Leucemia mieloide cronica: non scordiamo la forma atipica

Ultimo aggiornamento: 24 agosto 2018

La scoperta di un meccanismo alla base della leucemia mieloide cronica atipica apre nuove speranze di cura per questa particolare forma di leucemia.

Titolo originale dell'articolo: Recurrent SETBP1 mutations in atypical chronic myeloid leukemia

Titolo della rivista: Nature Genetics

Data di pubblicazione originale: 1 gennaio 2013

La leucemia mieloide cronica è stata una delle prime forme di cancro a essere curata con una terapia basata su un meccanismo molecolare. Nella maggioranza dei casi, infatti, le cellule leucemiche presentano un'anomalia cromosomica, il cosiddetto cromosoma Philadelphia, e contro questo difetto genetico la ricerca ha messo a punto un farmaco, l'imatinib, che ha notevolmente migliorato la prognosi. Purtroppo però il cromosoma Philadelphia non è presente in tutti i pazienti: nei malati affetti dalla forma atipica di questa malattia (circa 200 ogni anno in Italia) questo segno distintivo manca e, di conseguenza, la cura non funziona.

Oggi, grazie al gruppo di Carlo Gambacorti Passerini dell'Università di Milano-Bicocca, si aprono nuove prospettive di cura anche per questa forma di leucemia. La scoperta, ottenuta grazie a un finanziamento AIRC, è emersa dalla tecnologia del nuovo Centro per il sequenziamento del genoma, che consente di leggere a uno ad uno i geni di ciascun paziente e trovare eventuali errori (o mutazioni) responsabili della malattia. Nel caso specifico, il gruppo di ricercatori ha scoperto che il 25-40 per cento dei pazienti atipici presenta mutazioni ricorrenti nel gene SETBP1, fino ad ora mai associato al cancro.

Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Genetics, spiega anche come queste alterazioni possano provocare la malattia: «Le mutazioni, concentrate in una piccolissima porzione del gene, 12 basi di DNA su un totale di oltre 5000, fanno sì che l'omonima proteina SETBP1, prodotta a partire dal gene, si accumuli nella cellula» spiega Rocco Piazza, primo firmatario del lavoro, «spingendo la cellula stessa a proliferare».

Le ripercussioni terapeutiche non sono immediate, ma c'è molta fiducia che lo saranno in futuro perché già sappiamo che le anomalie del gene SETBP1 alterano la regolazione di una citochina nota come Transforming Growth Factor beta (TGF-β), per la quale sono già disponibili inibitori specifici. «Se la strada che abbiamo intrapreso si confermerà giusta, i primi studi clinici potrebbero iniziare nel giro di due o tre anni» conclude Gambacorti Passerini.

  • Agenzia Zadig