Il successo talvolta segue vie tortuose

Ultimo aggiornamento: 23 gennaio 2020

Il successo talvolta segue vie tortuose

Una giovane donna indecisa su ciò che vuole diventare "da grande" è oggi una brillante ricercatrice che ha conquistato alcuni dei fondi per la ricerca più prestigiosi e ha contribuito a svelare i legami tra immunologia e cancro.

C'è chi, fin da subito, ha ben chiara in mente la propria meta. Altri invece arrivano a destinazione per vie tortuose. Accade spesso alle menti brillanti e curiose, quelle che riescono un po' in tutto. Quando arriva, però, la passione è travolgente: "Non ho mai sognato di diventare una ricercatrice finché non mi sono innamorata dell'immunologia" dice Maria Rescigno, oggi direttore del Programma di immunoterapia dell'Istituto europeo di Oncologia (IEO) di Milano e docente presso il Dipartimento di scienze della salute dell'Università statale di Milano. Da allora ha infilato un successo dopo l'altro, senza sosta. Si è aggiudicata tutti i prestigiosi finanziamenti del Consiglio europeo della ricerca (ERC) che poteva richiedere: nel 2007, uno starting grant di 1,2 milioni di euro; nel 2012, un proof of concept, ovvero un finanziamento di categoria più elevata; nel 2014, un consolidator grant per ricercatori già confermati, pari a circa 2 milioni di euro. A questi si aggiungono i finanziamenti di AIRC, come l'Investigator grant e la borsa del Programma International Cancer Research Fellowships - iCARE, poi la ricerca finalizzata dl Ministero della salute e molti altri ancora. Il risultato sono state numerose pubblicazioni sulle più importanti ricerche scientifiche come Science e quelle del gruppo editoriale Nature.

Un inizio inaspettato

In Maria Rescigno la curiosità per la scienza scatta piuttosto presto, a dodici anni: "Andai con mia madre Annamaria a trovare una sua amica biologa. Fu lì che guardai per la prima volta al microscopio un vetrino con uno striscio di sangue". A 14 anni, con la famiglia, da Napoli si trasferisce a Milano. Papà Antonino è un farmacista, ma sette generazioni di farmacisti non pesano sulle sue spalle e così lei si iscrive a biologia perché "sono sempre stata libera di scegliere, come anche i miei fratelli, oggi avvocato e cardiochirurgo".

Durante gli studi accarezza l'idea di diventare grafico pubblicitario per seguire la sua passione, il disegno, ma poi decide di terminare in fretta e furia il percorso iniziato, e così a ottobre del quarto anno di università parte per il Regno Unito dove trascorre due anni al Dipartimento di biochimica dell'Università di Cambridge, lavorando a un progetto di ingegneria proteica. Fresca di laurea si trova a condurre una ricerca in autonomia: "L'equivoco nacque da un appellativo - 'doctor' - che da noi possono usare quelli che hanno una laurea magistrale, ma che all'estero usano solo quelli che già hanno un dottorato. Il professore che mi stava ospitando credeva infatti che io avessi già conseguito il dottorato in Italia". Maria spende il primo anno a convincerlo che l'ipotesi alla base del progetto assegnatole è sbagliata e "quando, infine, il professore si accorse che non avevo torto, mi affidò un'altra ricerca, ma mi restava un solo anno di tempo per terminarla". Rientrata in Italia con in tasca una pubblicazione come primo autore, ma anche un certo disamore per la biochimica, maturato in quei due anni di lavoro intensissimo, decide che è ora di cambiare strada e di dedicarsi al business management. Ce la fa anche questa volta, supera gli esami, ma a convincerla a restare nel mondo scientifico è una borsa per la scuola di specialità medica, che decide di svolgere al CNR. "Però cambiai settore e scelsi immunologia. Fu allora che scattò la passione per la ricerca" racconta. A quel punto, il dottorato diventa un desiderio, ma per due anni non riesce a superare le selezioni. Oggi ironizza: "Non era ancora il mio momento" (che invece arrivò, come spesso accade in Italia, per l'inaspettata mancata partecipazione al concorso del candidato considerato favorito).

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Ricerca e famiglia? È possibile

Subito dopo la laurea, Rescigno desiderava così tanto andare nel Regno Unito che non pensava certo all'amore: "In vista dell'imminente trasferimento, andavo al cinema Arcobaleno, che a Milano trasmette i film in lingua originale. Lì ho rivisto Matteo, un amico di amici che, come me, sarebbe dovuto partire di lì a poco per un master all'estero". Il cinema fu galeotto. Dopo sei mesi, lei è diretta a Cambridge, lui a Boston, ma la relazione prosegue a distanza: "Per più di due anni siamo stati separati, incontrandoci una o due volte l'anno. Al mio rientro, ci siamo sposati, anche se Matteo ha continuato a viaggiare, lavorando a Torino, a Termoli, in Polonia e in Cina".

Conciliare famiglia e lavoro è impegnativo per tutti, ma "la ricerca permette di farlo quando ti consente di organizzarti in autonomia, per esempio se non devi stare al bancone tutto il giorno". Come invece accade agli inizi: "Avevo da poco la mia posizione indipendente allo IEO quando è arrivato Edoardo, a solo un anno e mezzo dalla domanda di adozione. Un'emozione indicibile. Aveva venti giorni, mi assomigliava moltissimo". Con la seconda figlia è stato più complicato, come accade spesso con l'adozione internazionale in Paesi problematici. "Abbiamo sempre desiderato due figli e quando Edoardo aveva due anni abbiamo iniziato le pratiche per la seconda adozione. Dopo cinque anni siamo andati in Nepal, da Nikki, una bimba di due anni e mezzo. L'emozione è stata ancora più forte". Dalla mamma Nikki ha preso la passione per l'arte. "Mentre fa i compiti, d'improvviso si interrompe e inizia a disegnare. Si vede che ne sente il bisogno". Mamma scienziata e papà ingegnere: la ricerca sarà parte del loro futuro? "È un lavoro molto faticoso, soprattutto in Italia, non sarò io a sollecitare questa passione, saranno entrambi liberi di scegliere".

