Tumore della tiroide

Il tumore della tiroide è il secondo tumore più frequente per le donne di età inferiore ai 50 anni.

Ultimo aggiornamento: 12 febbraio 2024

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Cos'è

Il tumore della tiroide ha origine dalla trasformazione delle cellule di una ghiandola, la tiroide, posta nel collo appena sotto la cartilagine tiroidea (il cosiddetto pomo d’Adamo). La tiroide ha la forma di una farfalla con le due ali ai lati della laringe. Le due ali costituiscono i lobi della tiroide, mentre la parte centrale che le congiunge è detta istmo.

La tiroide è una ghiandola endocrina: produce gli ormoni tiroidei che rilascia nel circolo sanguigno. Gli ormoni tiroidei regolano, tra le altre cose, il battito cardiaco, la temperatura corporea e soprattutto il metabolismo, ovvero la modalità con cui l’organismo utilizza e consuma le sostanze nutritive. Nei bambini intervengono anche nello sviluppo fisico e psichico, e la loro carenza determina gravi deficit sia di statura, sia cognitivi.

La tiroide produce gli ormoni solo se stimolata a sua volta da un altro ormone, il TSH (o ormone tireostimolante) che viene prodotto e rilasciato dall’ipofisi, una ghiandola posta nelle parti più profonde del cervello. La struttura degli ormoni tiroidei è caratterizzata dalla presenza di alcuni atomi di iodio, che è quindi un elemento fondamentale per la loro attività. La tiroide può funzionare più del normale (ipertiroidismo, con aumento degli ormoni) o meno del normale (ipotiroidismo, con bassi livelli di ormoni) e in entrambi i casi si possono avere disturbi importanti.

La parola all'esperto

L'oncologa Laura Locati parla del tumore della tiroide e dei progressi della ricerca su questa malattia.

Quanto è diffuso

Il cancro della tiroide è abbastanza diffuso: rappresenta il 3-4 per cento di tutti i tumori umani. Colpisce soprattutto le donne tra i 40 e i 60 anni ed è uno dei tumori più frequenti nelle donne in questa fascia d’età. L’incidenza è di circa 5 casi ogni 100.000 abitanti per gli uomini e circa 15-18 nuovi casi ogni 100.000 abitanti per le donne.

Il numero di casi di tumore della tiroide è molto aumentato negli ultimi decenni. Come confermato dal rapporto “I numeri del cancro 2023, dell’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM) e dell’Associazione italiana registri tumori (AIRTUM), è probabile che a tale aumento dei casi contribuiscano i controlli ecografici che in precedenza non si facevano e che hanno portato a diagnosticare tumori indolenti che prima non erano scoperti.

Chi è a rischio

Le donne sono più colpite degli uomini nella proporzione di 4 a 1.

Tra i fattori di rischio c’è la carenza di iodio che causa il gozzo, un aumento di volume della tiroide, spesso caratterizzato da numerosi noduli benigni della ghiandola. Il gozzo può predisporre alla trasformazione maligna delle cellule.

Un altro fattore di rischio accertato è l’esposizione a radiazioni ionizzanti: il tumore della tiroide è più comune in persone che sono state trattate per diversi motivi con radioterapia sul collo oppure che sono state esposte a ricadute di materiale radioattivo, come è accaduto dopo l’esplosione delle bombe atomiche nella Seconda Guerra Mondiale e dopo il disastro della centrale atomica di Černobyl o, più recentemente, quello che ha colpito la centrale atomica giapponese di Fukushima. Questo effetto delle radiazioni è particolarmente accentuato in età infantile o adolescenziale e pertanto in questa età bisogna evitare, se possibile, anche radiazioni mediche (come TC e radiografie), specie se interessano il collo.

Infine, è un fattore di rischio per questi tumori avere un parente stretto che lo ha avuto. La forma midollare può essere sporadica (colpire un singolo individuo) o familiare (presentarsi in più membri della stessa famiglia). A volte è associata ad altre neoplasie endocrine, come il feocromocitoma, gli adenomi e tumori del pancreas endocrino e delle paratiroidi: in tal caso prende il nome di sindrome delle neoplasie endocrine multiple (MEN). Oggi si conosce il gene alterato alla base di questa patologia, l’oncogene RET, e la sua mutazione viene trasmessa da genitori ai figli. I familiari dei pazienti colpiti da carcinoma midollare sono invitati a sottoporsi a visite specialistiche e al test genetico per verificare la presenza dell’alterazione di RET responsabile, appunto, della forma ereditaria.

Tipologie

Esistono vari tipi di cancro tiroideo: il più frequente è la forma ben differenziata (papillare e follicolare) che rappresenta l’85-90 per cento dei casi, a cui si aggiungono la forma scarsamente differenziata (5-7 per cento), la forma midollare (5-7 per cento) e la forma indifferenziata o anaplastica (2-3 per cento).

