Amici animali compagni di guarigione

Cani, gatti, ma anche criceti, conigli, asini, capre, mucche, cavalli, delfini e persino pesci rossi possono dare un prezioso contributo affettivo ai pazienti durante la cura di molte malattie, tra cui il cancro.

Già nell’antichità si era osservato il valore curativo” degli animali: a essi si attribuivano addirittura poteri soprannaturali e fu proprio uno dei padri della medicina, Ippocrate, a consigliare come rimedio all’insonnia e allo stress quella che oggi chiamiamo ippoterapia. Da quando i medici hanno cominciato a dare maggiore attenzione agli aspetti psicologici delle malattie come il cancro e i disturbi cronici, anche gli animali da compagnia quali aiuti terapeutici sono tornati in auge.

L’espressione pet therapy (dall’inglese pet, animale da compagnia, e therapy, terapia) è stata proposta per la prima volta nel 1964 dal neuropsichiatra infantile Boris Levinson, che aveva scoperto casualmente l’effetto benefico del suo cane Jingles su un bambino con autismo. Insieme a Samuel Corson ed Elizabeth O’Leary Corson, della Ohio State University, Levinson è stato tra i primi ad avviare uno studio scientifico sugli effetti di alcune attività con animali su alcune condizioni psichiatriche. È grazie a queste intuizioni che oggi alcuni animali possono vantare il titolo di “coterapeuti”, affiancando i medici nei percorsi di cura, interagendo con i pazienti e facilitando la comunicazione. Gli effetti benefici si notano soprattutto nei bambini e negli anziani che sono i primi destinatari di molte attività e terapie assistite con animali, come vengono chiamate con un’espressione più moderna e burocratica (le abbreviazioni sono AAA per attività assistita dagli animali eTAA per terapia assistita dagli animali).

Le basi scientifiche

Il Ministero della salute ha riconosciuto la validità scientifica delle terapie con animali nel 2003, ma già dal 1997 ha iniziato a sostenere diverse sperimentazioni rivolte a persone con disturbi cognitivi, comportamentali e psicologici. Nel 2007 l’Istituto superiore di sanità (ISS) ha avviato una ricognizione delle attività di pet therapy a livello nazionale, invitando alla stesura di linee guida sull’argomento, che sono state emesse dal Ministero della salute nel 2015.

È stato così definito il perimetro di una pratica, in cui vanno considerati anche gli aspetti etici dell’utilizzo degli animali a fini terapeutici e di assistenza. In tali linee guida è stato quindi tenuto conto sia dell’interesse dei pazienti, sia del benessere degli animali impiegati.

Nel 2009 il Ministero della salute ha, inoltre, istituito un Centro di referenza nazionale per gli interventi assistiti con gli animali presso l’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie. Questo centro ha, tra gli altri, il compito di stilare una relazione annuale dello stato dell’arte nel nostro Paese degli interventi assistiti da animali, di studiare nuovi campi di applicazione e di formare gli operatori.

I risultati di molti studi indicano che la pet therapy è utile soprattutto per anziani, bambini autistici o con handicap motorio e in generale per disabili fisici e psichici, ma anche pazienti con trauma spinale, ictus cerebrale, Alzheimer ed epilessia beneficiano di questo tipo di terapia.

In ambito oncologico ci sono meno studi sugli effetti della pet therapy rispetto a quelli disponibili per altri ambiti clinici. I dati raccolti finora, tuttavia, sono molto promettenti: i pazienti coinvolti dichiarano in genere un miglioramento della qualità della vita in seguito alla partecipazione a programmi di terapia assistita con gli animali, per esempio durante la radioterapia o la chemioterapia. I risultati mostrano un miglioramento in termini di percezione del dolore, stress psicologico, fatigue e depressione, in pazienti sia pediatrici, sia adulti o anziani. Si ritiene che questa azione analgesica ed eccitante dipenda da una riduzione di ormoni dello stress come il cortisolo e un aumento di sostanze chiamate endorfine.

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Un progetto ospedaliero esemplare

Anche in Italia ci sono ospedali che, per lo più in via sperimentale, ammettono al proprio interno gli animali quale integrazione delle cure, con l’obiettivo di alleviare la sofferenza fisica e psicologica dei pazienti e per consentire loro di affrontare al meglio sia il ricovero sia le terapie. La relazione tra pazienti e animali può restituire al malato autostima, sicurezza, capacità relazionale e in molti casi permette di riacquisire abilità psicologiche e motorie perse a causa della sofferenza.

