Quando la scienza capì che la sigaretta fa male

Ultimo aggiornamento: 23 gennaio 2020

Quando la scienza capì che la sigaretta fa male

La dimostrazione della cancerogenicità del fumo di sigaretta merita di essere raccontata (ed è stata oggetto di libri e film) perché ha i contorni della spy story e la forza delle verità scientifiche.

Quando dalla scienza emergono verità scomode, una strategia possibile per chi le avversa è mostrare gli scienziati divisi, inventarsi una disputa che nella realtà non esiste. Fu questa la strategia dei sostenitori dell'innocuità del fumo di tabacco, nel disperato tentativo di nascondere al pubblico i danni del fumo: far credere alla gente che esistesse un conflitto alla pari tra gli scienziati che stavano cominciando a dimostrarne i rischi e altri scienziati che dicevano di aver trovato risultati contrari.

Un patrimonio di documenti

La storia di come si è arrivati a dire con certezza che il fumo è una delle principali cause dello sviluppo di tumori, e in particolare di quello al polmone, è ormai raccontata in tutti i libri di epidemiologia e di comunicazione. La storia di come le industrie del tabacco tentarono di nascondere un'intera banca dati di prove e di atti legali (più di 14 milioni per 80 milioni di pagine) è diventata persino un film, Thank you for smoking, uscito nelle sale nel 2005. Tutti i documenti sono raccolti in un archivio, la Legacy Tobacco Documents Library, che è stata inaugurata e messa online nel 2002 dall'Università della California. All'epoca, però, non bastò la scienza: per opporsi alla strategia dei produttori ci vollero anche la politica e la magistratura. Ed evidentemente, a sessant'anni dall'inizio della storia, nemmeno questo è stato sufficiente, dato che c'è ancora chi fuma. Parola dello storico della scienza di Stanford Robert Proctor, che al tema ha dedicato un libro: la sigaretta è tuttora "l'invenzione più letale della storia dell'umanità".

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La strategia della negazione

I primi studi sui danni da tabacco furono realizzati all'inizio degli anni Cinquanta: fu il giovane epidemiologo inglese Richard Doll (successivamente diventato, insieme al collega Richard Peto una delle icone della moderna epidemiologia) a pubblicare per primo uno studio in cui mostrava come "il rischio di malattia aumenti con la quantità di tabacco fumato".

Tra il 1950 e il 1953 furono pubblicati numerosi altri studi simili. Fino al più importante, uscito nel 1954. Firmato da Cuyler Hammond e Daniel Horn, due scienziati dell'American Cancer Society, fu realizzato su 187.776 uomini tra i 50 e i 69 anni. I risultati furono sconvolgenti: i fumatori presentano un rischio di morte superiore a quello dei non fumatori del 52%.

Ma non uscirono solo numeri e ricerche. Gli scienziati provarono a rispondere colpo su colpo al negazionismo dei sostenitori del tabacco. Come fece Evarts Graham, che gli storici ricordano come il primo chirurgo a realizzare un intervento di pneumonectomia. Nel 1954 Graham propose dalle pagine della rivista medica Lancet di condurre un esperimento che risolvesse, una volta per tutte, la presunta "controversia scientifica": cavie umane, da tenere venticinque anni al chiuso, al riparo da altre forme di inquinamento, con la sola compagnia della sigaretta. Era una provocazione, ovviamente, ma illustrava bene un problema: il tumore si sviluppa in anni e anni e, durante questo lasso di tempo siamo esposti ad altre forme di inquinamento dell'aria. Impossibile quindi che uno studio trovi una "prova diretta" del legame che gli scienziati stavano cercando. Ma questo non significa che con gli strumenti della statistica questo stesso legame non possa essere comunque evidenziato in tutta la sua (oggi ovvia) drammaticità. Era una spiegazione chiara, ma non bastò e rimase confinata nelle pagine di una rivista scientifica. Ironia della sorte, Graham stesso morì nel 1957 proprio per un tumore al polmone: era stato anche lui un forte fumatore, prima di farsi venire il dubbio, in una sala operatoria e operando un paziente colpito dal tumore al polmone.

Il potere dell'immagine

Del resto sono gli anni Cinquanta e tutti fumano. E fumano ovunque. Attori e medici, soprattutto, ritratti belli e sorridenti nei manifesti pubblicitari delle marche di sigarette, a giurare che il fumo fa bene alla pelle e fa bene alla salute. Uno di questi è il dottor Clarence Cook Little, che passa dalla American Cancer Society alla direzione del Tobacco Industry Research Committee (nel 1964 cambierà nome nel più efficace Council on Tobacco Research). Con tutta la sua autorevolezza di camice bianco, Little dichiara più volte alla stampa che certi risultati vanno presi con cautela, altri studi saranno necessari e le cose sono complesse. Fumosità di questo tipo. Che però funzionano.

"Se nel 1954 la lobby del tabacco non avesse trovato Clarence Little forse avrebbe dovuto inventarlo: corrispondeva esattamente alle loro necessità. Energico, loquace e supponente" si legge nel libro L'imperatore del male. Una biografia del cancro che spiega la sua filosofia citando una relazione interna, scritta nel 1969 per rispondere alla minaccia incombente di bando alla pubblicità di sigarette: "Il dubbio è ciò che dobbiamo vendere, perché è il miglior modo di competere con il dato di fatto" (solo nel gennaio di quest'anno, al termine di una lunga battaglia giudiziaria, l'industria del tabacco ha finalmente ammesso di aver mentito sui rischi di cui era ben consapevole).