La sopravvivenza è molto elevata nelle forme ben differenziate (oltre il 90 per cento dei pazienti è vivo a 10-15 anni dalla diagnosi, se vengono seguite le cure adeguate). Un po’ meno curabili sono le forme scarsamente differenziate, quella midollare e quella anaplastica.

Oggi i tumori della tiroide, oltre a essere classificati in base all’istotipo di origine, vengono classificati anche per la presenza o assenza di alterazioni molecolari (si parla di “tumori oncogene addicted”).

Sintomi

Il segno più comune del tumore della tiroide è un nodulo isolato all’interno della ghiandola, che si sente con le dita se si tocca il collo in corrispondenza dell’organo. Non tutti i noduli tiroidei nascondono però forme di cancro, anzi nella grande maggioranza de casi si tratta di forme benigne di crescita ghiandolare. Si stima che solo il 5-10 per cento dei noduli tiroidei sia un tumore maligno.

In rari casi, generalmente i più aggressivi, il cancro può manifestarsi già all’esordio con una massa che cresce rapidamente e che può coinvolgere estesamente il collo, in corrispondenza sia della tiroide sia dei linfonodi latero-cervicali del collo. Questi ultimi possono essere spesso coinvolti anche nelle forme non gravi e devono essere esaminati con un’attenta ecografia nelle forme giovanili.

La funzione tiroidea non è quasi mai alterata dalla presenza dei noduli, siano essi benigni o maligni, e spesso il paziente non ha alcun disturbo specifico.

Prevenzione

Nelle aree dove il gozzo è endemico per mancanza di iodio vi è una maggiore incidenza di neoplasie tiroidee: in queste regioni è consigliabile utilizzare sale iodato (si trova comunemente nei supermercati, sia quello grosso sia quello fino) al posto di quello normale, per ridurre il rischio di sviluppare il gozzo e gli altri disturbi benigni della tiroide. Lo screening ecografico non è raccomandato.

Diagnosi

La tiroide è un organo superficiale, perciò se c’è un ingrossamento nella maggior parte dei casi è visibile.

Una volta individuato un nodulo, il medico prescrive esami ematici per misurare gli ormoni tiroidei nel sangue (FT3 e FT4) e il TSH, per accertare il funzionamento della tiroide. L’eventuale modificazione patologica dei livelli ormonali in genere è indice di una patologia di tipo infiammatorio o autoimmune più che tumorale. Gli ormoni aumentati possono essere a volte il segno di un tumore benigno iperfunzionante (adenoma tossico), facile da curare. Conviene sempre misurare almeno una volta anche gli autoanticorpi anti-tireoglobulina e anti-tireoperossidasi per verificare che non vi siano concomitanti fenomeni di autoimmunità. Nel percorso diagnostico del nodulo tiroideo, si raccomanda di misurare almeno una volta la calcitonina che, se elevata, può suggerire la presenza di un carcinoma midollare della tiroide.

Oggi l’esame più semplice e specifico per studiare la tiroide è l’ecografia, che permette di identificare la presenza di noduli, anche molto piccoli, i rapporti del nodulo con la ghiandola e i tessuti circostanti (inclusi i linfonodi) e le loro caratteristiche. Oggi conosciamo le caratteristiche ecografiche dei noduli più a rischio di malignità (noduli “sospetti” all’ecografia). In questo caso è consigliato eseguire un esame citologico (agoaspirato) purché il diametro del nodulo sia maggiore di un centimetro (l’esame non è consigliato per noduli al di sotto del centimetro se non molto “sospetti”). L’agoaspirazione viene eseguita sotto guida ecografica, il che consente di controllare la corretta posizione dell’ago introdotto attraverso la cute; l’esame delle cellule aspirate consentirà di definire il rischio di cancro.

In casi particolari si esegue la scintigrafia tiroidea, con cui si valuta la capacità della tiroide (e di eventuali noduli) di captare lo iodio. Si può eseguire somministrando tecnezio o piccolissime quantità di iodio radioattivo. I noduli possono essere “freddi” alla scintigrafia se non hanno la capacità di captare il tracciante radioattivo oppure “caldi”, se captano molto tracciante, più del tessuto normale. Questi noduli sono iperattivi e spesso sono associati a un quadro di ipertiroidismo (adenoma tossico) e sono quasi sempre benigni. Solo il 5-10 per cento dei noduli freddi è maligno.

Nel caso di gozzi con noduli di grandi dimensioni o di sospetto di invasione dei tessuti vicini, un ulteriore approfondimento diagnostico può essere ottenuto con una tomografia computerizzata o una risonanza del collo. Questi esami consentono infatti di mostrare più dettagliatamente i rapporti del nodulo con le strutture del collo e del mediastino (la parte superiore del torace) e lo stato dei linfonodi del collo.

Evoluzione

I cancri avanzati della tiroide possono invadere le strutture circostanti (laringe, esofago, trachea) causando difficoltà di alimentazione o di respirazione, ma si tratta di eventi molto rari in generale, eccetto per il tumore anaplastico. Nella gran parte dei casi il tumore è caratterizzato da una crescita lenta.

