Come il tumore al seno resiste al tamoxifen

Ultimo aggiornamento: 24 agosto 2018

È stata scoperta una proteina che col tempo fa perdere efficacia alla cura, ma si è trovato anche il modo di neutralizzarla.

Titolo originale dell'articolo: Targeting of the adaptor protein Tab2 as a novel approach to revert tamoxifen resistance in breast cancer cells

Titolo della rivista: Oncogene

Data di pubblicazione originale: 1 gennaio 2012

Si chiama Tab2: è questa la proteina che col tempo riduce l'efficacia del tamoxifen nei confronti dei tumori del seno inizialmente responsivi alla terapia ormonale.

La crescita dei tumori che presentano nelle loro cellule recettori per gli estrogeni (e che per questo sono detti ER positivi) dipende infatti dall'azione di questi ormoni, che viene contrastata dal farmaco antiestrogenico tamoxifen. L'effetto del medicinale tuttavia tende a ridursi nel tempo, perché il tumore "impara" a sfuggire alla sua azione.

Una ricerca pubblicata su  Oncogene, e condotta anche grazie al sostegno di AIRC, rivela come ciò accade e quali sono i rimedi messi a punto.

"Il tamoxifen funziona legandosi al recettore per gli estrogeni (ER) al posto degli estrogeni stessi, determinando però un'azione opposta a quella degli ormoni, cioè inibendo la proliferazione cellulare" spiega Michele De Bortoli, professore di Biologia molecolare all'Università degli studi di Torino e tra gli autori della ricerca. "In modelli sperimentali di resistenza alla terapia, abbiamo potuto verificare che la proteina Tab2 si lega a sua volta al complesso formato dal farmaco e dal recettore, neutralizzando così l'effetto del tamoxifen e stimolando di nuovo la cellula a replicarsi". 

I ricercatori si sono accorti dell'importanza di questa proteina perché, una volta eliminata dalle cellule divenute resistenti, queste ricominciavano a rispondere alla cura.

Come base per lo sviluppo di un nuovo farmaco, i ricercatori hanno quindi provato a costruire in laboratorio una molecola costituita da un frammento del recettore che "inganna" Tab2, legandola a sé e impedendole così di agire sul vero recettore cellulare.

Ma non è tutto qui. "Studiando le basi genetiche associate al fenomeno della resistenza" aggiunge De Bortoli "abbiamo individuato le caratteristiche che, dall'analisi del tumore, ci permetteranno di distinguere subito i casi che probabilmente non riceveranno benefici significativi dal trattamento con tamoxifen". Di conseguenza, conclude il biologo "queste pazienti potranno essere indirizzate fin da subito verso i farmaci con migliore probabilità di successo".

  • Agenzia Zoe