È questo il contenuto principale della Legacy Tobacco Documents Library: ricerche su ricerche, che vengono eseguite con criteri inoppugnabili e poi artatamente nascoste alla collettività. Tra queste c'è la prima dimostrazione di come le foglie di tabacco concentrino il polonio ambientale, che è una sostanza radioattiva. È stata realizzata negli anni Cinquanta: almeno dieci anni prima di quelle ufficiali condotte da scienziati indipendenti. Si diffondono invece ricerche volte a dimostrare il contrario, scritte da scienziati conniventi e ben pagati: ricerche che furono poi utilizzate in tribunale nelle cause per danni da fumo a difesa dei produttori di sigarette.

Non solo. Si fonda una specie di finta rivista scientifica dedicata al tema: sono i Reports on Tobacco and Health Research. I suoi titoli hanno la funzione di far credere che gli scienziati siano spaccati in due fazioni ("Uno pneumologo riporta ventotto ragioni per dubitare del legame tra sigarette e tumore") o l'intenzione di confondere le acque ("Nascere in marzo potrebbe predisporre al tumore al polmone").

Ma Big Tobacco investe miliardi di dollari anche nelle strategie pubblicitarie rivolte direttamente al pubblico. La prima è la campagna del gennaio 1954: 448 organi di stampa, tra cui il New York Times, pubblicano un'inserzione a pagamento in cui si ribadisce che non c'è unanimità sul ruolo del fumo nello sviluppo di tumore al polmone, che le statistiche sono confuse e al momento non si sa.

La scienza fa breccia

Invece la comunità scientifica sa. E finalmente riesce a penetrare la politica. Il primo atto ufficiale da parte delle istituzioni americane è in particolare del Chirurgo generale degli Stati Uniti Luther Terry, arriva nel 1964. È il rapporto Smoking and Health ed è considerato il più importante contrattacco da parte della salute pubblica. Finalmente è messo nero su bianco: il fumo di sigaretta causa il tumore al polmone.

Negli anni Ottanta arrivano altri rapporti ufficiali, firmati da un altro grande personaggio di questa storia: Charles Everett Koop, all'epoca anche lui Chirurgo generale degli Stati Uniti. Si dice chiaramente che la nicotina crea dipendenza esattamente come l'eroina e la cocaina. Si illustrano i legami tra il fumo e i tumori di polmone, laringe, esofago, stomaco, vescica, pancreas e reni. Il 30% delle morti da tumore è attribuibile al fumo, si legge. Per non parlare dei danni all'apparato cardiovascolare e a quello respiratorio.

Koop sottolinea anche la sproporzione tra gli investimenti pubblicitari delle industrie del tabacco e quelli per le campagne antifumo: per ogni dollaro investito nelle seconde, le prime ne spendono 4.000. Così si decide di fare qualcosa di molto economico: scrivere sui pacchetti di sigaretta le etichette informative che leggiamo anche oggi. È così che inizia a calare la percentuale di fumatori negli Stati Uniti: dal 38 al 27%. Ed è anche la fine della strategia negazionista.

Restano altre strategie per conquistare il mercato e continuare a vendere. Per esempio, le strategie d'immagine: prendi una star del cinema e pagala per fumare mentre interprita Rocky e Rambo o mentre accavalla le gambe in maniera sensuale e avrai conquistato un nuovo fumatore, specie fra i più giovani. E restano i cento milioni di morti attribuibili al fumo nel corso del secolo scorso.

Anche la nicotina è colpevole

La nicotina è cancerogena. Direttamente. È il risultato di un'analisi pubblicata nel giugno di quest'anno su Nature Reviews Cancer che per la prima volta mette un punto fermo sulla questione. Il fumo di sigaretta contiene 60 molecole cancerogene ben conosciute: da oggi aggiungiamo anche la nicotina a cui finora si attribuiva "solo" la responsabilità della dipendenza dal tabacco.

La lista dei tumori associati al consumo di nicotina è lunga: comprende i tumori al polmone e quelli di testa e collo, i tumori dello stomaco e del pancreas, i tumori del fegato e delle vie biliari, i tumori al seno, alla cervice uterina, alla vescica e al rene. L'articolo spiega anche il come e il perché: l'arrivo della nicotina sul suo recettore provoca l'attivazione di una serie di catene metaboliche a loro volta cancerogene. Questo spiegherebbe anche la differenza di suscettibilità che osserviamo tra una persona e l'altra: ciascuno di noi, infatti, ha piccole differenze genetiche che spiegano differenze strutturali e funzionali di quel recettore che non hanno nessuna conseguenza di rilievo nella nostra vita normale, ma hanno conseguenze pesantissime nella risposta al fumo di sigaretta.

Che cosa cambia sapere che le sostanze cancerogene sono 61 e non più 60? Niente, per chi fuma (e dovrebbe conoscere i danni che provoca) e nemmeno per chi non fuma. Cambia invece moltissimo per chi sta smettendo di fumare: i prodotti a base di nicotina che servono da ausilio in questa difficile fase non sono così innocui come credevamo un tempo e dovrebbero essere utilizzati solo per il tempo strettamente necessario, così come le sigarette elettroniche che contengono solo nicotina e non solo aromatizzanti.

Per saperne di più

  • Silvia Bencivelli