Tumore all’ovaio, ancora difficile riconoscerlo nelle prime fasi

Ultimo aggiornamento: 26 maggio 2022

Tumore all’ovaio, ancora difficile riconoscerlo nelle prime fasi

La diagnosi precoce di questa malattia spesso non è possibile e non esiste ancora un valido screening di popolazione. In uno studio recente si è valutata l'efficacia di un metodo basato sull’analisi delle lesioni ovariche tramite ecografia per determinare il rischio di sviluppare la malattia.

Il tumore all’ovaio è uno dei più aggressivi, ma fortunatamente non è fra i più comuni. Occupa infatti il decimo posto nella classifica delle neoplasie più frequenti tra le donne in Italia, secondo le stime più recenti. La sua aggressività è in parte dovuta alla diagnosi quasi sempre tardiva di una malattia per cui ancora non esistono metodi di screening efficaci, in grado di scoprire più precocemente il tumore. A questo proposito alcuni ricercatori statunitensi hanno studiato un metodo di classificazione delle lesioni ovariche, basato su come queste appaiono all’ecografia, al fine di capire se si tratti o meno di lesioni maligne. Essere in grado di calcolare in modo preciso e affidabile il rischio che una di queste lesioni dia luogo a un tumore potrebbe evitare alle donne ulteriori indagini invasive che, in almeno alcune, potrebbero non essere necessarie.

Lo studio

I ricercatori sono partiti da una premessa importante. Tutti gli schemi di valutazione ecografica utilizzati finora, spesso complessi e diversi, sono accomunati da una classificazione piuttosto grossolana delle lesioni ovariche: ci sono quelle “classiche”, il cui rischio di evolvere in tumore è considerato molto basso, e quelle “non classiche”, ritenute a rischio maggiore. Il nuovo approccio potrebbe essere dunque basato su questa semplice distinzione, utile ai radiologi – secondo gli autori – a raccomandare rapidamente alle donne i passi successivi.

Nella ricerca sono state analizzate 970 lesioni presenti in 878 donne considerate a rischio medio di sviluppare un cancro dell’ovaio. Lo schema di classificazione in lesioni classiche e non classiche si è dimostrato accurato, con alta sensibilità e specificità, per identificare la natura maligna delle lesioni, che si sono dimostrate tali nel 6 per cento dei casi. Più precisamente è emerso che tra le lesioni classiche, come per esempio le cisti emorragiche, la malignità è assai poco frequente (1 per cento). La frequenza di malignità è invece risultata più alta in caso di lesioni non classiche, soprattutto nelle donne con più di 60 anni.

In base ai risultati ottenuti dalla loro ricerca, gli autori hanno sottolineato che ad alcune donne potrebbero essere consigliate ulteriori indagini. “Le donne cui è riscontrata una lesione non classica, soprattutto se anziane, dovrebbero rivolgersi a un ginecologo chirurgo, che potrà garantire un trattamento rapido del possibile cancro ovarico” scrivono. Tra gli esperti che hanno commentato i risultati dello studio sulla stessa rivista, alcuni hanno suggerito variazioni a questo approccio basato sulla classificazione delle lesioni in classiche o non classiche. Per esempio consigliano di valutare anche la grandezza delle cisti. Medici e operatori devono inoltre fare riferimento alle linee guida, quando disponibili, e approfondire quando c’è il sospetto che ci sia qualcosa che non va.

Diagnosi precoce, una strada in salita

La comunità scientifica è continuamente alla ricerca di metodi per diagnosticare precocemente un tumore ovarico. Alcuni esami, tra cui la stessa ecografia, possono essere d’aiuto ma attualmente non sono ritenuti sufficientemente affidabili. Le procedure di solito utilizzate, oltre all’esame pelvico, sono l’ecografia transvaginale e un esame del sangue per il CA-125, un marcatore presente a livelli elevati in molte donne con tumore ovarico, ma non in tutte. Il CA-125 può peraltro risultare elevato anche a causa di altre condizioni. Per questi motivi la misurazione di questo parametro non è considerato di per sé un esame affidabile per un eventuale programma di screening di popolazione per la diagnosi precoce. È invece ritenuto utile per il monitoraggio dell’efficacia dei trattamenti per questo tipo di tumore.

A queste difficoltà si aggiunge il fatto che spesso i sintomi non compaiono nel primo periodo della malattia e in più non sono specifici, per cui, nella maggior parte dei casi, il tumore ovarico viene identificato a uno stadio già avanzato e anche per questo è associato a elevata mortalità. Le ultime stime dicono che in Italia ci sono circa 5.200 nuove diagnosi all’anno, mentre i decessi nel 2021 arriverebbero a 3.200. Poco più del 40 per cento delle donne colpite è in vita a 5 anni dalla diagnosi.

In un lungo studio condotto nel Regno Unito e iniziato nel 2001, i ricercatori hanno valutato se uno screening annuale condotto utilizzando ecografia e biomarcatori possa salvare delle vite. Alla ricerca hanno partecipato oltre 200.000 donne tra i 50 e i 74 anni, monitorate per diversi anni. Un gruppo di donne ha seguito una modalità di screening basata sulla sola ecografia transvaginale, un altro una modalità che utilizzava il dosaggio del CA-125 più un’eventuale ecografia transvaginale, mentre un terzo gruppo di donne non è stato sottoposto a screening. I risultati, pubblicati lo scorso anno sulla rivista Lancet, mostrano che nel gruppo di donne sottoposto a entrambi gli esami c’è stata una riduzione delle diagnosi di tumore agli stadi più avanzati (III e IV), anche se solo del 10 per cento, mentre sono aumentate quelle dei tumori agli stadi iniziali (I e II). Il tasso di decessi per tumore ovarico è però stato lo stesso in tutti e tre i gruppi, per cui secondo gli autori nessuna delle strategie utilizzate può essere raccomandata come screening della popolazione generale.

Un aiuto dalla genetica

Un caso particolare riguarda le donne che presentano mutazioni in alcuni geni coinvolti nei meccanismi di riparazione del DNA, come BRCA1 e BRCA2. Si tratta di alterazioni che possono essere ereditarie e che sono noti fattori di rischio soprattutto per i tumori della mammella e dell’ovaio. In caso di familiarità per questo tipo di tumori, gli specialisti possono decidere se consigliare o meno un test genetico, anche in base a ulteriori specifici criteri. In caso di positività al test, i medici possono suggerire strategie volte a ridurre il rischio di sviluppare il cancro dell’ovaio e della mammella.

Il test viene comunque raccomandato in tutte le donne che hanno già una diagnosi di carcinoma ovarico, poiché, in caso di esito positivo, può dare indicazioni sull’efficacia di alcuni farmaci. Se la mutazione è di tipo ereditario, il test viene solitamente consigliato anche ai familiari che potrebbero esserne ugualmente portatori e per i quali si potrebbero mettere in atto le stesse strategie preventive.

  • Agenzia ZOE