 per cento circa quando i pazienti sono affetti da un tumore delle cellule del sangue.

Molto comune, ma spesso poco considerata, è anche la trombosi, ovvero la formazione di coaguli nelle vene o, meno frequentemente, nelle arterie. La trombosi in alcuni casi si verifica come effetto collaterale di dosaggi non idonei dei farmaci utilizzati per correggere l’anemia.

Le cause dell’anemia nei pazienti con cancro

I motivi per cui i pazienti oncologici diventano anemici sono molteplici. Ci sono spesso delle perdite di sangue microscopiche nei tessuti malati (come accade nei tumori del sistema gastroenterico) oppure carenze nutrizionali: la persona ha una sensazione di malessere generalizzato che la porta a mangiare meno e comunque a non avere una dieta equilibrata. La stanchezza indotta dall’anemia può portare a non riuscire a far fronte nemmeno agli impegni quotidiani più banali.

Ancora, i tumori rilasciano sostanze tossiche che hanno un effetto deleterio sul midollo osseo, la “fabbrica” dei globuli rossi e delle altre cellule del sangue. È proprio qui che avviene il danno principale, ancora maggiore nel caso in cui le cellule tumorali invadano il midollo. A questo quadro bisogna poi aggiungere gli effetti della chemioterapia.

Negli ultimi anni sono stati prodotti nuovi farmaci antitumorali e sviluppate modalità di somministrazione che hanno ridotto numerosi effetti collaterali. Tuttavia buona parte dei farmaci e trattamenti antitumorali ha come principale bersaglio il DNA, una molecola essenziale alla vita e alla proliferazione delle cellule. Tali cure interferiscono in particolare con la replicazione del DNA, che avviene appena prima che una cellula si riproduca. In questo modo la crescita rapida e incontrollata delle cellule tumorali viene ridotta o bloccata del tutto. Inevitabilmente però sono colpite anche le cellule sane del nostro organismo che si riproducono velocemente, tra cui quelle del sangue, della pelle e così via. Sia la chemioterapia sia la radioterapia possono dunque ridurre la capacità del midollo osseo di produrre le cellule del sangue, tra cui i globuli rossi che trasportano in tutte le parti dell’organismo l’ossigeno e una parte dell’anidride carbonica. Quando i globuli rossi sono pochi, i tessuti non ricevono abbastanza ossigeno per le proprie attività e compaiono i sintomi dell’anemia. Frequentemente i pazienti lamentano una sensazione generalizzata di debolezza e stanchezza cui si possono accompagnare vertigini, perdita dell’attenzione, pallore della cute e delle labbra o addirittura difficoltà respiratorie con deterioramento generale della qualità di vita.

Come intervenire in caso di anemia

L’anemia può incidere negativamente sull’efficacia delle terapie, indipendentemente dal tumore cui è associata e per questo va continuamente controllata e corretta. Ma come si può curare senza vanificare l’effetto delle cure contro le cellule tumorali? Le strategie possibili sono diverse:

  • trasfusioni di sangue o di concentrati di globuli rossi;
  • trattamento con agenti che stimolano l’eritropoiesi, cioè il processo di produzione dei globuli rossi. Si tratta per esempio dell’eritropoietina, una sostanza naturalmente prodotta dal rene umano, nota al grande pubblico perché il farmaco è anche utilizzato nel doping sportivo;
  • trattamento con ferro, da solo o in combinazione con eritropoietina.

Le terapie contro l’anemia possono causare seri effetti collaterali e vanno perciò assunte sotto stretto controllo medico e seguendo specifiche linee guida. Il rischio maggiore è il sovradosaggio che porta a produrre globuli rossi in eccesso. Troppi globuli rossi possono causare rallentamenti o addirittura intasamenti nei vasi sanguigni, favorendo la formazione di trombi.

Cos'è la trombosi

Il sangue scorre fluido all’interno delle vene e delle arterie, ma coagula non appena arriva a contatto con l’aria, come avviene nel caso di una ferita. La fluidità è mantenuta grazie a un complesso equilibrio tra i fattori coagulanti e i fattori anticoagulanti prodotti dall’organismo. Quando però questo equilibrio si rompe e prevale la coagulazione, si arriva alla formazione di trombi, ovvero grumi di sangue che possono ostruire parzialmente o completamente un vaso sanguigno, arrestando il flusso e bloccando il trasporto dell’ossigeno e dei nutrienti nei vari organi del corpo.

