Perché non è stata ancora trovata “la cura contro il cancro”?

Il cancro non è una sola malattia, ma centinaia di malattie diverse che evolvono nel tempo. Inoltre, ogni tipo di tumore richiede cure specifiche e differenti a seconda delle caratteristiche del tumore stesso e del paziente.

Ultimo aggiornamento: 9 settembre 2021

Tempo di lettura: 11 minuti

In sintesi

  • Esistono almeno 200 forme di tumore categorizzate in base all’organo o al tessuto colpito; ogni tumore anche dello stesso tipo può comportarsi in maniera diversa in ciascun malato.
  • Non esisterà mai un’unica cura per tutti i tipi di tumore, ma esistono già tante cure diverse per tumori e pazienti diversi.
  • Il tumore si modifica nel tempo e a volte sfugge alle terapie.
  • Le terapie mirate possono essere molto efficaci, solo però in casi specifici di tumore dove il farmaco trova una corrispondenza molecolare nel cancro da curare e dove non insorgono resistenze.
  • Servono molto tempo e grandi investimenti per portare in clinica un nuovo farmaco.
  • Anche la prevenzione e le nuove tecnologie aiutano a trovare cure per i tumori.

Malattie diverse e in evoluzione

È impreciso parlare di cancro al singolare. Esistono, infatti, almeno 200 tipi diversi di tumore, classificati dal punto di vista clinico secondo diversi criteri: in base all’organo di origine (tumore del seno, del polmone, del colon eccetera) o al tipo di cellule da cui derivano (come i carcinomi che derivano da cellule epiteliali o dei tessuti che rivestono gli organi interni, o i linfomi che derivano da cellule del sistema immunitario). Per molti di questi la ricerca ha messo a punto delle cure, ma non ancora per tutti. Con il progredire della ricerca e la conoscenza sempre più approfondita della biologia del cancro, i ricercatori hanno arricchito gli elementi distintivi attribuiti ai tumori con molte caratteristiche molecolari. Se si utilizzano anche queste per classificare i tumori, le centinaia di malattie diverse diventano migliaia. Sempre dalla ricerca arriva anche la consapevolezza che le cellule tumorali evolvono nel tempo e a volte diventano resistenti a terapie inizialmente efficaci. Il cancro è dunque un insieme di malattie complesse e in evoluzione, le quali difficilmente permetteranno di trovare una singola cura definitiva e per tutte.

Geni, molecole e persone

Un esempio pratico delle difficoltà che affrontano i ricercatori e i medici può essere rappresentato dal cancro del seno. Fra i tumori del seno si possono identificare quelli ER positivi (ovvero che presentano sulla superficie delle cellule uno specifico recettore per gli estrogeni), quelli PR positivi (con il recettore per il progesterone) o quelli Her2 positivi (con alti livelli della proteina Her2 sulla superficie cellulare). Ma ci sono anche i tumori del seno “tripli negativi”, che rappresentano il 15-20 per cento del totale e non presentano nessuna di queste caratteristiche molecolari. Come affrontare le diverse malattie? In molti casi i ricercatori sono già riusciti a trovare terapie efficaci e mirate contro i bersagli molecolari specifici delle cellule tumorali, ma non si tratta di una cura “universale” né tantomeno adatta a qualsiasi tumore al seno. Tamoxifene e inibitori delle aromatasi sono farmaci efficaci nei casi di tumore ER positivo, ma non hanno alcun effetto se il tumore non esprime il recettore per gli estrogeni. Anche l’immunoterapia, che utilizza il sistema immunitario del paziente per combattere il tumore, non è efficace per tutti i pazienti: ancora una volta dipende dalle caratteristiche delle cellule tumorali, alle quali si aggiungono le enormi differenze nel sistema immunitario, e non solo, dei singoli individui.