L’Ospedale pediatrico Meyer di Firenze, per esempio, porta avanti un programma di attività assistita con gli animali all’interno del reparto di terapia del dolore. La compagnia di un animale aumenta nei bambini la tendenza a socializzare e interagire con gli altri, e offre ai bimbi gravemente malati, costretti in ospedale per lunghi ricoveri, un miglioramento della qualità della vita. Un rapporto intenso fra esseri umani e animali è infatti uno stimolo psicologico molto forte al recupero, in grado anche di alleviare l’ansia per la separazione dall’ambiente familiare e la sensazione di solitudine.

Il progetto “Incontri con gli animali” ha come protagonisti alcuni cani ed è nato nel 2002 da una collaborazione tra il Meyer e l’Associazione Antropozoa, grazie al sostegno di una fondazione privata. Anche se è difficile lavorare con i bambini che si devono confrontare con paure molto grandi come quelle evocate dal cancro, i risultati degli studi mostrano che la presenza di animali aiuta a superare momenti d’ansia e difficoltà. I bambini giocano con i cani, li toccano, li abbracciano e instaurano con loro un rapporto affettivo. Inoltre, se possono uscire dal reparto, accompagnano gli animali a giocare fuori o fanno delle passeggiate. L’intento del progetto è anche di osservare come si articola la relazione, raccogliere informazioni importanti per valutare come viene vissuto il ricovero e riflettere sullo stato di benessere psicologico dei bambini.

Un analgesico a quattro zampe

Non solo gli animali fanno bene all’umore, ma riducono anche la percezione del dolore. A Firenze i ricercatori lo hanno dimostrato, confrontando la sofferenza di bambini per un prelievo di sangue in presenza o in assenza dei propri cani. Generalmente in occasione di eventi che provocano ansia, aumenta la concentrazione di cortisolo nel sangue, un ormone associato al livello di stress. Invece quando erano presenti i propri cani al momento del prelievo, la concentrazione nel sangue di cortisolo in alcuni bambini diminuiva. Da qui si è ipotizzato che i bimbi fossero meno stressati, e di conseguenza avessero sofferto meno, grazie alla presenza dei cani.

Il Meyer ha anche svolto uno studio osservazionale con 28 bambini fra i quattro e i dodici anni, per valutare con maggiore precisione lo stato di benessere in presenza degli animali. Dopo aver giocato con il cane i bambini si descrivono felici. Viceversa, nei giorni in cui i cani non ci sono, il loro umore è maggiormente depresso. Questo effetto benefico era anche evidente dai disegni fatti dai bambini.

Ovviamente i cani o altri animali che partecipano a progetti di pet therapy sono scrupolosamente controllati dal punto di vista igienico-sanitario e sono muniti di un certificato rilasciato dal responsabile veterinario della ASL che autorizza al loro impiego a fini terapeutici. Ma che cosa fanno, esattamente, i cani in un reparto ospedaliero? In genere circolano in presenza di due operatori cinofili e uno psicoterapeuta, ed entrano spontaneamente in contatto con i pazienti, per esempio portano un peluche, danno la zampa, mostrano la pancia. Sono addestrati a non toccare tubi e macchinari medici, quindi durante la chemioterapia, con il consenso dei malati o dei loro genitori in caso di minori, possono salire sul letto dopo che è stata applicata una apposita traversa sterile. I pazienti li possono così accarezzare, rilassarsi e parlare con gli operatori.

Anche il cavallo fa la sua parte

Quando si dice pet therapy viene da pensare soprattutto ai cani come animali “coterapeuti”. In realtà sono ampiamente dimostrati in vari ambiti clinici anche gli effetti positivi dell’interazione con i cavalli: si parla in questo caso di ippoterapia. Prendersi cura dei cavalli e cavalcarli contribuisce alla terapia sia tramite le emozioni che queste attività sono in grado di suscitare, sia attraverso l’esercizio fisico, che permette di migliorare l’equilibrio, la coordinazione e il tono muscolare. Se centri e progetti di ippoterapia sono già ampiamente diffusi in ambito riabilitativo per interventi in caso di disturbi dello spettro autistico, disabilità intellettiva, disprassia, disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD), paralisi cerebrali infantili e malattie neuromuscolari, non mancano progetti anche in ambito oncologico.

L’Istituto romagnolo per lo studio dei tumori, per esempio, ha attivato in collaborazione con l’Azienda unità sanitaria locale (AUSL) della Romagna e il sostegno dell’Istituto oncologico romagnolo, un progetto di ippoterapia per valutare l’impatto sulle persone malate di tumore dell’affiancamento con i cavalli. Alla base dello studio vi è la duplice ipotesi che il benessere generato da questa esperienza possa portare al miglioramento sia della qualità della vita dei pazienti sia di alcuni parametri bio-metabolici.

  • Agenzia Zoe

  • Articolo pubblicato il:

    27 settembre 2023