La trombosi può riguardare sia le vene sia le arterie.

La trombosi venosa, che è più comune nei pazienti affetti da tumore, in genere colpisce una gamba alla volta, ma può verificarsi in qualunque distretto venoso. I sintomi chiave sono dolore, crampi, gonfiore e rossore alla gamba colpita, oppure la formazione di un ‘cordone’ duro lungo il tragitto della vena. A volte il trombo si rompe e qualche frammento, detto embolo, può raggiungere e bloccare la circolazione polmonare provocando difficoltà di respirazione, dolore al petto, tosse, agitazione e una sensazione di angoscia, con conseguenze anche molto gravi.

La trombosi arteriosa è in genere più grave, soprattutto quando si verifica in organi in cui ogni cellula è di vitale importanza (per esempio cuore, cervello, retina), causando patologie molto serie quali infarto cardiaco, ictus cerebrale, cecità.

Trombosi e cancro

Gli episodi di trombosi legati ai farmaci sono fortunatamente rari, ma il rischio non è da sottovalutare. Secondo i dati dell’American Society of Haematology, dal 5 al 20 per cento dei pazienti con cancro andrà incontro a trombosi venosa nel corso della storia della sua malattia e circa il 20 per cento di tutti i casi di trombosi venosa riguardano pazienti oncologici. In alcuni casi la trombosi è il primo segnale del cancro, pur essendo una delle sue conseguenze.

Le cause

Tra le cause dell’alta incidenza di trombosi nelle persone che hanno un cancro c’è la scarsa mobilità. Stare molto a letto rallenta la circolazione del sangue nelle gambe e può provocare uno squilibrio tra fattori coagulanti e anticoagulanti, favorendo i primi. Anche la chemioterapia può favorire la trombosi: intorno ai cateteri endovenosi a lunga permanenza usati per somministrare i farmaci, si possono formare dei ‘manicotti’ di coaguli. Inoltre i chemioterapici causano una sorta di infiammazione della parete interna dei vasi sanguigni che favorisce la formazione di trombi.

A volte la trombosi può anche essere conseguenza dell’anemia stessa: la mancanza di ossigeno nelle cellule può provocare un’infiammazione dei vasi. Inoltre la trombosi può essere legata al fatto che il tumore sta crescendo in zone dove ci sono vene importanti che vengono compresse: la circolazione è rallentata e il sistema di coagulazione si attiva.

Infine ci sono alcuni tumori, per esempio gli adenocarcinomi di fegato, prostata, vescica e polmone, che compromettono la produzione di alcune sostanze del sistema di coagulazione.

Come intervenire

A seconda dei casi il rischio di trombosi può essere ridotto o prevenuto ricorrendo a terapie anticoagulanti, che promuovono la fluidificazione del sangue. Secondo studi recenti, questi farmaci sembrano avere ripercussioni positive anche contro il tumore, riducendo la velocità con cui la malattia progredisce e la formazione di metastasi. I fluidificanti possono rendere anche le cellule tumorali meno capaci di aggregarsi tra loro e ostacolarne la capacità di impiantarsi in altri organi.

Il dolore oncologico

Che cos’è il dolore oncologico

In generale, il dolore è un meccanismo fisiologico di difesa con cui l’organismo segnala al cervello, tramite stimoli al sistema nervoso, una minaccia interna o esterna all’integrità dell'organismo stesso. Scopo della stimolazione è che l’individuo allertato risponda alla minaccia, evitando così eventuali danni maggiori. Esempi tipici sono la sensazione che si prova a contatto con una fiamma, e che istintivamente spinge a ritirare la mano, o il dolore di un arto fratturato, che impedisce di caricare e usare l’arto stesso, facilitando così la guarigione.

Nel caso del cancro il dolore è un sintomo diffuso, anche se non tutti i pazienti lo provano. Secondo i risultati di una revisione sistematica della letteratura scientifica sull’argomento, prova dolore dal 33 al 59 per cento dei pazienti oncologici in trattamento. Il sintomo si fa più frequente nelle fasi più avanzate della malattia, colpendo il 64 per cento dei pazienti. Nella maggioranza dei casi esiste però la possibilità di controllarlo.