In oncologia, un filone di ricerca e terapia relativamente nuovo è quello dei trattamenti agnostici. Si tratta in pratica di scegliere il trattamento da utilizzare sulla base non più dello specifico organo colpito dal tumore, ma piuttosto del tipo di mutazione presente a livello molecolare nella malattia. Pembrolizumab è stato il primo farmaco approvato con una indicazione di tipo “agnostico” nel 2017. La Food and Drug Administration (FDA) statunitense ha allora autorizzato l’uso del farmaco in bambini e adulti, per tutti i tumori solidi metastatici o che non possono essere rimossi chirurgicamente e che hanno una particolare alterazione molecolare, detta “alta instabilità dei microsatelliti” (MSI-H), o mancano del cosiddetto “DNA mismatch repair” (dMMR).

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Dal laboratorio al letto del paziente

Un’altra ragione per cui non si dispone ancora di terapie efficaci contro tutti i tumori è il lungo tempo necessario allo sviluppo di un nuovo farmaco e al suo ingresso in clinica. Un esempio è il caso di imatinib, noto con il nome commerciale di Gleevec, un farmaco introdotto nel 2001 che ha rivoluzionato il trattamento della leucemia mieloide cronica (LMC). Oggi nella maggior parte dei casi si riesce a guarire da questa malattia che prima dell’introduzione del farmaco era letale per quasi tutti i pazienti. La storia di imatinib parte però negli anni ’60 del secolo scorso quando i ricercatori scoprirono che le cellule della LMC presentavano un cromosoma anomalo, che venne chiamato "Philadelphia" in onore della città dove fu scoperto. Su questo cromosoma si è concentrata l’attenzione di molti studiosi nei decenni a seguire. Nel 1993 fu identificato un composto chiamato STI571 (imatinib), estremamente efficace in laboratorio e in seguito sperimentato anche in clinica. I primi studi negli esseri umani richiesero altri 5 anni (il primo è cominciato nel 1998) e solo nel 2001 il farmaco fu approvato dalle autorità regolatorie per l’uso in clinica. Le attuali conoscenze genetiche e molecolari velocizzano notevolmente la prima parte del lavoro, quella legata al laboratorio, ma sono comunque necessari anni prima che un nuovo farmaco ottenga l’approvazione all’uso nei pazienti.

Infine, l’intelligenza artificiale e le simulazioni al computer, ma anche strategie come il riposizionamento dei farmaci, permettono di accorciare ulteriormente i tempi o comunque di avere un nuovo approccio alla scoperta farmacologica. Grazie a questi strumenti, i ricercatori sono oggi in grado di identificare potenziali nuovi farmaci tra migliaia di composti già disponibili e di testare un numero molto elevato di composti contemporaneamente su diversi tipi di cellule tumorali, scoprendo magari nuove funzioni per farmaci “vecchi” (e per questo già approvati per l’uso umano).

I tempi della ricerca

Nell’emergenza causata dalla pandemia di Covid-19 gli scienziati sono riusciti in tempi molto brevi a sviluppare vaccini contro Sars-CoV-2. Tali vaccini sono poi stati ampiamente sperimentati per uso umano, prodotti in quantità enormi e senza precedenti e somministrati nelle campagne vaccinali di massa a miliardi di persone in tutto il mondo, soprattutto nei Paesi benestanti. Questi risultati, ottenuti in un anno circa dall’inizio della pandemia, in condizioni non di emergenza richiedono anni se non decenni di lavoro. Questo può far pensare che basti concentrare gli sforzi di tutti gli scienziati e i fondi disponibili su un unico problema per trovare rapidamente la soluzione. In realtà non è così per tutte le malattie.

Il coronavirus che ha causato questa pandemia fa parte di una categoria di virus piuttosto studiati da diversi anni: per esempio, si sapeva già, per via di precedenti epidemie di malattie come la SARS e la MERS, che la proteina detta “spike” presente sulla superficie esterna del virus è una delle principali caratteristiche che lo rendono riconoscibile dal sistema immunitario e contro il quale vengono prodotti anticorpi. Grazie a queste e ad altre scoperte, che non avevano ancora trovato applicazione, è stato possibile mettere subito a punto dei test diagnostici e in seguito anche dei vaccini.