Per classificare lo stadio e la diffusione di un tumore si usa il sistema TNM, che si basa sulla dimensione del tumore stesso (T), sulla presenza o assenza di linfonodi coinvolti (N) e sulla presenza o assenza di metastasi a distanza (M).

Nella forma papillare o follicolare l’evoluzione e progressione del tumore è più frequente nel sesso maschile (i maschi hanno meno tumori, ma spesso più aggressivi) e nei soggetti di età superiore a 55 anni. Per il carcinoma midollare sono previsti 4 stadi di gravità crescente indipendentemente dall’età dei pazienti, mentre il carcinoma anaplastico, data la sua aggressività, viene sempre classificato al quarto stadio di gravità.

Come si cura

Per la cura del tumore della tiroide, la chirurgia è il trattamento di prima scelta. In genere si preferisce asportare tutta la ghiandola (tiroidectomia). Tuttavia, un piccolo carcinoma papillare o follicolare della tiroide può essere curato con un intervento conservativo di lobectomia, cioè l’asportazione del solo lato coinvolto, in particolare se l’altro lobo risulta essere perfettamente normale all’esame ecografico. Dopo l’intervento di tiroidectomia devono essere somministrati ormoni tiroidei in sostituzione di quelli che la ghiandola non può più produrre. I linfonodi coinvolti vengono ovviamente asportati, mentre si discute sull’opportunità di rimuoverli a scopo preventivo quando non si evidenzia il loro coinvolgimento nella malattia.

Oggi, per i tumori molto piccoli e senza fattori di rischio o coinvolgimento linfonodale si può adottare anche il sistema di osservazione attenta senza intervento, specie in pazienti di età avanzata.

La seconda linea di trattamento, per i tumori papilliferi o follicolari in cui si sospetta che dopo l’intervento sia rimasto del tessuto tumorale, consiste nel somministrare iodio radioattivo, a completamento delle procedure terapeutiche chirurgiche (ablazione del residuo postchirurgico). A differenza di qualche anno fa, quando la procedura ablativa con iodio radioattivo veniva eseguita sempre e indistintamente, oggi è riservata solo ai casi a rischio intermedio o alto di sviluppare una recidiva locale o metastasi a distanza. Il principio della terapia radiometabolica si basa sul fatto che le cellule tiroidee, tumorali ma ben differenziate, sono avide di iodio e per questo distrutte dalle radiazioni emesse dagli atomi di iodio radioattivo, attivamente captato e trasportato all’interno delle cellule tumorali stesse. Il trattamento radiometabolico con 131-I è particolarmente efficace e viene utilizzato al posto della classica radioterapia esterna. Questo trattamento è impiegato anche a scopo terapeutico per il trattamento delle metastasi. Esso può essere ripetuto varie volte, almeno fintanto che le lesioni metastatiche dimostrano capacità di captare lo iodio, anche se somministrazioni ripetute aumentano il rischio di sviluppare secondi tumori e, più raramente, leucemie.

La chemioterapia classica è ormai pressoché in disuso ed è sostanzialmente sostituita dalle nuove terapie a bersaglio molecolare. I farmaci più frequentemente usati appartengono alla famiglia degli inibitori delle tirosin-chinasi, il cui principale meccanismo di azione è il blocco della proliferazione cellulare e della crescita dei vasi che nutrono il tumore. Per i carcinomi differenziati (papillari, follicolari e scarsamente differenziati), che nel tempo diventano refrattari allo iodio radioattivo e non traggono più beneficio dalla terapia radiometabolica, sono prescrivibili lenvatinib e cabozantinib, a prescindere dalla presenza o meno di alterazioni geniche. La presenza di alterazioni molecolari (ad esempio, fusioni dei geni RET, NTRK e mutazioni di BRAF) può essere sfruttata per terapie di seconda linea. Nel carcinoma midollare, in presenza di mutazioni del gene RET (presenti in quasi tutti i soggetti con forme tumorali ereditarie e nel 50 per cento circa delle forme sporadiche), selpercatinib è il trattamento di scelta. Il vandetanib rappresenta un’opzione alternativa. Nel carcinoma anaplastico con mutazione BRAFV600E (meno del 50 per cento dei casi) si usano dabrafenib e trametinib.

Per accedere a questi nuovi trattamenti, è importante poter effettuare un test molecolare per la ricerca delle alterazioni genomiche sul tessuto tumorale e, nelle forme ereditarie di carcinomi midollari, anche a livello ematico. Occorre comunque continuare a cercare nuovi farmaci e nuove procedure in quanto la loro durata d’azione appare purtroppo limitata nel tempo.

In conclusione, i tumori della tiroide, sebbene con sempre maggiore diffusione, nella grande maggioranza dei casi sono ben curabili e i nuovi farmaci hanno migliorato la prognosi e sopravvivenza anche nelle forme più aggressive.

  • Agenzia Zoe

    Agenzia di informazione medica e scientifica