Come si manifesta

Ognuno avverte il dolore in maniera individuale e non esiste una comune soglia di sopportazione. I medici lo sanno, per cui non si deve temere di chiedere sollievo anche se altri pazienti con la stessa malattia sembrano tollerare meglio i sintomi dolorosi.

Il dolore dovuto al cancro può essere acuto, per esempio quando è provocato dalle conseguenze immediate di un intervento, o cronico, quando il sintomo tende a persistere per mesi, seppure con notevoli fluttuazioni di intensità in relazione all’andamento della malattia e delle cure.

Le fluttuazioni di intensità del dolore da cancro sono comuni. Un episodio di dolore molto forte che sfugge al controllo di una terapia è detto, in gergo, dolore episodico intenso (breakthrough pain in inglese); in questo caso il medico aggiungerà alla terapia un ulteriore antidolorifico da prendere al bisogno.

L’intensità del dolore non è necessariamente associata alla gravità della malattia: piccoli tumori che comprimono un nervo possono farsi sentire molto più di altri di maggiore aggressività ed estensione.
A seconda delle cause che lo provocano, il dolore oncologico può essere avvertito come:

  • punture di spilli, formicolii, sensazione dolorosa di freddo o altre forme di alterazioni della sensibilità, bruciore o scosse (quando sono compressi o coinvolti nervi);
  • profondo, sordo o pulsante (per esempio quando è dovuto all'infiltrazione di un osso da parte del tumore);
  • trafitture o crampi (quando sono ostruiti o compressi dei visceri).
  • A volte il dolore può essere avvertito in una sede diversa da quella dell’organo colpito (dolore riflesso) oppure nella sede di un organo ammalato amputato chirurgicamente. È questo il caso della sindrome dell’arto fantasma, che può interessare anche il seno asportato nella mastectomia.

Le cause

Il dolore oncologico può dipendere dalla malattia o anche dai suoi trattamenti. La massa tumorale può provocare dolore in vari modi, ostruendo visceri come l’intestino, comprimendo o infiltrando il tessuto nervoso stesso oppure ossa, articolazioni o altri tessuti innervati. Inoltre la sensazione dolorosa può essere evocata dalla distensione della capsula che riveste alcuni organi (è il caso del fegato) o dalla pressione su organi racchiusi in pareti rigide, come il sistema nervoso centrale, a causa dell’aumento di volume occupato dal tumore che cresce. Talvolta sono gli stessi trattamenti usati per combattere la malattia a provocare dolore acuto o cronico, di minore o maggiore intensità.

Il dolore postoperatorio dopo un intervento chirurgico in genere si può controllare e passa in pochi giorni, ma talvolta può provocare lesioni nervose che si manifestano con sensazioni dolorose che possono permanere anche a distanza di mesi dalla fine delle cure, senza che ciò significhi un ritorno della malattia. Lo stesso fenomeno può essere provocato dalla radioterapia, che può anche arrossare, irritare e bruciare la pelle oppure provocare cicatrici dolorose.

Alcuni farmaci usati in chemioterapia possono provocare bruciore nella sede di iniezione, intorpidimenti e formicolii alle mani e ai piedi; altri possono favorire la formazione di afte in bocca così fastidiose da ostacolare l’alimentazione e la deglutizione. Di questi possibili effetti collaterali si tiene conto valutando i pro e i contro di ogni trattamento.

Come intervenire: i farmaci

La terapia del dolore fa parte a pieno titolo delle cure contro il cancro ed è giusto chiedere al proprio medico tutti i possibili provvedimenti, farmacologici e non, per alleviare il sintomo, eventualmente anche ricorrendo a uno specialista. Oggi, infatti, esistono molti sistemi che consentono di controllare e rendere sopportabile il dolore nella grande maggioranza dei casi. È fondamentale sottolineare che il dolore oncologico si può e si deve trattare e che oggi abbiamo gli strumenti per controllarlo o renderlo sopportabile nella maggior parte dei casi. Bisogna sfatare l’idea che farmaci a base di oppiacei od oppioidi siano il “segno della fine” e che il loro uso vada ridotto al minimo (gli oppiacei sono farmaci derivati dall’oppio, mentre gli oppioidi sono analoghi di sintesi). In effetti, la persistenza di uno stimolo doloroso facilita alterazioni nella trasmissione dell’impulso nervoso che lo rinforzano e lo rendono più difficile da controllare: anche per questo si consiglia sempre di chiedere al medico un sollievo al dolore. Al contrario, cercare di sopportarlo a ogni costo può portare ad alimentarlo e amplificarlo nel tempo, rendendone più difficile il trattamento.