Anche le tecniche utilizzate per produrre i vaccini (sia quelli a vettore adenovirale sia quelli a mRNA) erano in realtà già state messe a punto (le prime) o sperimentate in animali di laboratorio (per quel che riguarda i vaccini a mRNA). Inoltre SARS-CoV-2 è un virus contro il quale è relativamente facile produrre vaccini, rispetto a virus come l’HIV o altri per cui la faccenda è molto più complessa. Quindi è stato possibile procedere con rapidità, anche grazie all’immensa quantità di fondi pubblici (solo il governo americano ha investito almeno 13 miliardi di dollari) che hanno permesso di percorrere le fasi di sviluppo e produzione in parallelo, senza abbreviarne nessuna.

Nell’ambito delle procedure di emergenza stabilite prima della pandemia, la verifica e l’approvazione dei risultati degli studi sperimentali sui vaccini, da parte delle agenzie regolatorie che certificano che i nuovi farmaci siano sicuri ed efficaci, come EMA e FDA, è avvenuta, tramite la cosiddetta “rolling review”, prima che fossero disponibili i dati di follow up di circa 8 mesi delle vaccinazioni eseguite nel corso delle sperimentazioni.

L’approvazione fornita, per uso di emergenza o condizionale, non significa che i vaccini non siano sicuri, dato che sono stati sperimentati mediamente in 35.000 volontari, un numero circa dieci volte più alto di quanto si fa in condizioni non di emergenza. Ciò significa solo che le agenzie hanno permesso l’uso in emergenza o condizionale dei vaccini, riservandosi di approvare completamente tali vaccini dopo un periodo di follow up e di farmacovigilanza adeguato. In questo modo è stato possibile intercettare prontamente eventuali effetti collaterali che non erano emersi durante la sperimentazione. Il vaccino a mRNA BioNTech-Pfizer è stato, per esempio, approvato completamente a fine agosto 2021 dalla FDA.

Perché contro il cancro non abbiamo finora ottenuto risultati altrettanto rapidamente? Innanzitutto il cancro, come detto sopra, non è un tipo solo di malattia, ma diverse centinaia. Inoltre, rispetto a un virus, un tumore è qualcosa di molto più complesso dal punto di vista biologico, che non arriva dall’esterno ma ci appartiene. Ogni nuova terapia deve essere dunque efficace contro uno specifico tumore, senza danneggiare i tessuti sani del paziente, simili ma lievemente diversi dal cancro. A parità di urgenza e risorse, dunque, la difficile sfida al cancro è inevitabilmente più lunga e tortuosa di quella per sviluppare vaccini contro un virus come SARS-CoV-2, e richiederà ancora molti anni di studi e scoperte che, nel tempo, potranno rendere questa malattia più curabile.

Non solo farmaci

Un aspetto molto importante per il successo di ogni terapia è la diagnosi, che dev’essere precisa e possibilmente precoce. Se oggi sappiamo effettuare diagnosi precoci, ciò è anche il frutto di numerose ricerche cliniche ed epidemiologiche, che hanno permesso di conoscere meglio sintomi e fattori di rischio. Anche la tecnologia ha aiutato da questo punto di vista, mettendo a disposizione dei medici strumenti sempre più raffinati.

Una diagnosi tempestiva può davvero fare la differenza: oltre 9 pazienti con tumore dell’intestino su 10 sopravvivono per più di cinque anni se il tumore è diagnosticato nelle fasi iniziali. Per il tumore del seno la sopravvivenza a cinque anni è del 90 per cento in caso di tumore in fase iniziale rispetto al 15 per cento se il tumore è nelle fasi più avanzate. Percentuali non troppo diverse si osservano anche per il tumore ovarico diagnosticato precocemente, mentre per il tumore al polmone i numeri sono 70 e 14 per cento, rispettivamente.

