La proteina YAP e il tiro alla fune delle cellule

Ultimo aggiornamento: 24 agosto 2018

Come fa la nostra struttura corporea a rimanere sostanzialmente inalterata se le cellule continuano a cambiare? Un gruppo di ricercatori di Padova ha trovato la risposta a questa domanda.

Titolo originale dell'articolo: Role of YAP/TAZ in mechanotransduction

Titolo della rivista: Nature

Data di pubblicazione originale: 1 giugno 2011

Immaginate una casa bizzarra: la forma e la struttura rimangono uguali per decenni, anche se la casa a volte si muove e i mattoni cambiano periodicamente. Ora pensate che quella casa strana è il nostro corpo e che i mattoni sono le cellule. Secondo uno studio dei ricercatori del Dipartimento di biotecnologie mediche dell'Università di Padova, guidati da Stefano Piccolo, la forma del nostro corpo resta fedele a se stessa, grazie a un preciso codice molecolare associato alla forma di ogni cellula, il cui controllo non sarebbe soltanto genetico.

I ricercatori di Padova sono partiti da una considerazione semplice: le cellule sono immerse in un ambiente tridimensionale in cui sono continuamente sottoposte a stimoli di tipo meccanico, tipici del tessuto o dell'organo a cui appartengono. Soltanto rispettando le caratteristiche biomeccaniche, per esempio di sofficità o durezza di un certo tessuto, è possibile indirizzare lo sviluppo delle cellule staminali - quelle non specializzate, in grado di trasformarsi in diversi altri tipi di cellule - verso un certo destino. Per esempio, si potrà ottenere nuovo osso solo in un ambiente duro, mentre nuovo tessuto adiposo si svilupperà solo in un ambiente particolarmente morbido e così via.

Ma come fanno le cellule a trasformare un segnale meccanico in un ordine da dare nel linguaggio chimico e molecolare? I ricercatori hanno scoperto che il responsabile di questo passaggio cruciale è la proteina YAP, che entra nel nucleo e ci rimane solo se la cellula è capace di "fare forza" contro il proprio substrato. "È come nel gioco del tiro alla fune: se le cellule trovano un ambiente esterno che permette loro di tirare con forza, si distendono e acquisiscono una forma che dipende dall'azione di YAP sul loro genoma" commenta Sirio Dupont, che firma come primo nome il lavoro su Nature.

La ricerca, finanziata da AIRC, apre nuovi orizzonti per lo studio delle malattie genetiche e del cancro: "Un tumore non è un nodulo duro perché è maligno, semmai è vero il contrario: è maligno perché è duro..." sottolinea Stefano Piccolo. È l'ambiente, l'architettura del tessuto nel suo insieme, a governare i destini delle cellule, anche nei tessuti malati. "Una cellula tumorale, se posta in un tessuto sano, viene addomesticata: lo sappiamo da 30 anni, ma non avevamo mai capito perché" ribadisce Piccolo.

In futuro, dall'attenzione alle caratteristiche biomeccaniche dei tessuti malati - oltre che delle stesse cellule - potranno emergere nuove opportunità terapeutiche.

  • Agenzia Zoe