Le ultime linee guida italiane sull’argomento sono state pubblicate dall’Associazione italiana di oncologica medica, in collaborazione con altre società scientifiche. Il punto di partenza è la strategia terapeutica proposta nel 1986 dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), per cui quando si prova dolore per il cancro si deve subito somministrare un farmaco per alleviarlo, cambiando la terapia o il dosaggio a mano a mano che la terapia precedente perde di efficacia. Da assumere sempre su prescrizione e controllo del medico, i farmaci indicati sono:

  • analgesici antinfiammatori non steroidei, anche detti FANS: si tratta di farmaci come il paracetamolo, che non contengono oppiacei né oppioidi;
  • oppiacei od oppioidi deboli, come per esempio la codeina;
  • oppiacei od oppioidi forti, per esempio la morfina o l’ossicodone, utilizzati a dosi crescenti.

Il passaggio da un tipo di trattamento al successivo o l’aumento delle dosi deve permettere di controllare i sintomi in modo soddisfacente per i pazienti. Questo scopo si raggiunge aumentando gradualmente la dose di oppiaceo od oppioide, attraverso un processo detto di titolazione. Una volta individuata la dose efficace, è necessario somministrarla a orari fissi, prevedendo dosi aggiuntive da prendere in caso di intensificazioni improvvise del dolore. Agli oppiacei od oppioidi si possono sempre continuare ad affiancare paracetamolo e farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS). Innovazioni nella strategia di gestione del dolore riguardano per esempio la possibilità di ruotare gli oppiacei od oppioidi.

In casi selezionati di dolore intenso – per esempio dopo importanti interventi chirurgici o talvolta quando non si riesce a controllare il dolore cronico in altro modo – i farmaci analgesici possono essere somministrati anche tramite cateteri inseriti da un anestesista nello spazio che circonda il midollo spinale, nella via rachidea.

Ci sono altri farmaci che possono migliorare la qualità di vita del paziente con dolore oncologico. Si tratta dei farmaci detti adiuvanti, che pur non agendo direttamente sul dolore, aumentano l’efficacia degli analgesici.

I più usati sono i cortisonici, gli antidepressivi, gli antiepilettici e i bisfosonati, che il medico deve prescrivere con attenzione soppesando in ogni caso rischi e benefici del trattamento. Gli steroidi vengono utilizzati soprattutto per la loro forte azione antinfiammatoria, per esempio per ridurre la pressione nel cranio in presenza di tumori o metastasi cerebrali; antidepressivi e antiepilettici possono essere utili soprattutto nel dolore neuropatico; i bisfosonati possono essere utilizzati come adiuvanti in particolare nel caso di pazienti con malattia ossea.

I possibili effetti collaterali dei farmaci contro il dolore oncologico

Gli effetti collaterali dei FANS sono spesso sottovalutati rispetto a quelli degli oppiacei o degli oppioidi, ma anche farmaci come il paracetamolo, a dosi elevate e prolungate nel tempo, possono avere conseguenze indesiderate: danni gastrointestinali per tutti, al fegato e cardiaci per alcuni di loro. Per questo anche il loro uso deve essere sempre valutato e prescritto dal medico.

L’uso degli oppiacei od oppioidi è invece spesso frenato dal rischio di instaurare una dipendenza. Se i pazienti assumono questi farmaci a scopo analgesico, alle dosi e con le modalità indicate dal medico, è raro che succeda. È invece frequente che si diventi tolleranti al farmaco, poiché l’organismo nel tempo si può abituare al principio attivo. In tal caso occorre una dose maggiore per controllare lo stesso livello di dolore. Il fenomeno non è necessariamente segno di dipendenza e non deve inoltre creare preoccupazione perché in genere il medico può aumentare la dose o aggiungere altri tipi di farmaco per controllare il dolore.