Per la maggior parte dei tumori operabili, dopo una diagnosi tempestiva è cruciale la chirurgia, mentre per tipi di tumore difficili da raggiungere da parte dei farmaci può essere opportuna la radioterapia, in aggiunta o alternativa ad altri trattamenti.

L’introduzione della biopsia liquida ha rappresentato un grande passo avanti, almeno concettuale e sperimentale, nella gestione dei tumori. Grazie a un semplice prelievo di sangue – decisamente meno invasivo di una classica biopsia, che consiste nel prelievo di tessuto tumorale – questa tecnica permette di valutare parti di cellule tumorali, in particolare acidi nucleici ma non solo, presenti nel circolo sanguigno. Così facendo si può a volte contribuire a una diagnosi di tumore e seguire la risposta della malattia alle terapie. La biopsia liquida è soprattutto utilizzata, ancora sperimentalmente, per anticipare l’eventuale comparsa di una recidiva rispetto ai tempi permessi dalle tecniche di imaging. Un articolo pubblicato nel 2020 su Nature ricorda che oggi la sfida è rendere la biopsia liquida da un approccio sperimentale a uno standard in clinica.

Gli aspetti economici

Gli investimenti nella ricerca per la cura del cancro, a livello globale, sono davvero ingenti e da questo punto di vista stupisce che queste malattie non siano ancora debellate. È difficile fare calcoli precisi. Ci hanno provato alcuni ricercatori, con uno studio i cui risultati sono stati pubblicati nel 2008 sulla rivista Molecolar Oncology. Un investimento di oltre 14 miliardi di euro è stato stimato per la ricerca oncologica, nel solo biennio 2004-2005, con gli Stati Uniti in prima fila tra i Paesi finanziatori. Può sembrare uno sforzo enorme se si pensa al cancro come a una malattia unica, ma se si suddivide l’investimento tra le migliaia di tipi di cancro si scopre che a volte la ricerca su un singolo tipo di tumore può ricevere meno fondi di altre malattie meno gravi e meno letali.

Se la ricerca costa molto, anche i farmaci non scherzano. Il costo dei farmaci oncologici è notevolmente cambiato nel tempo, con aumenti non sempre giustificati, secondo alcuni esperti. Se le chemioterapie tradizionali hanno costi di poche migliaia di euro a trattamento, un unico trattamento con cellule CAR-T, una terapia innovativa e personalizzata, costava 475.000 dollari statunitensi nel 2017, l’anno in cui tale cura è stata approvata dalla FDA. I dati vengono da un articolo pubblicato su JAMA proprio nel 2017.

Negli ultimi anni l’attenzione verso le malattie non trasmissibili – tra le quali è incluso anche il cancro – è in crescita a livello globale. Solo per citare un esempio, il terzo dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni unite punta a garantire la salute per tutta la popolazione mondiale, con un obiettivo specifico per le malattie non trasmissibili: ridurre di un terzo entro il 2030 la mortalità prematura legata a queste patologie attraverso la prevenzione e il trattamento.

In conclusione

Una “pillola magica” in grado di curare tutti i tipi di tumori non esisterà mai perché il cancro non è una malattia, ma un insieme di malattie più o meno simili e in evoluzione che rispondono in maniera diversa e mutevole ai trattamenti. Per questo medici e ricercatori cercano tante soluzioni differenti al complicato e multiforme problema del cancro. Per la stessa ragione la prima regola da seguire, quando si incontra un medico o una persona che promette di curare tutti i tipi di cancro con un singolo rimedio, è diffidare.

Contro il cancro o, meglio, contro “i cancri”, bisogna continuare a investire nella migliore ricerca scientifica.

  • Agenzia Zoe