Cancro e immunità

Ad ascoltarla parlare, tutto sembra facile. Viene da chiedersi se questa ricercatrice così brillante, che non menziona mai sforzi e sacrifici, non desideri andare all'estero. La tentazione, ci dice, di tanto in tanto si fa sentire. Ma finora "pur nelle difficoltà di questo Paese, sono riuscita a lavorare bene e a non andarmene". In futuro, si vedrà. Nel frattempo, la vita è scandita dai lab meeting, i journal club, gli incontri settimanali individuali con ciascuno dei suoi ricercatori, che riunisce tutti insieme mensilmente.

"Le mie due linee principali di ricerca riguardano cancro e immunità" racconta con entusiasmo. Il progetto HomeoGUT, vincitore del consolidator grant, comprende lo studio della barriera vascolare intestinale e quello di una proteina importante per l'ambiente intestinale, la linfopoietina timica stromale (TSLP), al cui studio era dedicato anche il progetto Dendroworld, finanziato nella prima edizione dell'ERC, che fu tra le più dure degli ultimi dieci anni. Quello europeo è un sistema di valutazione fortemente competitivo, la media di successo è molto bassa, e in quell'anno fu del 2,9 per cento. "Abbiamo dimostrato che la TSLP istruisce alcune cellule del sistema immunitario intestinale, le cellule dendritiche, a non aggredire i batteri della flora intestinale, il cosiddetto microbiota". Ora Rescigno sta studiando le due forme della proteina, dimostrando che hanno un'attività opposta: la forma lunga ha un'azione proinfiammatoria mentre la forma corta ha un'azione anti-infiammatoria. "Le due forme sono modificate in situazioni di malattia, come ad esempio nel carcinoma del colon retto" spiega nello studio di casa dal quale può vedere in lontananza le guglie del Duomo. "La nostra ricerca di base sull'immunità è preziosa anche per capire cosa induce la comparsa del cancro e quali meccanismi sono alterati o assenti quando si sviluppa il tumore". I quesiti da risolvere sono ancora molti, ma a poco a poco le risposte stanno arrivando. Ai giovani suggerisce di "analizzare fino in fondo i risultati, guardarli veramente e provare genuino interesse e curiosità, solo così si può vedere quello che non ci si aspetterebbe".

Un parallelismo cervello-intestino

Una barriera vascolare in grado di regolare il passaggio di microbi e tossine, potenzialmente dannosi, e di impedirne la disseminazione nell'organismo: questa nuova struttura anatomica, chiamata "barriera vascolare intestinale" (Gut Vascular Barrier, GVB), descritta sulle pagine di Science, è una scoperta di Maria Rescigno e frutto della ricerca finanziata all'ERC e da AIRC. Si è sempre pensato che l'epitelio dell'intestino fosse l'unica protezione fisica per evitare la "migrazione" batterica. "Invece, studiando i topi, abbiamo visto che questa barriera - la GVB - posta appena al di sotto dell'epitelio dell'intestino, funge da schermo per agenti patogeni che altrimenti potrebbero infrufolarsi nel sistema circolatorio e invadere indisturbati l'organismo. Noi disponiamo di un marcatore che ci indica la presenza di danni alla GVB che potrebbero essere alla base di alcune infezioni. La funzione della barriera è dunque analoga, per quanto meno selettiva e restrittiva, a quella della barriera ematoencefalica che protegge il nostro cervello e con la quale condivide alcune caratteristiche" spiega Rescigno. Oltre ad aprire la strada a nuovi strumenti di diagnosi precoce, intervenire sulla GVB potrebbe portare a nuovi trattamenti in tempi relativamente brevi. "Stiamo valutando il ruolo della barriera nelle malattie metaboliche, come diabete e obesità, e la sua funzione nella formazione delle metastasi epatiche del carcinoma intestinale". I primi risultati sugli studi sull'uomo sono attesi nel 2018.

Riconoscimenti e modelli

Maria Rescigno è membro di European Molecular Biology Organization (EMBO) e ha ricevuto il premio Avon Running Donna simbolo della Città di Milano. Ma l'apprezzamento per lei più importante le arriva sempre con grande entusiasmo da AIRC, cui è molto riconoscente non solo per il supporto economico, indubbiamente prezioso. "In ogni occasione, AIRC riesce a trasmettere a me l'importanza del lavoro che faccio e agli altri l'impatto della mia ricerca". Ricerca che è tutta rosa nel suo gruppo di venti donne e soli due uomini. Si sente un modello per le sue ricercatrici? "Bisognerebbe chiederlo a loro". E lei, nella vita, ha avuto dei modelli? "Mia madre ha sempre lavorato. Questo ha significato molto e mi ha mostrato che conciliare famiglia e lavoro è possibile. Inoltre, sono sempre stata trattata come i miei fratelli, non mi sono mai sentita diversa da loro e questo è il più bell'insegnamento che mi ha trasmesso mio padre".

Ha avuto dei colleghi cui ispirarsi? "Ho cercato sempre di prendere a modello tutti gli scienziati che pubblicavano cose belle, non monotone e non ripetitive, e questo è quello che ho poi cercato di fare anche io.