Gli oppiacei e gli oppioidi non sono privi di effetti collaterali, e anche per questo i rischi devono essere soppesati rispetto ai benefici, eventualmente contrastando tali effetti con altri rimedi. Seguono gli effetti collaterali più comuni associati all’uso terapeutico di questi farmaci.

  • A carico del sistema nervoso centrale: sonnolenza che di solito si risolve in pochi giorni, mentre confusione, vertigini, allucinazioni e altri disturbi si possono controllare aggiustando la dose;
  • A carico dell’apparato gastroenterico: circa la metà dei pazienti trattati con oppiacei od oppioidi va incontro a stitichezza, un sintomo che non sembra associato alla dose del farmaco e va prevenuto con lassativi o trattato con altri farmaci. Per esempio la somministrazione per via transdermica, con appositi cerotti medicati applicati sulla pelle, incide meno sulla motilità intestinale. Tra il 20 e il 40 per cento dei pazienti in cura va inoltre incontro a nausea e vomito, ma anche questi sintomi possono essere adeguatamente controllati con l’aggiunta di farmaci specifici.
  • A carico del sistema neurovegetativo: la stimolazione di particolari vie nervose da parte degli oppiacei od oppioidi può seccare la bocca, ostacolare l’evacuazione di urina e abbassare la pressione arteriosa quando ci si alza bruscamente.
  • A carico della cute: questi farmaci possono provocare anche prurito e aumentare la sudorazione.

Tutti questi effetti collaterali si possono ridurre con altri rimedi oppure modificando il tipo di farmaco, la sua dose, la via di somministrazione e migliorando l’idratazione dei pazienti per facilitare l’eliminazione della sostanza da parte dei reni.

Come si interviene: altri metodi

Oltre che con i farmaci analgesici, il dolore può essere controllato in molti altri modi:

  • le stesse terapie anticancro (chirurgia, chemioterapia e altri farmaci, radioterapia) possono essere sfruttate per ridurre la dimensione della massa e quindi anche il dolore. In questo caso si dice che si utilizzano a scopo palliativo;
  • i blocchi nervosi sono trattamenti che possono essere effettuati devitalizzando nervi specifici responsabili della trasmissione del dolore da una determinata zona;
  • interventi di immobilizzazione delle ossa colpite da metastasi (cementoplastica e vertebroplastica) servono a ridurre il dolore e il rischio di fratture patologiche;
  • piccoli accorgimenti della vita quotidiana possono contribuire a dare sollievo. Per esempio, cambiare posizione nel letto ogni due ore aiuta a prevenire rigidità e piaghe da decubito. Si può trarre beneficio anche da massaggi, impacchi caldi o freddi, esercizi di rilassamento e di respirazione. Infine, cercare di distrarsi chiacchierando, leggendo o guardando la televisione può aiutare a distogliere l’attenzione dal dolore;

Come e perché si misura il dolore prima e durante la terapia

Non esiste un esame strumentale che consenta di misurare il dolore che, come si è già detto, è un’esperienza per molti aspetti soggettiva. Tuttavia è molto importante per i medici conoscere bene le caratteristiche del sintomo, attraverso una serie di domande rivolte ai pazienti, per cercare di capire quali ne potrebbero essere le cause, ed eventualmente, se possibile, rimuoverle.

Occorre anche svolgere una valutazione quantitativa, cioè stabilire l’intensità del dolore avvertito dai pazienti, per capire se la cura funziona e quando eventualmente occorre cambiarla. Per questo si usano in genere delle scale di diverso tipo, che possono essere verbali (da “nessun dolore” a “insopportabile”), numeriche (da 0 a 10) o analogiche visive o attraverso disegni, utili soprattutto con i bambini.

  • Antonino Michienzi

    Giornalista, dopo la laurea in comunicazione e un master in comunicazione della scienza all’Università di Roma La Sapienza ha iniziato l’attività giornalistica con l’agenzia Zadig a Milano. Ha collaborato con diverse testate occupandosi di medicina, ricerca biomedica e sanità. Oggi, oltre che con Fondazione AIRC, collabora con l’Agenzia ANSA e con il portale HealthDesk.
  • Articolo pubblicato il:

    27 settembre 2023